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11 ottobre 1911

Approvato il progetto della rete idrica

Viene approvato il progetto della rete idrica di Modugno, che prevede un serbatoio di 1072 metri cubi, collocato a 3 chilometri sulla strada provinciale per Bitetto, e diverse fontane nelle piazze principali e negli slarghi della città.

7 ottobre 1656

Primo caso di peste a Modugno

Primo caso di peste a Modugno; pochi giorni dopo, il 12 ottobre, il sacerdote Francesco Antonio Lovergine viene trovato nella sua casa «disteso faccia per terra con grande ispavento dei cittadini»

4 ottobre 1870

Gli amministratori modugnesi non partecipano alla giornata nazionale dei festeggiamenti dopo la presa di Roma

Gli amministratori modugnesi non partecipano alla giornata nazionale dei festeggiamenti dopo la presa di Roma, avvenuta il 20 settembre. Il prefetto li redarguisce e in un telegramma del 4 ottobre 1870 esprime «tutto il suo rincrescimento per le difficoltà messe innanzi dalla Giunta e che gli sarebbe dispiaciuto segnalare che solo questo Comune non partecipava alla gioia universale d’Italia»

2 ottobre 1855

Muore Giuseppe Mario Arpino (1804-1855)

Muore Giuseppe Mario Arpino, nato a Modugno il 1804 da Agostino e Rachele Alfonsi. Era stato protagonista di una brillante carriera. Fu, tra l’altro, avvocato generale della Corte dei Conti, ambasciatore capo della Tesoreria del Regno delle Due Sicilie. Poco prima di morire era stato nominato ministro degli affari esteri.

1 ottobre 1806

Modugno apre due sezioni di scuola elementare

In seguito alle nuove leggi varate da Giuseppe Bonaparte, re di Napoli dal 27 dicembre 1805, l’Università di Modugno apre due sezioni di scuola elementare distinte per sesso: quella maschile viene collocata in un locale della chiesa del Purgatorio; quella femminile, in una stanza del Palazzo Pascale. Gli insegnanti delle due sezioni sono i primi di una scuola pubblica della città, sono il frate Domenico Carroccia per i ragazzi e la «donzella» Morena Anastasia per le ragazze.

28 settembre 1806

Il governatore di Modugno intima di riparare le mura

Il governatore di Modugno intima al partitario di riparare le mura perché la città possa essere custodita «dagli insulti dei malviventi»

24 settembre 1956

Viene inaugurato l’Oratorio

Viene inaugurato a Modugno il complesso dell’Oratorio, costruito grazie alle capacità organizzative dell’arciprete Nicola Milano e dalle donazioni dei Modugnesi, anche d’America.  

24 settembre 1896

La situazione dei lavoratori in una relazione del sindaco di Modugno al prefetto di Bari

In una relazione del sindaco di Modugno al prefetto di Bari viene presentata in modo assai allarmante la condizione delle classi lavoratrici nella città: agli operai e ai braccianti manca il lavoro nella gran parte dell’anno: i salari «sono piuttosto insufficienti». I proprietari non accettano il contratto di mezzadria, dal quale i braccianti potrebbero ricevere sollievo.

23 settembre 2002

Omicidio di Giuseppe Lacalamita

La sera del 23 settembre del 2002 Beppe, ragioniere di 30 anni, e la fidanzata, che sarebbe diventata sua moglie nel 2003, si trovavano lungo una strada di campagna a Modugno per vedere in privato i fuochi d’artificio della Festa Patronale: proprio qui la ragazza ha visto il suo compagno morirle davanti cercando invano di difenderla.

L’omicidio, a Modugno, di Giuseppe Lacalamita

La sera del 23 settembre del 2002 Beppe Mangialardi, ragioniere di 30 anni, e la fidanzata, che sarebbe diventata sua moglie nel 2003, si trovavano lungo una strada di campagna a Modugno per vedere in privato i fuochi d’artificio della Festa Patronale: proprio qui la ragazza ha visto il suo compagno morirle davanti cercando invano di difenderla. La rivista «Nuovi Orientamenti» si è occupata del vile omicidio attraverso un interessante editoriale a firma del prof. Serafino Corriero, pubblicato nel numero n. 105 del mese di Ottobre 2002 (Anno XXIV) che si ripropone integralmente.
mp
Anno XXIV N. 105 Ottobre 2002
Serafino Corriero
Editoriale

