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Le contrade di Modugno

Dopo le monografie dedicate al Casale di Balsignano, al nostro dialetto (A Medugne se disce adacchessè) e agli editoriali, proponiamo quella riguardante le «Contrade di Modugno», realizzata sulla base di un interessante studio, a suo tempo eseguito dalla prof.ssa Lucrezia Pantaleo Guarini. La rassegna comprende gli articoli pubblicati su «Nuovi Orientamenti»,  dal 1982 (Anno IV, n. 3  Giugno) al mese di agosto 1984  (Anno VI, n.4  Luglio, Agosto) che riproponiamo all’attenzione dei Lettori.Come sempre, l’augurio è di una buona lettura in compagnia della nostra storia e delle nostre tradizioni.

marco pepe

Le contrade di Modugno
 
Riepilogo precedenti rassegne pubblicate nel nostro sito internet (www.nuoviorientamenti.it), nella rubrica “Monografie”:

Balsignano, agosto 2022
A Medugne se disce addacchesse, ottobre 2022
Editoriali, novembre 2022
Le contrade di Modugno, aprile 2023

Buona Pasqua

La rivista “Nuovi Orientamenti” augura una Santa Pasqua di pace e serenità.

Il mondo di una comunità nella processione dei Misteri

"Nella processione dei Misteri si riflette un'antica pietà popolare che rinvia a credenze miracolistiche e a pratiche ancestrali di una comunità. Da San Pietro, che non fa buona guardia del vino, alla Veronica, che propizia il ritrovamento di tre chili di agnello, da Cristo alla colonna, che moltiplica la cera, ai bambini, che oscurano il Calvario, tutto in questa processione concorre ad esprimere i misteri di un popolo".

Ne ha parlato la prof.ssa Dina Lacalamita Nuzzi in un articolo che si ripropone integralmente. (Nuovi Orientamenti,  Anno XI, [1989] n. 1,2).
Buona lettura

 

Gesù Bambino gettato fra le braccia della madre
In occasione della festa veniva, dunque, attuato un «maritaggio», cioè veniva donato il corredo o la «dote» ad una ragazza sorteggiata fra le zitelle orfane di Modugno; per lo stesso valore si donavano delle camicie ai poveri. Doveva essere molto importante, in quei tempi, per una ragazza avere la dote, non solo per disporre di un minimo di biancheria che servisse per dar vita alla famiglia che si andava formando, ma anche per potersi semplicemente sposare!
Fin qui l’aspetto caritativo della festa che oggi non si celebra più. Ma vediamo come si esplicava la consuetudine culturale e religiosa: la processione partiva dalla chiesa di Sant’Agostino verso la Matrice o chiesa dell’Annunziata c, mentre il predicatore ufficiale faceva il discorso sulla Passione, si bussava, si entrava e il Cristo veniva «buttato» fra le braccia della Madre. La drammaticità di tali gesti e l’emotività che da essi scaturiva sono da accostare a quelle offerte dalla processione dei Misteri, che si svolgeva esattamente la settimana successiva e che si svolge ancor oggi, mantenendo viva una tradizione secolare.

Rivive la storia della processione dei Misteri
Fra le innumerevoli forme ed espressioni di religiosità popolare, quella dei Misteri è la più vicina a quelle sacre rappresentazioni che, nel Medioevo, ebbero grande sviluppo e risonanza: un vero e proprio dramma basato su episodi della Passione, che si sviluppò in Italia con forme analoghe a quelle del stère francese, del miracle-play inglese e dell’auto-sacramental spagnolo.
Di quel periodo storico famose sono le Laudi di Jacopone da Todi, pervase da un certo disprezzo per le vanità umane, da un desiderio di patimento e di sofferenza, esasperazione della rigida regola francescana fatta propria dagli «spirituali». Si possono ancora ricordare le processioni dei flagellanti, che, sfilando per le strade, si autopunivano per espiare le proprie colpe. La stessa Via Crucis fu fatta conoscere in Italia dai pellegrini di ritorno dalla Terra Santa, giacché essi stessi avevano rivissuto il cammino verso il Calvario, fatto da Gesù Cristo. Nei secoli successivi la drammaticità degli eventi rievocati provocò il moltiplicarsi degli uffici votivi della Passione: in onore delle Santissime Piaghe, delle cadute di Gesù Cristo, del Cuore trafitto, degli strumenti della Passione, dei personaggi della Passione (Giuseppe D’Arimatea, Longino, Maria Maddalena).

