Nel XIV secolo aveva 300 abitanti circa
Anno XIX N. 82 Aprile 1997
Massimo Salvatore Caradonna
Pubblicati i primi due capitoli della tesi di laurea del neo architetto
1092 BALSIGNANO (Giuseppe Ceci)
I due conventi benedettini intitolati a San Lorenzo furono fondati alla fine del secolo X […] e formarono una badia che dalla nuova città, sorta nel secolo seguente, prese il nome di San Lorenzo di Aversa. La sua giurisdizione, tra il XII e il XIII secolo, si estendeva in Campania e in Puglia su ottanta chiese, presso le quali erano monasteri, grande con villaggi e larghi e pingui territori. Tra gli altri possessi era il castello di Balsignano che, con tutte le appartenenze, terre coltivate e incolte, oliveti, vigne e pascoli, era stato donato alla Badia Aversana dal duca Ruggero nel maggio 1092.
962 IL PRIMO DOCUMENTO
Balsinianum, derivazione, attraverso Balisinianum, del primitivo Basilinianum, fu con molta probabilità in origine un podere appartenente ad un tale Basilio, (ager Basilit). Si tratterebbe, dunque, di un nome prediale di età romana), anche se non è rimasta nessuna emergenza archeologica a dimostrarlo. In ogni caso che il documento parla di una via antica, di una lama e di una strida (viuzza antica). Ivi a poco a poco si formò una borgata, della quale la prima notizia ci è data da uno strumento del maggio 962 dell’archivio di San Nicola. Il documento accerta che allora il borgo era munito di un castello de ipsi Dalmatini, testimonianza questa di immigrazioni da oltre Adriatico.
988 I SARACENI
Sulla fertile contrada e su questo come sugli altri borghi delle vicinanze di Bari passò nel 988 la furia devastatrice dei Saraceni; ma l’opera industre dei contadini allora e poi, dopo altre scorrerie guerresche, ricominciò e continuò tenace a rinnovare le coltivazioni e le piantagioni.
XI-XII sec. I BENEDETTINI
Quale contributo all’estensione delle culture e alloro miglioramento portarono qui i Benedettini, ai quali la “Regola” imponeva colla preghiera il lavoro e fra gli altri quello dei campi, non sappiamo. Nessun particolare della vita di questa grancia è rimasto nelle cronache o nei documenti. Soltanto gli avanzi della costruzione primitiva ricordano l’opera dei monaci e la loro permanenza qui tra la fine dell’XI e quella del XIII secolo. In quest’ultimo tempo appare già dismessa la comunità religiosa di Balsignano.
1292 FEUDO
Non era ben chiaro in principio se doveva considerarsi come feudo o come allodio. Ruggiero della Marra, che ne era in possesso nel 1292, ne fu ritenuto feudatario e come tale segnato nell’elenco dei baroni di Terra di Bari compilato in quell’anno.
1349 FEUDO
[…] Franco de Carofilio, protontino di Bari, […] si trovò a possedere Balsignano quando queste contrade furono funestate dalla guerra tra il ramo napoletano e quello ungherese della famiglia angioina. Nel luglio 1349 si combatteva in Terra di Bari […].
Le milizie mercenarie dell’uno e dell’altro partito erano ingrossate temporaneamente da Pugliesi, mossi da odii per fazioni locali o da rivalità di campanile. Anche il casale di Balsignano fu coinvolto nella lotta, parteggiando per gli Ungheresi.
ASSEDIO
I Baresi ne concepirono propositi di rappresaglia, alla quale si abbandonarono appena potettero: corsero sul casale di Ceglie e lo devastarono interamente. Alla stessa cosa si accinsero poi per quello di Balsignano; ma giacché questo aveva un castello alquanto forte lo occuparono con l’inganno (Notar Domenico da Gravina).
FORTIFICAZIONE II
I diritti della Badia non furono ulteriormente turbati, come si evince dalla riconcessione che essa fece l’11 agosto 1352 al protontino Franco de Carofilio e a sua moglie Palagana de Monticolo del casale di Balsignano “pel mite canone di 20 oncie annue”, perché egli potesse rifarsi delle spese delle fortificazioni.
1528 ABBANDONO
Nel 1528 troviamo il borgo vuoto di abitanti, trasmigrati nella vicina. Modugno, le case dirupate e il castello devastato. La distruzione era avvenuta nella guerra del 1503, o più recentemente nella primavera del 1528 per il rinnovarsi della lotta, combattuta qui aspramente, tra Francia e Spagna per la conquista del regno napoletano.
