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Il Casale fortificato di Balsignano

Nel XIV secolo aveva 300 abitanti circa

Anno XIX N. 82 Aprile 1997
Massimo Salvatore Caradonna
Pubblicati i primi due capitoli della tesi di laurea del neo architetto

 

1092 BALSIGNANO (Giuseppe Ceci)
I due conventi benedettini intitolati a San Lorenzo furono fondati alla fine del secolo X […] e formarono una badia che dalla nuova città, sorta nel secolo seguente, prese il nome di San Lorenzo di Aversa. La sua giurisdizione, tra il XII e il XIII secolo, si estendeva in Campania e in Puglia su ottanta chiese, presso le quali erano monasteri, grande con villaggi e larghi e pingui territori. Tra gli altri possessi era il castello di Balsignano che, con tutte le appartenenze, terre coltivate e incolte, oliveti, vigne e pascoli, era stato donato alla Badia Aversana dal duca Ruggero nel maggio 1092.

962 IL PRIMO DOCUMENTO
Balsinianum, derivazione, attraverso Balisinianum, del primitivo Basilinianum, fu con molta probabilità in origine un podere appartenente ad un tale Basilio, (ager Basilit). Si tratterebbe, dunque, di un nome prediale di età romana), anche se non è rimasta nessuna emergenza archeologica a dimostrarlo. In ogni caso che il documento parla di una via antica, di una lama e di una strida (viuzza antica). Ivi a poco a poco si formò una borgata, della quale la prima notizia ci è data da uno strumento del maggio 962 dell’archivio di San Nicola. Il documento accerta che allora il borgo era munito di un castello de ipsi Dalmatini, testimonianza questa di immigrazioni da oltre Adriatico.

988 I SARACENI
Sulla fertile contrada e su questo come sugli altri borghi delle vicinanze di Bari passò nel 988 la furia devastatrice dei Saraceni; ma l’opera industre dei contadini allora e poi, dopo altre scorrerie guerresche, ricominciò e continuò tenace a rinnovare le coltivazioni e le piantagioni.

XI-XII sec. I BENEDETTINI
Quale contributo all’estensione delle culture e alloro miglioramento portarono qui i Benedettini, ai quali la “Regola” imponeva colla preghiera il lavoro e fra gli altri quello dei campi, non sappiamo. Nessun particolare della vita di questa grancia è rimasto nelle cronache o nei documenti. Soltanto gli avanzi della costruzione primitiva ricordano l’opera dei monaci e la loro permanenza qui tra la fine dell’XI e quella del XIII secolo. In quest’ultimo tempo appare già dismessa la comunità religiosa di Balsignano.

1292 FEUDO
Non era ben chiaro in principio se doveva considerarsi come feudo o come allodio. Ruggiero della Marra, che ne era in possesso nel 1292, ne fu ritenuto feudatario e come tale segnato nell’elenco dei baroni di Terra di Bari compilato in quell’anno.

1349 FEUDO
[…] Franco de Carofilio, protontino di Bari, […] si trovò a possedere Balsignano quando queste contrade furono funestate dalla guerra tra il ramo napoletano e quello ungherese della famiglia angioina. Nel luglio 1349 si combatteva in Terra di Bari […].
Le milizie mercenarie dell’uno e dell’altro partito erano ingrossate temporaneamente da Pugliesi, mossi da odii per fazioni locali o da rivalità di campanile. Anche il casale di Balsignano fu coinvolto nella lotta, parteggiando per gli Ungheresi.

ASSEDIO
I Baresi ne concepirono propositi di rappresaglia, alla quale si abbandonarono appena potettero: corsero sul casale di Ceglie e lo devastarono interamente. Alla stessa cosa si accinsero poi per quello di Balsignano; ma giacché questo aveva un castello alquanto forte lo occuparono con l’inganno (Notar Domenico da Gravina).