Alcuni studiosi affermano che, in genere, quelle forme di religiosità sono frutto di un certo periodo storico di un popolo, con il suo grado di civilità e di maturità. Tuttavia, ci sono degli aspetti legati a preesistenti riti calendariali pagani, celebrati in occasione dell’equinozio di primavera che, come si sa, determina la Pasqua. Ad esempio, le battiture sui banchi della chiesa, dopo il Canto dei notturni del Triduo sacro, erano gli strepiti stagionali o riti stagionali di passaggio fatti per cacciare gli spiriti, e si rifacevano addirittura alla romanità classica.
È molto antica anche l’usanza di conservare la cenere per colmare i piatti che facevano da supporto alla lampada a olio dei cosiddetti «sepolcri», o per cospargere le piantine delle fave (piatto dei morti); antico è pure il gesto di fare rumori e scuotere mobili per intimidire gli spiriti. A Modugno si usa ancora preparare già dal mercoledì delle ceneri quelle piantine, tenendole al buio, affinché — senza… luce — senza l’influenza dell’azione clorofilliana che, come si sa, avviene in presenza di luce, mantengano il colore più chiaro possibile. Le piantine adornano ancora, numerose, i «sepolcri», insieme ad altre piante e fiori multicolori, ma una volta erano i fiori dei poveri.
Gli eventi della Passione non sempre hanno mantenuto un carattere di drammaticità, ma spesso hanno assunto un aspetto prettamente folcloristico e popolare. In alcuni paesi, soprattutto nell’Italia meridionale, si rappresentano gli episodi dell’incoronazione di spine (Diamante, in Calabria), la flagellazione, l’incontro di Gesù con la Madre. A proposito di quell’incontro o «Vi cuntnua»,come viene chiamata in Calabria, viene subito alla mente quello che fino al 1953 si riviveva a Modugno con la processione dell’Addolorata.

I MISTERI DI MODUGNO FRA STORIA ED ANEDDOTICA

CRISTO NELL’ORTO
Particolare vivo di questo Mistero è quello di porre accanto alla statua un piccolo ulivo a ricordo della preghiera di Cristo fra quegli alberi. La famiglia che custodisce la statua per tutto l’anno è quella di Luigi Maggi, il più anziano dei soci, al quale il compito è stato tramandato, di generazione in generazione, dal 1897. Per questa famiglia è sempre stato un grande onore custodire la statua e allestire il Mistero è già una festa.

SAN PIETRO
La statua di San Pietro, appartenente alla famiglia Trentadue, risale al 1928 e fu voluta, per devozione, da Angelo Lacalamita, detto «u cucche», al quale era apparso in sogno il santo. Detto Mistero era conservato nella casa del Lacalamita, in una nicchia chiusa da un vetro. Come era d’uso una volta, lo stesso stanzone era ingresso, cucina e talvolta anche bottega: il padrone, che vendeva vino, un giorno, verso l’alba, fu svegliato dal dirimpettaio, il quale, con voce concitata lo chiamava, avvisandolo che scorreva vino dal portone fino alla strada. Il Lacalamita, adirato, se la prese con San Pietro: «Ma cosa ti tengo a fare in casa mia se non sei buono neanche a guardarmi il vino?» Anche questo dovette sentirsi dire il Santo! Sbollita l’ira, però, la devozione e la tradizione non vennero meno e non vengono meno ancora oggi.

CRISTO ALLA COLONNA
Il Mistero, originario dell’Opera Pia, prima che fosse affidato alla famiglia Pascazio, dalla quale tuttora viene custodito, era uno di quei Santi che nessuno voleva, forse perché fra i più pesanti. Un vinaio modugnese propose a Giuseppe Pascazio di prenderselo in custodia, assicurandogli che si assumeva lui l’onere delle spese di allestimento per quell’anno: si era nel 1927.
Furono pertanto ordinati cinque quintali di cera che, a festa finita, sarebbe stata rivenduta, come d’usanza, al ceraiolo per riciclarla (economia dei tempi!). Il giorno dopo la processione, anziché trovare i cinque quintali, quanti cioè ne poteva accogliere la base della statua, se ne trovarono, con stupore di tutti, sei! Per una maggiore sicurezza si andò a pesare la cera su un’altra bilancia, ma anche questa segnò la stessa quantità. Il detto vinaio con quello che guadagnò dalla vendita della cera in eccesso, pagò tutte le spese sostenute: come dire che Cristo alla colonna si era autofinanziato! L’evento fu interpretato come segno di particolare favore celeste per il Pascazio, al quale si unirono molti ortolani che negli anni successivi si fecero promotori dell’iniziativa di allestire quel Santo… che nessuno prima voleva. Presero allora l’abitudine di adornare il Mistero con le primizie degli orti o della campagna: un fascio di cicorie, un cavolo, un ramo di mandorlo fiorito, quasi per ingraziarsi Dio affinché assicurasse un buon raccolto.