QUANTI ABITANTI?
Ma in quanti erano stati ad allontanarsi per sempre dalle casette avite, a quale numero era ascesa la popolazione del villaggio allora distrutto? Per calcolarla non abbiamo dati sicuri né per il tempo anteriore alla metà del secolo XIII né per quello posteriore all’inizio del XV, mentre per il periodo intermedio abbiamo soltanto dati approssimativi. Conosciamo cioè quale cifra era stabilita per Balsignano nella imposta della sovvenzione generale o colletta e sappiamo che questa era assegnata secondo il numero dei fuochi.
Balsignano è segnato nelle Cedulae Taxationis del:
1276- 77 per oncie 4, tari 3 e grana 12;
1277- 78 per oncie 4, tari 22 e grana 3;
1278- 79 per oncie 4, tari 26 e grana 3;
1289- 90 per oncie 3, tari 20 e grana 14;
1343- 44 per oncie 3, tari 20 e grana 14.
Nel primo caso i fuochi sarebbero stati 41 o 56, nel secondo 48 o 58, nel terzo 53 o 73: cifre che non danno una base sicura di calcolo, ma permettono soltanto di segnare approssimativamente a circa 60 il numero dei fuochi, anche tenendo presenti le esenzioni dalle imposte degli ecclesiastici. Questo numero, moltiplicato per 5 (media dei componenti di ciascuna famiglia), fa ascendere a circa 300 gli abitanti di Balsignano alla fine del sec. XIII (Giuseppe Ceci).
BALSIGNANO ACTUALIS
Balsignano si presenta al visitatore attuale con una prima cinta di mura in forma di trapezio, fortificata da torrette e munita di camminamenti interni.
Una seconda cinta, inserita nel muro a sud della prima, è notevolmente più piccola e racchiude in una corte le due alte torri del castello (di cui quella ovest parzialmente crollata), gli ambienti intermedi fino a pochi anni fa raggiungibili al primo piano attraverso una scala a doppia rampa, ora crollata, e la chiesa di S. Maria di Costantinopoli.
Fra la prima (in prossimità dell’angolo fra i muri sud ed est) e la seconda cinta di mura vi è il vero gioiello architettonico del complesso: la chiesa di S Felice, dichiarato monumento nazionale.
Riassumendo, sono almeno tre gli elementi del complesso monumentale che richiedono un’indagine critica: la corte fortificata con l’annessa chiesa di S. Maria di Costantinopoli, la preziosa costruzione a cupola di S. Felice, le mura di cinta dell’intero complesso.
Partiamo da questi ultimi: è credibile che in Balsignano si trovi l’unico esempio di cinta alto-medievale in ambito rurale della Puglia centrale, secondo quanto riporta Pierfrancesco Rescio sul periodico «Fogli di periferia».
In tempi a noi vicini la cinta muraria è stata modificata: in particolare il muro est è stato spostato di qualche metro verso l’attuale strada Modugno-Bitritto, mentre a metà circa dello stesso sono stati realizzati due pilastrini in calcestruzzo che sorreggono un cancello in ferro.
Il muro a nord è irrobustito da tre torrette praticabili (probabilmente in origine dovevano essere quattro) che per motivi sia statici sia di difesa sono costruite in muratura a secco con pareti in pietra calcarea locale di conci più o meno squadrati e lavorati secondo la posizione.
La chiesetta a cupola estradossata di S. Felice, di eccezionale qualità nel taglio stereometrico delle pietre e nel disegno architettonico generale, presenta l’annoso problema del “corpo rustico” ad essa collegato: cioè quale delle due navatelle sia più antica.
San Felice desta vivo interesse per la singolarità o libertà della sua pianta, per l’elegante semplicità della sua architettura e decorazione, per le incertezze stesse originate dallo stato presente dell’edificio in parte rovinato.