FORTIFICAZIONE II
I diritti della Badia non furono ulteriormente turbati, come si evince dalla riconcessione che essa fece l’11 agosto 1352 al protontino Franco de Carofilio e a sua moglie Palagana de Monticolo del casale di Balsignano “pel mite canone di 20 oncie annue”, perché egli potesse rifarsi delle spese delle fortificazioni.

1528 ABBANDONO
Nel 1528 troviamo il borgo vuoto di abitanti, trasmigrati nella vicina. Modugno, le case dirupate e il castello devastato. La distruzione era avvenuta nella guerra del 1503, o più recentemente nella primavera del 1528 per il rinnovarsi della lotta, combattuta qui aspramente, tra Francia e Spagna per la conquista del regno napoletano.

QUANTI ABITANTI?
Ma in quanti erano stati ad allontanarsi per sempre dalle casette avite, a quale numero era ascesa la popolazione del villaggio allora distrutto? Per calcolarla non abbiamo dati sicuri né per il tempo anteriore alla metà del secolo XIII né per quello posteriore all’inizio del XV, mentre per il periodo intermedio abbiamo soltanto dati approssimativi. Conosciamo cioè quale cifra era stabilita per Balsignano nella imposta della sovvenzione generale o colletta e sappiamo che questa era assegnata secondo il numero dei fuochi.
Balsignano è segnato nelle Cedulae Taxationis del:

1276- 77 per oncie 4, tari 3 e grana 12;
1277- 78 per oncie 4, tari 22 e grana 3;
1278- 79 per oncie 4, tari 26 e grana 3;
1289- 90 per oncie 3, tari 20 e grana 14;
1343- 44 per oncie 3, tari 20 e grana 14.

Nel primo caso i fuochi sarebbero stati 41 o 56, nel secondo 48 o 58, nel terzo 53 o 73: cifre che non danno una base sicura di calcolo, ma permettono soltanto di segnare approssimativamente a circa 60 il numero dei fuochi, anche tenendo presenti le esenzioni dalle imposte degli ecclesiastici. Questo numero, moltiplicato per 5 (media dei componenti di ciascuna famiglia), fa ascendere a circa 300 gli abitanti di Balsignano alla fine del sec. XIII (Giuseppe Ceci).