ECCE HOMO
Originario del Sacro Monte di Pietà, è da molti anni custodito dalla famiglia Massarelli e intorno ad esso si narrano diversi aneddoti. Questi, vivacemente descritti da Anna Longo Massarelli nel N. 2 – 1987 della nostra rivista, testimoniano sia la simpatica intraprendenza di chi voleva aggiudicarsi la «macchenétte de Criste a la cannèdde», sia il modo in cui veniva interpretata la volontà divina per alcune manifestazioni o fatti della vita quotidiana. Non c’era anno che non scoppiasse qualche lite, spesso provocata ad arte, per aggiudicarsi la statua, ma la tradizione alla fine veniva rispettata: era una questione d’onore poter «uscire» col Santo.

CRISTO CON LA CROCE ADDOSSO
Responsabile e custode di tale Mistero è la famiglia Vernola, ma i soci sono tanti. La statua, di legno di pero, una volta era illuminata da candele a cera, ora, invece, da luci a batteria. Da circa vent’anni è stato ammodernato raddobbo, in particolare la cupola e la colonna di legno massiccio, per cui il peso si è dimezzato: dai sette-otto quintali si è passati ai quattro attuali.

SAN GIOVANNI
Nato ad opera di tanti soci nel 1894, ora è custodito cd abbellito dalla famiglia di Pascazio Saverio. Esso fu aggiunto ai primi Misteri perché mancava la figura di quel santo tanto vicino a Gesù durante la Passione. Il Pascazio era tanto preso dall’avvenimento «du monde» che se lo sognava spesso e grande era la cura che riponeva nell’allestirlo. La presenza dei bambini, che per ex voto venivano vestiti come San Giovanni e precedevano la statua durante la processione, lo faceva adirare, giacché la gente finiva per guardare più loro che il santo!

IL CALVARIO
Il Mistero di Cristo in croce fa capo alle famiglie soprannominate rispettivamente «la mècce» e «Ombrelle», Cavallo e Ruccia, ma ci sono tuttora diversi altri soci. La prima statua del Calvario con la Maddalena ai piedi, voluta dal Sacro Monte di Pietà, fu sostituita con la nuova ai primi del novecento: autore un leccese. Nel 1914 la statua subì un grosso danno a causa del tarlo e fu chiamato un austriaco per il restauro: il legno fu ridipinto e l’intervento in tutto venne a costare cinquantotto lire. Una volta lo squilibrio del peso provocò la lussazione dell’omero a Edoardo Romita, quando la processione dovette affrontare una cunetta. Per questo ed altri motivi, fra cui il deperimento, la croce, tanto alta, fu rifatta nel 1956 e, sotto la nuova, fu posto un ceppo di ulivo, quasi ad indicare il Monte Calvario. A proposito del Calvario si racconta di un modugnese che, per un ex voto, donò cinquecento lire di carta che il Cristo portò legata al braccio per vent’anni. Negli anni Trenta la cifra doveva avere un valore considerevole e sicuramente avrebbe potuto far fruttare un interesse economico notevole, ma anche questo era un modo per manifestare la propria devozione.

CRISTO MORTO, OVVERO LA “NACHE”
È un Mistero che ha origine dall’Opera Pia e conta venti soci che si tramandano l’adesione di padre in figlio: il più anziano è Domenico Lacalamita. La statua origina ria, sostituita nel 1952, è custodita nella chiesetta di Sant’Anna e reca incisi i nomi dei soci fondatori. L’addobbo floreale, molto semplice, è ogni anno costituito da garofani bianchi e rossi. Segno particolare che accompagna questo Mistero è il dolore e il silenzio manifestato dalle donne che, vestite a lutto, formano un cordone intorno alla «nache», termine dialettale, molto suggestivo e colmo di tenerezza, che indica la culla.