L’uccisione del rag. Giuseppe Lacalamita, avvenuta la sera del 23 settembre (festa di S. Nicola da Tolentino) nel corso di un tentativo di rapina ad opera di tre Albanesi residenti a Modugno, è un avvenimento che ha scosso profondamente la comunità cittadina, e che quindi ci obbliga a qualche riflessione che vada al di là dell’ambito puramente criminale nel quale esso è maturato. È evidente che episodi di tale portata vadano innanzi tutto inquadrati in fenomeni generali, o addirittura epocali (le grandi migrazioni di massa) che caratterizzano il tempo in cui viviamo, ma questo non ci esime dal ricercare anche le ragioni peculiari e le condizioni specifiche che innescano o alimentano fenomeni gravi di devianza o di criminalità organizzata. Anche perché, di fronte a questi fenomeni, una comunità, piccola o grande che sia, tende istintivamente (e sbrigativamente) a rinchiudersi in sé, individuandone le responsabilità solo in fattori ad essa esterni, che siano sopraggiunti ad “inquinare” la propria presunta purezza ed innocenza.

Una prima considerazione intorno a questo tragico evento ci viene suggerita da una scritta razzistica apparsa nella villa comunale (“Da Durazzo a Tirana tutti figli di puttana”). Essa rivela il tentativo – piuttosto maldestro, in verità, ma da non sottovalutare – di innescare a Modugno un conflitto con una comunità di immigrati – quella albanese – che, pur essendo la più numerosa del nostro territorio, non aveva finora dato motivi di particolare preoccupazione per la convivenza civile e l’ordine pubblico, ma che, anzi, si è nel complesso ben integrata nella nostra comunità, offrendo a tanti Modugnesi – che magari ora “storcono il naso”- lauti guadagni nell’affitto delle abitazioni (spesso squallide soffitte), braccia robuste in lavori materialmente pesanti (agricoltura, edilizia, commercio), palle ricurve in altri lavori socialmente ingrati (attività domestiche, assistenza ad anziani infermi, ecc…).

Ha fatto bene, dunque, il sindaco di Modugno, Pino Tana, a mettere subito in guardia la città dal rischio di una “caccia alle streghe” anti-albanese, ma crediamo che i Modugnesi siano abbastanza smaliziati per cedere a questa insidia, se non altro perché la nostra città è da molto tempo ormai molto poco “autoctona” e prevalentemente composta da “forestieri” di varia provenienza.

Più subdolo e pericoloso ci sembra invece un altro rischio, che, scossa da un fatto criminoso così rilevante, si insinui nella coscienza collettiva dei Modugnesi l’inclinazione a distinguere tra una criminalità “minore” normale, accettabile, o addirittura “legittima”, e una criminalità “maggiore” pregiudicata, esecrabile, e pertanto “contro regola”, nell’illusione che la tolleranza della prima ci salvaguardi dalla ferocia della seconda. Non è affatto vero, tra l’altro, che furti, scippi, piccole rapine ed estorsioni, quando non siano episodi isolati ma costituiscano – come avviene a Modugno – un contesto permanente del nostro vivere civile, siano fatti meno violenti, meno laceranti, meno angoscianti di un funesto omicidio: essi vengono ad inficiare fortemente la sicurezza collettiva, a sconvolgere la vita quotidiana di chi ne è colpito, e fra tutti, in particolare, quella dei più deboli e indifesi, i bambini egli anziani. La criminalità, insomma, non è né “micro-” né “macro-”, ma è sempre crimen, cioè dis-crimen, cioè “separazione”, anomalia, che merita di essere segnalata, giudicata e punita, nel ripetto, naturalmente, delle norme e delle finalità fissate dalla legge.

Un’altra osservazione ci sembra di dover fare in ordine a questo tema. Tutti i fenomeni criminosi, piccoli o grandi che siano, non possono essere isolati da un più ampio contesto che mette in discussione non solo i comportamenti di individui o di gruppi isolati, ma anche quelli di gran parte dei cittadini, se non addirittura dell’intera comunità. Si tratta di quei comportamenti illegali e incivili che, quando siano anch’essi socialmente diffusi, costituiscono una fonte costante di corruzione, di degrado, di deterioramento morale, sul quale s’innesta e prospera la più aggressiva criminalità.
Inciviltà, illegalità e criminalità sono insomma tre livelli di un unico edificio, direi meglio di una piramide nella quale quanto più estesa è la base (l’inciviltà), tanto più ampi e contigui sono il corpo centrale (l’illegalità) e il suo vertice (la criminalità): tre livelli non rigidamente separati, ma elastici e intercomunicanti, interdipendenti, reciproca mente condizionati. Non è un caso che i grandi fenomeni criminosi del nostro paese (mafia, camorra e loro varianti) siano concentrati nelle aree più degradate e meno vivibili di esso, là dove l’illegalità e l’inciviltà sono così diffuse da essere considerate ormai endemiche e da rimanere il più delle volte “non-crimi- nate”, non più segnalate, e quindi impunite. Chi si cura più oggi, a Modugno, di andare a denunciare ai carabinieri il furto di una bicicletta o lo scippo di una borsetta?

