Editoriale numero 0, Giugno 1979
Quella che stiamo attraversando è una crisi profonda e generale, di natura economica, politica, sociale e morale. Di dimensioni, storiche e geografiche, tanto vaste, essa esce dalle Borse internazionali e dai ristretti centri finanziari, dalle sedi dei partiti, dove si delineano le grandi strategie politiche, dai laboratori di sociologia e di statistica, ed entra nella coscienza di ciascuno, per diventare crisi della coscienza individuale, appannamento di valori e di progetti razionali. Diventa crisi capillare, molecolare.
Di fronte ad una situazione di questo tipo le alternative possibili diventano sempre più ristrette. Una può essere costituita dal rifiuto dell’impegno pubblico e della politica, cercando riparo nel privato e nel personale. Un’altra — di segno opposto, ma psicologicamente molto simile — è nel rifiuto del dialogo e del confronto culturale ed ideale, nella esasperazione delle divisioni ideologiche, cercando riparo, questa volta, sotto il tetto delle ideologie cristallizzate e dell’integralismo. Si assiste così al consolidarsi di fenomeni, apparentemente contraddittori, quali l’allontanamento dall’impegno politico attivo di masse consistenti, soprattutto giovanili, e l’affermarsi di movimenti fortemente ideologizzati o addirittura eversivi. Quando non si scelga una terza alternativa, quella più inquietante nella sua tragica assolutezza, come sta lì a indicare il numero crescente di suicidi nel nostro Paese, soprattutto tra giovani e donne (e che già fa parlare di caratteri «svedesi» della società italiana).
Questo quadro — forse un po’ schematico, ma indubbiamente realistico — diventa ancor più incalzante in un comune come il nostro, che da anni vive una fase di profonde trasformazioni sociali e culturali che hanno aperto molti più problemi e lacerazioni di quanti non ne abbiano sanati.
Su questo tessuto urbano, caratterizzato da disgregazione sociale, da una grave perdita di identità culturale sia da parte degli «indigeni» che degli immigrati, da una progressiva degradazione a quartiere dormitorio a ridosso della città, la crisi nazionale trova alimento per crescere ed acuirsi.
A questi fenomeni negativi le forze sociali, politiche, culturali locali non hanno avuto finora la capacità o il coraggio di opporre una azione di effettivo rinnovamento. Anzi, ai grandi entusiasmi ed alle speranze suscitati dai risultati elettorali ottenuti nel 1975 dalle forze progressiste e di rinnovamento presenti non solo nei partiti di sinistra, ma anche all’interno di quel partito che tante responsabilità aveva nell’impietoso stato del paese, dunque a quegli entusiasmi ed a quelle speranze si sono venuti progressivamente sostituendo la sfiducia e l’apatia.
A questa situazione, certo non facile, noi del gruppo redazionale di «Nuovi Orientamenti» abbiamo creduto di trovare una risposta — una delle tante possibili, si badi, dunque non esaustiva nè taumaturgica — nella creazione di uno strumento che potesse servire a ritrovare un filo conduttore in una realtà tanto disgregata; che desse voce a tutti quei fermenti positivi che senza dubbio esistono; di uno strumento, infine, che riuscisse, con le armi del confronto, della proposta e anche della denuncia, quando è necessario, a risvegliare questo comune dal torpore in cui sembra caduto. La nostra vuole essere infatti una rivista aperta al contributo di tutti, pronta ad accogliere tutte le voci, con l’unica discriminante dell’antifascismo e del rifiuto di ogni forma di integralismo.
Rivista che rifletta la realtà di questo comune e che contribuisca a trasformarla e rinnovarla, dunque; ma non rivista municipalistica o, peggio, campanilistica. Mai come in questo momento è necessario invece dare un respiro più ampio ai problemi che si agitano nel paese, collegandoli alle grandi questioni nazionali. Anche di questo si avverte il bisogno oggi a Modugno, dove il dibattito politico è scaduto a polemiche prive di slancio ideale e quello culturale è quasi del tutto assente. Qualcuno obietterà che si è stufi di parole e che è tempo di «passare ai fatti». Si tratta di intendersi su cosa significhi agire. Una rivista che riesca a rendere operanti le caratteristiche ed i propositi che abbiamo delineato è anch’essa un modo di agire, è un modo per trasformare la realtà.
Nel titolo che ci siamo dati, «Nuovi Orientamenti», abbiamo voluto che fosse trasparente il progetto complessivo che ispira la nostra iniziativa. Si avverte con forza oggi fra la gente il bisogno inappagato di una profonda trasformazione della realtà o, come si usa dire, di una nuova qualità della vita. Nuova qualità della vita vuol dire modo nuovo di produrre la ricchezza e oggetti diversi della produzione, corrispondenti ai bisogni reali e più profondi dell’uomo.
Significa instaurazione di rapporti interpersonali non più fondati sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla sua emarginazione, fisica, culturale e sessuale, nel rapporto uomo-donna, ma su una piena uguaglianza materiale e morale e su un nuovo spirito di tolleranza. Senonché la realizzazione di questa nuova dimensione non è appannaggio esclusivo di un solo movimento ideale o politico né una delega in bianco da rilasciare ad altri (alla «classe politica», a «chi sta a Roma» o «sul comune»). Essa può invece concretizzarsi solo attraverso un complesso processo di elaborazione collettiva e di creatività individuale. Su un ultimo punto è necessario fare chiarezza. Una rivista che voglia restare fedele fino in fondo ad obiettivi come quelli che si pone «Nuovi Orientamenti», deve essere una rivista rigorosamente autofinanziata, in grado di respingere qualsiasi forma di controllo e di pressione esterna. Questo assunto fa a pugni, purtroppo, con la realtà molto difficile in cui versa oggi la stampa quotidiana e periodica in Italia. Fare una rivista o un giornale, senza finanziamenti solidi alle spalle, significa lavorare in perdita.
Di questo siamo consapevoli. È perciò necessario che tutti diano il loro contributo perché «Nuovi Orientamenti» possa non solo sopravvivere, ma svolgere fino in fondo la funzione per la quale è nata.
Anno 0 N. 0 Giugno 1979
Prof. Raffaele Macina
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