LA VERONICA
È di proprietà di diversi soci fondatori, il più anziano dei quali è Antonio Longo. Il Mistero nacque, per così dire, nel 1931, il giorno del Venerdì Santo, quando un gruppo di amici decise di «fare un santo». Essi si recarono da un’anziana donna modugnese per essere consigliati (Quanta stima e fiducia nella saggezza dei vecchi!). La scelta cadde sulla Veronica che mancava nella processione «du monde». Ciascuno di quegli amici da quel giorno fece sacrifici per risparmiare e mettere da parte i soldi necessari per comprare la statua: quattrocento lire. Dopo sei mesi, la consegna. Nel 1933 fu allestita anche la base; queir anno la Veronica «uscì» per la prima volta, e furono i devoti ad offrire i fiori. Molti anni dopo, la cupola fu eliminata per il peso. Anche la Veronica come molte altre statue più nuove fu prodotta da una ditta leccese: la «Giuseppe Manzo».

L’ADDOLORATA – LA PIETÀ
La società costituita intorno a questo Mistero è formata da ventiquattro soci e l’adesione viene tramandata di padre in figlio. La famiglia che ne cura la custodia e l’allestimento è quella di Giuseppe Corriero. «Vestire la Madonna» è un rito che ogni anno si ripete con grande devozione: il mercoledì santo si preleva la statua dalla chiesetta di Santa Lucia e le si cambiano camicie e vestiti «vecchi» con quelli «nuovi». Guardando da vicino quei gesti si può toccare con mano l’umiltà e la gioia di chi li fa: non si può nascondere una certa emozione nell’osservare il viso della statua così piccolo ma espressivo nel dolore e quella figura così esile e smarrita nel pur capace vestito nero. Il viso della statua è quello originale del Monte di Pietà, come pure l’aureola, il pugnale d’argento, il busto e le camicie, mentre sono stati rifatti il vestito di pizzo e la base che reca la data del 10 febbraio 1953. L’angelo che sovrasta la statua e che reca nelle mani un fazzoletto col volto di Cristo, è originale del Monte di Pietà ed è custodito dalla famiglia Tricarico. Nel corso di tanti anni i devoti hanno donato gioielli in oro per grazie ricevute: quell’oro fuso è stato usato per forgiare un nuovo pugnale ed una «M», lettera iniziale di Maria.

LE TRE MARIE E LA DEPOSIZIONE
I due Misteri sono nati insieme nel marzo del 1946, il primo per desiderio di Tommaso Lomoro, il secondo per la devozione di quattro fratelli: Giuseppe, Agostino, Antonio e Filippo Corriero. Si era nell’anno 1945: il Lomoro insieme con i Corriero, decisi nella propria scelta, intrapresero il viaggio verso Lecce, diretti alla ditta «Manzo» per ordinare la statua. Ad un chilometro da Bari, sulla strada, trovarono un involto pieno di tre chili di carne d’agnello, probabilmente smarrito da «ne trainière» (un conduttore di traino) che li precedeva. Dati i tempi assai magri, quello fu un vero ben di Dio! La cosa fu interpretata da tutti come segno di prosperità e benessere. In modo particolare per il Lomoro, la scelta di allestire un Mistero nascondeva un segreto desiderio: avere un figlio. Ebbene, a distanza di un anno da quel viaggio, quando doveva «uscire» il Santo per la prima volta, in casa sua nasceva una bambina, tanto desiderata! Le statue delle Pie Donne costarono trentaduemila lire. Esse sono custodite attualmente nella chiesa delle Monacelle. Durante il colloquio con il Lomoro è emerso un grande desiderio di vedere restaurata questa chiesetta e quella di San Vito; quest’ultima sicuramente ha avuto molta importanza nella storia della processione dei Misteri, in quanto prima sede della Associazione caritativa Opera Pia del Sacro Monte di Pietà. Accanto ad essa infatti sorgeva l’ospedale, unico ricovero per i malati poveri modugnesi.

LA MADDALENA
Voluta da Paolo De Benedictis, deceduto poi durante la seconda guerra mondiale, è stata, dal 1956, allestita sempre dalla stessa famiglia con grande cura e devozione. Negli ultimi anni è stata affidata a Raffaele Falagario. È da ricordare che il vecchio Mistero del Calvario aveva la Maddalena ai piedi: di quest’ultima si prendeva personalmente cura una certa Anna Cavallo, moglie di Giacinto D’Aprile. La donna pettinava i lunghi capelli biondi e vestiva la statua: era un rito che si ripeteva ogni anno per un ex voto.

IL LEGNO SANTO

Negli anni Cinquanta la piccola scheggia della Croce della Passione di Cristo fu donata, con documento di autenticità, alla Parrocchia di Sant’Agostino dalla contessa Ricciardella. Nel 1964 per la prima volta i giovani della parrocchia portarono a spalle il Legno Santo, ma da alcuni anni esso viene portato fra le mani dal sacerdote che accompagna la processione.

