Modugno 26 gennaio 2004, Galleria “Le Volte”, “Dario Fo – Disegni su carta”.
Il caso ha voluto che per un certo tempo abbia avuto un rapporto personale col “maestro” Dario Fo. Siamo al 26 gennaio 2004, quando su iniziativa di Rossana Andreola, prematuramente scomparsa, l’Amministrazione Comunale di Modugno organizzò nella “Galleria Le Volte” la mostra “Dario Fo – Disegni su carta”, che restò aperta sino all’8 febbraio 2004. Dopo l’inaugurazione della mostra, andai via, ma, giunto in Piazza Sedile, fui chiamato da Nicola Scelsi, che con altri amministratori e cittadini vari era lì con Dario Fo davanti al sagrato della Chiesa del Purgatorio; presentandomi al “maestro, esclamò: “Ecco, la persona giusta!”. “Professore, – disse Dario Fo – le sarei grato se potesse ricercarmi alcune notizie sulla prostituzione femminile a Firenze e Venezia fra Cinquecento e Seicento. Sa, io qui non posso disporre dei miei libri ed ho un impegno sull’argomento fra qualche settimana”. Restai impietrito:”Come, io dovrei dare delle notizie storiche ad un Premio Nobel? E per giunta su un argomento così complicato, del quale, peraltro, non so proprio nulla”; balbettai un “non so se ce la farò!”. Ma il “maestro”, che certamente aveva colto la mia reazione di timore, anzi di vera e propria paura, nonché di meraviglia per il tipo di argomento propostomi, mi disse: “Fra tre giorni sarò al Teatro Team. Io l’aspetto un’ora prima dello spettacolo, al quale lei sarà mio ospite insieme a sua moglie”.
Ritornai a casa e subito incominciai a ricercare fra i miei libri, che non sono pochi, ma sulle prostitute fiorentine e veneziane non avevo proprio nulla; solo in qualche saggio di storia riuscii a trovare qualche generico riferimento sulla prostituzione in Europa e in Italia.
Incominciai a nutrire dubbi sulla possibilità di poter scrivere qualcosa sull’argomento e pensai seriamente di telefonare al maestro comunicandogli di non poter affrontare l’argomento. Un’amica, però, mi riprese: “Come, Lillino, tu vuoi dire di no ad un Premio Nobel?”. Questo rimbrotto ampliò ancora di più i sensi di colpa che già avvertivo per la non adesione ad una richiesta di un Nobel, diventato tale con una nobile motivazione: “Dileggia il potere, restituendo dignità agli oppressi”.
Il giorno successivo, subito dopo le mie ore di lezione, ero nella Biblioteca Nazionale di Bari e, grazie alla collaborazione di una mia amica, che lì lavora, portai a casa diversi volumi che studiai ininterrottamente. Mi si aprì tutto un mondo a me sconosciuto: non sapevo che la prostituzione era allora così diffusa, tanto da essere regolamentata nei minimi particolari. E si prostituivano temporaneamente soprattutto le donne del popolo per miseria, necessità o addirittura per farsi la dote, requisito necessari in quel tempo per maritarsi. Ricordo di aver trovato un dato che mi colpì: mediamente in molte città il 20% della popolazione femminile esercitava stabilmente o temporaneamente la prostituzione.
E finalmente, dopo uno studio continuo e ininterrotto di tre giorni, riuscii a mettere su una lunga relazione. Stanco, ma molto contento, all’ora e al giorno prefissati ero lì con mia moglie davanti al grande cancello del Teatro Team. Si avvicinò un usciere che, piuttosto infastidito, ci disse che ci voleva del tempo perché si potesse entrare; il suo volto, però, volse al sorriso non appena dissi che avevo un appuntamento con Dario Fo.
“Il suo nome?”, mi chiese. E accertatosi che nome e cognome da me pronunciati coincidessero con quelli che erano scritti su un bigliettino, che tirò fuori da un taschino della sua divisa, ci accompagnò dietro le quinte del teatro con molta premura e con infinita gentilezza. Suonò un campanello e sene andò, non prima di averci detto che sarebbe arrivato subito qualcuno.