Una nave, orientata da ovest ad est, di muratura raffinata, è fiancheggiata, a nord, da un’altra di rozza fattura in pietre a secco: innanzi all’una e all’altra si scorgono tracce evidenti di un portico. La pianta della prima è formata da due rettangoli disuguali, essendo il primo più corto, che hanno in mezzo un quadrato e finiscono in un semicerchio. Di queste due parti, innestate l’una all’altra, ci si chiede quale sia la più antica, se quella ideata con bella armonia di linee ed eseguita con tecnica perfetta o l’altra messa insieme col sistema millenario e tuttora usato dei trulli. In altri termini i Benedettini che vennero a Balsignano alla fine del sec. XII trovarono una vecchia chiesetta rurale che conservarono in parte, quando nel principio del secolo seguente elevarono accanto ad essa la nuova col sistema allora in onore dell’architettura a cupola; oppure se della chiesa che essi costruirono una parte rovinò (forse nella guerra del 1348-49) e fu rifatta alla meglio col metodo meno costoso della muratura a secco.
Delle due ipotesi, vagliate dal Ceci, la seconda ci sembra decisamente più plausibile, laddove non se ne voglia aggiungere una terza: cioè che la parte bizantina presumibilmente crollata non sia mai stata costruita.
Comunque, è certo che delle due navate della chiesetta, una rustica in pietra calcarea costruita a secco e una perfettamente finita con preciso taglio stereometrico, la seconda è sicuramente più antica: in primis perché non si capisce per quale motivo gli abilissimi maestri costruttori che hanno eretto la navata bizantina, l’abbiano dovuta concepire quale compimento o parziale ricostruzione di quella rustica; in secondo luogo perché l’arcata centrale della parte rustica nasce all’imposta da un moncone di arco ben lavorato, il quale o è crollato o non è stato mai finito, e comunque è sicuramente precedente.
Ulteriore elemento da notare è l’arcone d’ingresso, lavorato e sbozzato finemente, che sorregge la volta della prima campata insieme ai due pezzi di cornice affogati nel muro d’ingresso del rustico.
Sulla base di queste considerazioni, possiamo affermare che la cellula di pietra irregolare è stata costruita a chiusura e compimento dell’impianto bizantino, il quale prevedeva nel modello originale una cellula di dimensioni ridotte; forse un ambiente di servizio.
Rimane il dubbio sulla parte nord della chiesa, dove ora c’è il corpo rustico. Se quella parte fosse crollata, ne avremmo ritrovato almeno qualche pezzo col suo taglio regolare incastonato fra le pietre grezze, per cui è plausibile che l’ambiente annesso non sia mai stato finito.
Il terzo elemento di indagine è la corte con le due alte torri e la chiesetta, inserita nel castello, di S. Maria di Costantinopoli.
Si può ipotizzare che la chiusura del castello, nell’andamento attuale, sia stata eretta dopo quella esterna (in coincidenza dell’arrivo dei Benedettini?). Il muro d’ingresso al castello, per esempio, presenta una soluzione di continuità nella zona centrale dove dalla parte a destra, comprendente la porta d’ingresso costruita da mattoni in pietra a taglio regolare, si passa a quella di sinistra con pietra a taglio irregolare. Questa cesura ci porta a pensare che la parte sinistra sia stata aggiunta successivamente, a seguito delle esigenze dei nuovi abitanti: possiamo supporre che la popolazione di Balsignano si era di molto ridimensionata e che la cinta esterna delle mura avesse perso importanza.
Di qui la chiusura del castello con nuove e più alte mura; proprio l’arcone d’ingresso, in origine carrabile, è stato ridimensionato ad una piccola porta, che presenta nella parte interna dei conci in pietra finemente lavorati con bassorilievi floreali.
Appare evidente che i conci della porta disposti ad ogiva sono stati montati in maniera casuale non rispettando la loro naturale composizione, ed anche i conci che formano le reni dell’arco sono stati ricomposti ignorando l’ordine originale.
La conclusione da trarre è che il portale era costruito originariamente in un altro punto del complesso ed è stato rimontato nella posizione attuale per ridimensionare l’ingresso. L’operazione sarebbe spiegabile se a realizzarla fossero stati i Benedettini, i quali tendevano ad isolarsi e a ridurre al minimo i rapporti con l’esterno.
In questa ottica inoltre dobbiamo tentare di spiegare il perché a poche decine di metri si trovino due chiese; di cui una finemente lavorata (San Felice) e l’altra dalle linee tipologiche e decorative più sobrie.
La ricchezza di quella esterna si spiega col fatto che probabilmente essa costituiva una tappa nel viaggio dei pellegrini di passaggio sulla antica via romana che collegava Bitonto a Ceglie, e quindi era sostanzialmente dedicata ai fedeli con funzione di richiamo.