SPIGOLANDO FRA I MISTERI
Durante la processione del Venerdì di passione, davanti ad ogni Santo portato a spalle, si possono notare dei ragazzini provvisti di mazze: queste sono fornite di ganci che servono ad appoggiare le assi delle basi, dando modo così ai «portatori» di riposare o di procedere al cambio, durante le fermate. È anch’essa una consuetudine che pare ancora viva e abbastanza sentita dai piccoli. Dagli ultimi anni dell’Ottocento fino ai primi decenni del Novecento le manifestazioni del Venerdì Santo erano e, in parte sono, ancora svolte in costume: alcuni usavano vestirsi con gli abiti della confraternita religiosa alla quale appartenevano, ma ciò poi cadde in disuso. Reminiscenza di quell’abbigliamento è la «scazzétte», piccolo copricapo nero di velluto, spesso impreziosito di ricami scintillanti, simile a quello ebraico. Negli ultimi anni anche la «scazzétte» è andata in disuso. Per alcuni partecipanti sono rimasti i guanti, la cravatta e l’abito nero, che sono d’obbligo per quei Misteri ritenuti più seri. Una nota di colore è data dai bambini che si usa ancora mandare vestiti da piccoli santi, a seconda di quello scelto per grazia ricevuta.
Come ogni processione, anche «u monde» si snoda con un incedere lento e cadenzato che conferisce ad ogni Santo un’aria solenne, ma che talvolta, quando è accentuato, può essere interpretato come fanatismo. Probabilmente quel modo di spostarsi è reso necessario dal ritmo da rispettare per sopportare meglio il peso e sostenerlo all’unisono, Inoltre, quei movimenti lenti e ritmici dovevano servire nei tempi antichi a scuotere l’animo dei peccatori e ad incitarli a ravvedersi e convertirsi.

IL RISCHIO DEL DESERTO
Molto è stato scritto e detto sulla religiosità popolare e sui modi di manifestarla da parte di studiosi appartenenti alle più disparate aree culturali. Non manca il punto di vista cattolico: la chiesa, infatti, proprio negli ultimi tempi ha rivolto una certa attenzione al problema della religiosità popolare.

Il link per scaricare l’articolo completo:

Il mondo di una comunità nei Misteri

La pietà popolare nella Settimana santa

Riproponiamo una riflessione sulla "Pietà popolare nella Settimana Santa" tratta dall'archivio storico della nostra rivista, pubblicata nel 2003 (Anno III, n. 2 - Maggio 1981) a firma del prof. Raffaele Macina.
Buona lettura
mp