Dalla fine di un lungo corridoio, poco illuminato, scorgemmo una donna che veniva verso di noi. Aveva un’andatura molto dimessa ed era vestita in modo assai modesto: “Prego – ci disse – seguitemi”; e, rivolgendosi a me, aggiunse: “Il maestro l’aspetta”. La voce della donna, dal timbro inconfondibile, rivelò la persona: era Franca Rame. Mia moglie ed io ci guardammo meravigliati: non capita tutti i giorni imbattersi in Franca Rame, che per giunta, in veste di semplice usciere, ci conduceva al camerino di suo marito.
Entrammo nel piccolo e spoglio camerino di Dario Fo: di fronte alla porta c’era un tavolino con una sedia, la cui spalliera era interamente ricoperta da una maglia di lana, simile a quelle utilizzate da mio padre, che mia madre subito gli porgeva come cambio quando egli ritornava dal lavoro o dalla campagna; appesi agli attaccapanni diversi vestiti di scena. Il maestro, con gli occhi chiusi, era seduto su una sedia a sdraio, posta a destra della porta: sembrava stanco e sembrava che riposasse. Non ci fu bisogno che Franca Rame gli dicesse qualcosa, perché egli subito si alzò e ci salutò: “Buonasera professore, buonasera signora, sono contento che siate venuti. Spero che lo spettacolo vi metta di buon umore!”:
Io tirai fuori da una cartella i fogli della relazione sulla prostituzione e lui diede subito quello che comunemente chiamiamo uno sguardo d’insieme. Ma non fu un semplice sguardo d’insieme, poiché a me sembrò che i suoi occhi, ora subito vivi, cogliessero con immediatezza il senso e la struttura dell’intera relazione. Dopo una breve chiacchierata sul mio lavoro di docente di storia e filosofia e sulla realtà della scuola qui a Bari, il maestro mi disse: “Grazie molto, professore, la studierò dopo lo spettacolo. Ora accomodatevi, vi sono due posti per voi”. Suonò un campanello ed arrivò l’usciere del cancello che ci portò ai nostri due posti: si trattava di due poltrone in prima fila!
Iniziò lo spettacolo e quell’uomo che poco prima sembrava stanco e assonnato su una sdraio, ora si muoveva sul palco con leggerezza e guizzi veramente sorprendenti, da grande maestro.
Alla fine dello spettacolo, mentre ci ponevamo il problema se dovessimo andare a salutarlo, mi sentii chiamare più volte: “Professore, professore…”. Era Dario Fo che veniva verso di me, facendosi strada fra la folla di persone che si accingeva a guadagnare l’uscita. Ci chiese se lo spettacolo ci fosse piaciuto e parlammo un po’. Ricordo che, fra l’altro, gli dissi che nel 1970, quando – diciamo così – non era ben visto da una parte consistente della popolazione italiana e soprattutto dal potere, avevo assistito al suo “Mistero buffo” che egli diede per più giorni al “Petruzzelli”; aggiunsi anche che conservo ancora il libretto e il disco in vinile di quello spettacolo, le cui repliche poi negli anni di gloria sono state di numero infinito.
Dario Fo mi chiese poi con molta discrezione e quasi con timore se potessi preparare una seconda relazione su Caravaggio, scusandosi di approfittare della mia disponibilità, cosa che feci, inviandogliela poi per e-mail ad un albergo di Napoli. Dopo qualche ora mi telefonò, promettendomi che mi avrebbe inviato un suo disegno. Qualche settimana successiva, mi telefonò l’amico Serafino (Corriero) informandomi che in televisione c’era Dario Fo che parlava di Caravaggio, utilizzando anche notizie presenti nella mia relazione.
L’incontro con Dario Fo mi ha dato molte sollecitazioni culturali e morali: a parte alcune lezioni che tenni ai miei studenti sulla bellezza e la profondità del teatro, ho capito ancora di più quanto sia importante occuparsi degli “oppressi” per restituire ad essi quella dignità di persone che, purtroppo, la società, il potere e spesso anche noi stessi di fatto non riconosciamo.
E le prostitute e Caravaggio, con le tante sue disavventure, caspita se non rientrano in quella umanità sofferente degli oppressi, che attendono da sempre la loro liberazione.
Raffaele Macina
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