Quella interna poteva essere invece ad uso dei soli monaci: si spiegherebbe così la disparità di trattamento dei paramenti esterni. Le finestre riccamente lavo rate nella parte esterna e gli affreschi della chiesa di S. Maria sono l’eccezione decorativa che conferma l’utilizzo contemporaneo ma distinto delle due chiese; gli affreschi erano utilizzati tra l’altro a fini educativi e divulgativi.
Anche tipologicamente non vi sono tra le due chiesette elementi comuni. Nel S. Felice abbiamo sostanzialmente, eccettuando il corpo rustico, un’unica navata coperta a botte, divisa in tre campate, due rettangole e quella centrale quadrata che all’esterno nella parte superiore diventa ottagona ed all’interno sorregge i pennacchi di raccordo con la cupola.
S. Maria di Costantinopoli ha invece una pianta irregolare derivante dalla giustapposizione dell’aula d’ingresso, inizialmente coperta da crociere ogivali, con un altro corpo trasversale coperto a botte, il quale doveva forse costituire il transetto di una più ampia ed antica chiesa, probabilmente coperta a capriate.
Il vano con abside, chiuso rozzamente nella parete ovest, sembra tronco di una parte che se eretta avrebbe rappresentato un’unica grande aula di tipo paleocristiano, come mostra la parete sud che contiene una serie di archetti.
Quest’ultima ipotesi, forse un po’ azzardata rispetto ai riscontri iconografici, viene posta in discussione dalle due finestre che permettono l’illuminazione delle due aule.
Nella parte esterna esse presentano, come già accennato, bassorilievi che intessono dentelli a punta di diamante nelle cornici.
Le due finestre sono sicuramente coeve, e quindi anche i due organismi devono esserlo, a meno che le cornici delle finestre non siano state aggiunte in un secondo tempo, per esempio quando fu eretta la chiesetta di S. Felice.
Le due aule sono raccordate nella parte superiore da una colombaia che trasforma la copertura dell’organismo, orientato da ovest ad est, da spiovente in piana.
Veniamo ora alle torri del castello: quella ad ovest, più alta di quella ad est, è crollata dalla parte interna e presenta lunghe crepe nei muri a nord e a ovest, e quindi rappresenta il maggior elemento di preoccupazione.
La parete nord presenta una finestra superiore murata ed una più in basso ridimensionata con mattoni di tufo, posta alla stessa altezza di altre due finestre anch’esse ridotte nelle dimensioni forse per motivi di difesa.
La torre est, contenente una delle tre finestre sopraccitate, è leggermente più bassa ma larga il doppio dell’altra; all’esterno appare chiusa con alcune strette feritoie ed una finestra murata in cui era lasciata solo una piccola apertura quadrata (evidentemente a scopo difensivo).
La parte centrale è solidale nel paramento murario esterno con la torre ovest ed è il più basso fra i tre corpi. Essa è sostenuta da due potenti contrafforti che si elevano fino all’altezza della finestra a primo piano e incorniciano un’altra finestrella a piano terra.
L’aspetto esterno è di una costruzione solida ed impenetrabile, mentre all’interno gli ambienti si sviluppano su due livelli: piano terra, coperto con volte a botte e ad ogiva, e primo piano accessibile tramite una scala che parte con doppia campata e arriva al primo piano con rampa singola.
Gli ambienti del primo piano sono a pianta rettangolare, coperti a crociere ogivali nei due locali ancora integri e con volte a botte e ogiva nei due ambienti crollati.
CROLLO
Quanto al crollo dell’ala ovest, possiamo in questa sede formulare solo ipotesi basate sull’analisi delle parti architettoniche. Il cedimento si è verificato nel muro di sostegno delle due volte all’estremità ovest insieme a parte del muro interno.
Bisognerebbe rimuovere le macerie per verificare eventuali cedimenti fondali. Il crollo però è da attribuire con più probabilità ad un cedimento strutturale, forse per il sovraccarico dei muri portanti. Grande attenzione bisognerebbe prestare all’eventuale rimozione delle macerie, le quali hanno, nella posizione attuale, stabilizzato le tensioni e formano un nuovo bulbo delle pressioni alla base dei muri superstiti.
Nell’intervenire, previo utilizzo di robuste impalcature di sostegno, sulle due lunghe crepe, non basteranno ganci metallici antiespulsivi ed iniezioni di cemento, dovendosi adottare probabilmente un qualche tipo di contrafforte. Analizzeremo il problema del crollo successivamente nell’ambito dell’analisi dei dissesti.
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