Non c’è dubbio che la Settimana Santa sia il momento più ricco ed intenso non solo di riti liturgici canonici, ma soprattutto di pratiche e culti ideati o semplicemente conservati dal popolo che, a dispetto del tempo, riversa in essi tanta parte della sua mentalità di lunga durata. Ed in effetti, nonostante sia stata denominata diversamente a seconda della sensibilità del momento storico (“Settimana grande o maggiore”, “Settimana d’indulgenza”, “Settimana di fatiche e di stenti”, “Settimana ultima” ed infine “Settimana Santa”), sempre essa ha visto una straordinaria partecipazione di popolo.
Il venerdì di passione, che precede la Domenica delle Palme, preannunzia la tragedia di Cristo con la processione dell’Addolorata, che rinnova l’eterno peregrinare della madre alla ricerca del figlio perduto. Un triste presagio non manca neppure nella domenica del trionfo, quando Gesù, già acclamato dalla folla, piange su Gerusalemme.
Molte le usanze della Domenica delle Palme che ancora oggi si rinnovano: in alcuni centri agricoli non mancano contadini che, dopo il rito religioso, si recano nei campi e, come atto propiziatorio, piantano la palma appena benedetta; radicato è ancora il pregiudizio che chi distrugga una palma benedetta sarà colpito da sicura disgrazia.
A Taranto, proprio il giorno delle Palme, si svolgono due aste per l’aggiudicazione dei santi da portare in processione: nell’oratorio della chiesa di S. Domenico si celebra la gara per l’aggiudicazione della Madonna Addolorata; nel palazzo della Provincia vengono contese le statue della processione dei misteri. Si tratta di un appuntamento solenne, al quale possono partecipare solo i membri delle confraternite di San Domenico e del Carmine che ambiscono tutti a conquistare il mistero di Cristo morto o quello dell’Addolorata.
Assai richiesta è anche la troccola, il cui suono sostituisce dopo la morte di Cristo quello delle campane: grazie ad essa, il confratello che se l’aggiudica riveste un ruolo particolare durante la processione dei misteri.
I primi tre giorni della settimana santa sono dedicati alla pulizia della chiesa, alla predisposizione del sepolcro, agli ultimi lavori per l’allestimento delle statue. Una cura singolare viene rivolta alla sistemazione intorno al sepolcro di vasi ricolmi di esili germogli di semi di grano, piantati all’inizio della quaresima e tenuti al buio. Un particolare che esprime il tipo di devozione popolare è rappresentato dai lavori di pulizia del “corpo” e di vestizione della Madonna Addolorata, rigorosamente riservati a ragazze vergini e nubili.
Tutto deve essere pronto per il giovedì santo, quando ogni fedele è obbligato a visitare sette sepolcri, numero che per la tradizione orfìco-pitagorica simboleggia il matrimonio e l’unione perfetta fra uomo e donna. Nel Salento, e in particolare nell’area della Grecia, si va recuperando negli ultimi anni un’antica tradizione, quella di “Santu Lazzaru”, sino a qualche decennio fa assai diffusa e praticata dal lunedì al mercoledì santo: gruppi di persone, per lo più composti da due giovani ed un anziano, vanno in giro e dopo aver cantato davanti ad ogni casa le strofe di “Santu Lazzaru”, tutte ispirate alle sacre rappresentazioni medievali della passione di Cristo, chiedono la questua. Diversi sono i centri pugliesi che, sempre all’insegna delle sacre rappresentazioni medievali, animano particolari versioni della Via Crucis: suggestiva quella di Ruvo, in provincia di Bari, che, con i suoi numerosi figuranti scalzi e vestiti con abiti d’epoca, avanza fra il suono cupo e sordo delle troccole.
Ma il momento culminante dei riti della settimana santa è dato dalle tante processioni dei misteri che sembrano unire le genti di Puglia in una comune atmosfera spirituale. Al proposito, è possibile scoprire in ogni paese, anche piccolo, veri e propri capolavori di arte povera e tradizioni del tutto particolari: dai 5 misteri di Molfetta ai 33 di Ceglie del Campo, dalle cinque croci di Vico del Gargano al Legno Santo di Bitonto; in ogni centro la solenne processione del venerdì santo mescola al sacro qualche aspetto profano che rinvia a leggende o a precisi momenti della propria storia.
Non c’è pugliese che non sia sensibile al fascino della processione dei misteri. Si tratta di un appuntamento a cui non si può mancare: il suo richiamo, forte e ancestrale, sospinge tanti emigrati a presentarsi puntuali il venerdì santo nei loro paesi per assistere a sera inoltrata e in alcuni luoghi anche nel pieno della notte allo snodarsi per le strade di Madonne, santi e soprattutto dei momenti della passione di Gesù che rinviano all’eterna lotta fra tenebre e luce, morte e vita.
Quello della processione dei misteri è per i pugliesi un momento di vita corale che, annullando le personali posizioni di fronte alla religione, manifesta la presenza di una radice comune; una radice antica che, a dispetto dell’opera nullificante della globalizzazione, rinvia a pratiche misteriche dell’area mediterranea e, in particolare, di quella magno-greca.
Già Plutarco, quasi 2000 anni fa, così rappresentava l’atmosfera grave e solenne delle processioni dei misteri, di ispirazione non cristiana, ancora assai diffuse nel mondo greco-romano nel primo secolo dopo Cristo: “Dapprima erramenti e giri affannosi, e in mezzo all’oscurità un vagare tormentoso e senza speranza di salvezza; quindi ogni cosa apparisce piena di dolore, di ribrezzo, di terrore, di sudore e di sgomento”.
Con quegli “erramenti e giri affannosi” si intendeva raffigurare la sofferenza di Demetra, sorella di Zeus e madre divina della terra e dei suoi frutti, che per nove giorni cerca invano la figlia rapita e involata da Plutone nell’Ade, l’eterno regno delle tenebre.
Ma Plutarco non si limita alla rappresentazione dell’atmosfera del primo momento della processione dei misteri e assai incisiva è la descrizione della fase finale: “Poscia sottentra una luce meravigliosa, ovvero accolgono lo sviato luoghi e campagne amene, piene di dolci suoni, di danze, di canti e di apparizioni belle e sacre”. Viene simboleggiata così la gioia incontenibile di Demetra che il decimo giorno non solo ritrova finalmente la figlia Persefone, ma ottiene da Zeus che ella viva nel regno delle tenebre per quattro mesi dell’anno, a partire dall’autunno, e sulla terra per i restanti otto, a partire dalla primavera.