Nella nostra città, dunque, come del resto in gran parte dell’Italia meridionale, questo tessuto di connivenza e di connessioni con la criminalità è sempre stato abbastanza ampio, e forse oggi si va estendendo, di pari passo con il progressivo intensificarsi della congestione urbana, del degrado ambientale, delle disuguaglianze economiche, sociali, culturali. Così a Modugno, per fare qualche esempio, sembra ormai «normale» passare col rosso al semaforo, guidare il motorino senza casco, sorpassare a destra, ignorare le strisce pedonali, sostare in doppia – tripla fila davanti alle rosticcerie, depositare sulla strada contenitori e bottiglie dopo aver consumato pizza birra in auto, portare il proprio cane a fare i suoi bisogni davanti alle case altrui, scaricare in periferia rifiuti di ogni tipo (inciviltà), oppure affittare una casa «in nero», non pagare i contributi ai dipendenti, non esporre i prezzi in vetrina, costruirsi una stanza in più, abbattere la facciata di un edificio storico (illegalità); per non parlare, infine, di quelle situazioni “legittime”, ma non per questo meno intollerabili, come le antenne e i ripetitori in pieno centro, i complessi edilizi abnormi, le nauseanti puzze quotidiane, le colonie di cani randagi e aggressivi.
Questi ed altri simili comportamenti (da alcuni dei quali neppure chi scrive pretende di essere esente) sono qui da noi così diffusi e ormai accettati che, quando ci rechiamo in altre regioni del centro-nord d’Italia, o in altri paesi europei, restiamo come stupefatti e quasi disorientati di fronte all’ordine, alla pulizia, al rispetto delle cose e delle persone, e noi stessi – i meridionali – ci sentiamo come a disagio, come “osservati”, e per questo stiamo ben attenti a comportarci bene, ad essere precisi e disciplinati. Così, allo stesso modo, i forestieri e gli extracomunitari che vengono ad abitare a Modugno avvertono subito la “qualità” dell’ambiente che li circonda, e tendono di conseguenza ad adeguarsi, quando, naturalmente, non abbiano già per proprio conto una individuale conformazione mentale e morale ben consolidata, sia in senso positivo che in senso negativo. Non di rado, fra i miei non pochi amici albanesi (gente di tutto rispetto, che potrebbe insegnare civiltà e moralità a tanti nostri concittadini), ho sentito dire che «Modugno è più o meno come l’Albania»: pare, insomma, che sia il paesaggio urbano sia quello civile della nostra città non siano poi molto “distinti” rispetto a quelli di Durazzo e di Tirana, così volgarmente offese in quella miserevole scritta. E che dire poi del gusto tutto modugnese del “frecare” ad incauti malcapitati qualunque oggetto lasciato appena incustodito, dalla bicicletta all’ombrello, dall’utensile domestico ad un attrezzo agricolo?
Di fronte a problemi di tale portata le istituzioni appaiono spesso inadeguate, ma evidentemente le risposte non possono essere soltanto repressive. Certo, i Carabinieri dovranno essere più presenti sul territorio, i Vigili Urbani dovranno essere più vigili, ma, dopo l’uccisione del giovane Lacalamita, toccherà a tutti noi cittadini modugnesi compiere lo sforzo più difficile: quello di modificare alcune cattive abitudini per innalzare il livello di civiltà complessivo del nostro territorio, cominciando magari a fermarci sempre davanti ad un semaforo rosso, anche se l’ora è tarda e dall’altra parte non viene nessuno. Ma la più grande responsabilità, in questo campo, compete ai presenti e futuri amministratori del nostro Comune: rendere la città più vivibile, più decorosa, più dignitosa. La ristrutturazione della villa comunale, la realizzazione del parco di via Verga, il rifacimento della pavimentazione nel centro storico, la ristrutturazione della piazza Romita Vescovo costituiscono importanti successi, ma ancora molto resta da fare: aiutare le scuole nell’opera di integrazione multietnica, incrementare i centri di promozione culturale, attivare nuovi impianti sportivi, cominciando con l’aprire subito la piscina comunale, che tanti giovani può sottrarre ai rischi della devianza. Purtroppo, i nostri Amministratori e dirigenti politici sono impegnati da mesi in estenuanti e penose trattative “per trovare nuovi equilibri” all’interno dei partiti e dei gruppi di maggioranza: a loro evidentemente interessa più chi deve fare l’assessore che non che cosa un assessore deve fare.

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