È evidente nei due momenti delle antiche pratiche misteriche la volontà di simboleggiare l’eterno ritorno della vita e della morte e il loro continuo avvicendarsi, che è l’essenza stessa non solo del ciclo della natura e del lavoro dei campi, ma anche del destino dell’uomo che acquista significato unicamente nella prospettiva dell’immortalità. Per questo, è fondamentale aprirsi all’orizzonte dell’eternità impegnandosi nel culto di Demetra, al quale è necessario farsi iniziare per mezzo di speciali riti segreti e perciò misteriosi; riti che hanno senso solo all’interno di un gruppo o di una comunità e che, trascendendo l’intelligenza e l’uso vigile dei sensi, impongono all’individuo di abbandonarsi a precise pratiche cultuali.
Non è diffìcile scorgere ancora oggi gli echi degli antichi misteri. Un canto popolare ancora diffuso in molte zone della Puglia recita: Mo’se ne véne scevedì sande,/Madre Mari se métte u mande/e non avève che ce sci/e sóla sóla se ne partì/ e chiangéve per 1 suoi dolori/ che avéva pèrse il suo figliòle (Ora arriva giovedì santo,/ Madre Maria indossa il mantello/ e non avendo con chi andare,/ se ne partì sola sola/ e piangeva per i suoi dolori/ che aveva perso suo figlio). Come non vedere in questa immagine della ‘Madonna Addolorata che è centrale nei riti della settimana santa e nella processione dei misteri del venerdì santo il rinvio a Demetra che disperata e sola va in giro per il mondo alla ricerca della figlia?
Sino a qualche tempo fa, in alcuni centri della Murgia la processione dei misteri si dirigeva m campagna, dove m un clima di vibrante pathos la Madonna ritrovava suo figlio; la scena registrava la presenza di numerosi bambini vestiti da angeli che impugnavano panieri ricolmi di grano e di altri frutti della madre terra. Prima che la processione riprendesse la via del ritorno in città, il sacerdote benediceva i campi e le messi appena spuntate.
Ecco, l’essere membro di una comunità di iniziati ai riti misterici significava, e forse significa ancora oggi, non solo introiettare immagini che hanno un grande potere simbolico, ma essere convinti di meritare un lieto avvenire dopo la morte. Di riflesso, per i non iniziati si apre invece un destino di dannazione ad una pena eterna.
E forse ancora oggi, a proposito del radicamento delle processioni del venerdì santo, così capillarmente diffuse nei centri pugliesi, si potrebbe ripetere quanto afferma Sofocle: “Tre volte felici quei mortali, i quali hanno contemplato questi sacri riti, allorché tocca loro di scendere nell’Ade; per essi soltanto esiste nel mondo di là una vita, per gli altri non v’hanno che affanni e pene”.Non è diffìcile, dunque, riconoscere nello snodarsi lento e solenne delle processioni del venerdì santo le influenze delle pratiche misteriche assai diffuse nell’area magno-greca: siamo di fronte ancora oggi a riti serali e/o notturni che si svolgono fra il chiarore delle fiaccole e gli esaltamenti prodotti dalla musica; e, d’altra parte, i contenuti riguardano ancora la storia e la vita della divinità celebrata, in particolare le sue sofferenze, la sua morte e il suo eterno ritorno.
Ma, forse, il dato che conferisce alle nostre processioni dei misteri quel fascino che sempre si rinnova è legato al paradosso di un Dio che accetta di svuotarsi: Cristo, “l’unto del Signore”, si è spogliato della sua divinità e si è rivestito della natura umana, condividendone le gioie, le pene e persino la morte. Amare un “Dio impotente”, condividerne la parabola umana, riconoscere il dolore e le sofferenze come segni di identificazione della sua e, ancor più, della nostra vita sembrano essere i tratti caratterizzanti del venerdì santo.
Ed ecco, allora, quel pathos vibrante che accomuna le due ali di popolo mentre la processione, avanzando, rievoca e rinnova l’eterna passione del Dio impotente, dalla quale ogni uomo attinge nuova linfa per affrontare la sua quotidiana passione.
In effetti, in tutte le processioni del venerdì santo, che ancora oggi si svolgono nei numerosi centri della Puglia, sono immancabili quelle statue che ripropongono i momenti più salienti della divina tragedia: Cristo nell’orto del Getsemani che sperimenta la solitudine e l’abbandono persino del “padre suo”; San Pietro, ora assai contrito per aver rinnegato tre volte il maestro; Cristo flagellato alla colonna; la Maddalena e la Veronica, capaci di un gesto di solidarietà; la “nache” (culla), tutta infiorata, di Gesù morto e, infine, la Madonna Addolorata che in diversi centri chiude il corteo.
Presente è ancora la Croce con i simboli della passione: il gallo di Pietro, la lancia che trafisse il costato, l’asta con la spugna imbevuta d’aceto, la mano dello schiaffo, la scala e, infine, i più temibili strumenti di tortura: i tre chiodi, il martello e la tenaglia.
Non manca talvolta qualche bambino vestito da centurione per evocare l’età in cui fu compiuto il deicidio; un’età alla quale rinviano anche altri elementi che hanno finito coll’assumere un semplice valore simbolico. E’ il caso della bassa banda (flauto, piatti, tamburo e grancassa) con la quale si apre dappertutto la processione dei misteri: si intende così richiamare la pratica di Roma imperiale di far precedere sempre un corpo militare da tamburi e trombe. E, appunto, fu proprio una coorte romana, guidata da Giuda, a catturare Gesù nel Getzemani.
Ma, al di là della rievocazione, lo snodarsi della processione dei misteri offre oggi una occasione salutare e irripetibile nell’anno: in queste nostre città in cui il traffico finalmente tace del tutto e la stessa illuminazione pubblica è inibita per qualche ora, è possibile rivivere la dimensione del silenzio, da sempre propedeutica alla riscoperta della propria interiorità.
E, dopo i misteri, ecco prepotente il trionfo della vita, ecco il recupero, sempre più forte negli ultimi anni, de la scarcédde, questa specie di ciambella antica, adornata di un numero dispari di uova, che la ragazza nubile confezionava con le proprie mani e regalava con intento benaugurale al suo promesso sposo il dì di Pasqua.

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[2003] Pietà popolare nella settimana Santa

31 dicembre 1887

Relazione del Sindaco di Modugno sullo stato di salute dei bambini

Una relazione del Sindaco afferma che durante l’anno lo stato di salute dei bambini modugnesi è stato particolarmente negativo, poiché essi sono stati in massa «afflitti da difterite e morbillo».

Buon anno 2023

La rivista “Nuovi Orientamenti” augura ai propri lettori, nonché a tutta la cittadinanza, gli auguri più sinceri per un sereno anno nuovo, sperando che possa portare pace e serenità.
Il 2023 lo dedichiamo a Tommaso Di Ciaula, con l’intento di richiamare l’attenzione sulle sue opere, così come è stato fatto con la pubblicazione del libro “Tommaso Di Ciaula tra fabbrica e poesia” a cura del prof. Serafino Corriero (Edizioni Nuovi Orientamenti, Modugno, 2022 pp. 175).
Buon anno a tutti

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26 dicembre 1860

Nota spese del Comune di Modugno per le spese del plebiscito del 21 ottobre 1860

Il Comune di Modugno invia all’Intendenza di Bari la nota delle spese erogate in occasione dell’organizzazione nella città del plebiscito del 21 ottobre 1860 con il quale si era decisa l’annessione del regno delle due Sicilie al Regno d’Italia.

20 dicembre 1212

Federico II dona anche Modugno all’arcivescovo di Bari Berardo Costa

Federico II dona anche Modugno in feudo all’arcivescovo di Bari Berardo Costa: «Concedimus et confirmamus ipsi et Baren Ecclesiae suae in perpetuum Bitrictum, Meduneum…»

18 dicembre 1620

Obbligo di rispettare la Convenzione del 1511 tra le Università di Bari e Modugno

Nuovo decreto del Consiglio Collaterale di Napoli che obbliga le Università di Bari e Modugno ad osservare la convenzione tra le due città risalente al 1511, che disciplinava i diritti di bonatenenza per i cittadini modugnesi che possedevano terreni nel demanio di Bari; in particolare era stato fissato che la «città di Modugno pagasse ogni anno a quella di Bari ducati 66, di cui 20 per tutta quella quantità di olio che nasceva nei poderi dei Modugnesi nel territorio di Bari e ducati 46 per i beni burgensatici posseduti dai cittadini medesimi nel territorio stesso».

17 dicembre 1876

Viene istituito a Modugno un “ospizio di mendicità”

Viene istituito a Modugno un «ospizio di mendicità» in alcuni locali dell’ex convento dei Cappuccini.

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