BALSIGNANO ACTUALIS
Balsignano si presenta al visitatore attuale con una prima cinta di mura in forma di trapezio, fortificata da torrette e munita di camminamenti interni.
Una seconda cinta, inserita nel muro a sud della prima, è notevolmente più piccola e racchiude in una corte le due alte torri del castello (di cui quella ovest parzialmente crollata), gli ambienti intermedi fino a pochi anni fa raggiungibili al primo piano attraverso una scala a doppia rampa, ora crollata, e la chiesa di S. Maria di Costantinopoli.
Fra la prima (in prossimità dell’angolo fra i muri sud ed est) e la seconda cinta di mura vi è il vero gioiello architettonico del complesso: la chiesa di S Felice, dichiarato monumento nazionale.
Riassumendo, sono almeno tre gli elementi del complesso monumentale che richiedono un’indagine critica: la corte fortificata con l’annessa chiesa di S. Maria di Costantinopoli, la preziosa costruzione a cupola di S. Felice, le mura di cinta dell’intero complesso.
Partiamo da questi ultimi: è credibile che in Balsignano si trovi l’unico esempio di cinta alto-medievale in ambito rurale della Puglia centrale, secondo quanto riporta Pierfrancesco Rescio sul periodico «Fogli di periferia».
In tempi a noi vicini la cinta muraria è stata modificata: in particolare il muro est è stato spostato di qualche metro verso l’attuale strada Modugno-Bitritto, mentre a metà circa dello stesso sono stati realizzati due pilastrini in calcestruzzo che sorreggono un cancello in ferro.
Il muro a nord è irrobustito da tre torrette praticabili (probabilmente in origine dovevano essere quattro) che per motivi sia statici sia di difesa sono costruite in muratura a secco con pareti in pietra calcarea locale di conci più o meno squadrati e lavorati secondo la posizione.
La chiesetta a cupola estradossata di S. Felice, di eccezionale qualità nel taglio stereometrico delle pietre e nel disegno architettonico generale, presenta l’annoso problema del “corpo rustico” ad essa collegato: cioè quale delle due navatelle sia più antica.
San Felice desta vivo interesse per la singolarità o libertà della sua pianta, per l’elegante semplicità della sua architettura e decorazione, per le incertezze stesse originate dallo stato presente dell’edificio in parte rovinato.
Una nave, orientata da ovest ad est, di muratura raffinata, è fiancheggiata, a nord, da un’altra di rozza fattura in pietre a secco: innanzi all’una e all’altra si scorgono tracce evidenti di un portico. La pianta della prima è formata da due rettangoli disuguali, essendo il primo più corto, che hanno in mezzo un quadrato e finiscono in un semicerchio. Di queste due parti, innestate l’una all’altra, ci si chiede quale sia la più antica, se quella ideata con bella armonia di linee ed eseguita con tecnica perfetta o l’altra messa insieme col sistema millenario e tuttora usato dei trulli. In altri termini i Benedettini che vennero a Balsignano alla fine del sec. XII trovarono una vecchia chiesetta rurale che conservarono in parte, quando nel principio del secolo seguente elevarono accanto ad essa la nuova col sistema allora in onore dell’architettura a cupola; oppure se della chiesa che essi costruirono una parte rovinò (forse nella guerra del 1348-49) e fu rifatta alla meglio col metodo meno costoso della muratura a secco.
Delle due ipotesi, vagliate dal Ceci, la seconda ci sembra decisamente più plausibile, laddove non se ne voglia aggiungere una terza: cioè che la parte bizantina presumibilmente crollata non sia mai stata costruita.
Comunque, è certo che delle due navate della chiesetta, una rustica in pietra calcarea costruita a secco e una perfettamente finita con preciso taglio stereometrico, la seconda è sicuramente più antica: in primis perché non si capisce per quale motivo gli abilissimi maestri costruttori che hanno eretto la navata bizantina, l’abbiano dovuta concepire quale compimento o parziale ricostruzione di quella rustica; in secondo luogo perché l’arcata centrale della parte rustica nasce all’imposta da un moncone di arco ben lavorato, il quale o è crollato o non è stato mai finito, e comunque è sicuramente precedente.
Ulteriore elemento da notare è l’arcone d’ingresso, lavorato e sbozzato finemente, che sorregge la volta della prima campata insieme ai due pezzi di cornice affogati nel muro d’ingresso del rustico.
Sulla base di queste considerazioni, possiamo affermare che la cellula di pietra irregolare è stata costruita a chiusura e compimento dell’impianto bizantino, il quale prevedeva nel modello originale una cellula di dimensioni ridotte; forse un ambiente di servizio.
Rimane il dubbio sulla parte nord della chiesa, dove ora c’è il corpo rustico. Se quella parte fosse crollata, ne avremmo ritrovato almeno qualche pezzo col suo taglio regolare incastonato fra le pietre grezze, per cui è plausibile che l’ambiente annesso non sia mai stato finito.
Il terzo elemento di indagine è la corte con le due alte torri e la chiesetta, inserita nel castello, di S. Maria di Costantinopoli.
Si può ipotizzare che la chiusura del castello, nell’andamento attuale, sia stata eretta dopo quella esterna (in coincidenza dell’arrivo dei Benedettini?). Il muro d’ingresso al castello, per esempio, presenta una soluzione di continuità nella zona centrale dove dalla parte a destra, comprendente la porta d’ingresso costruita da mattoni in pietra a taglio regolare, si passa a quella di sinistra con pietra a taglio irregolare. Questa cesura ci porta a pensare che la parte sinistra sia stata aggiunta successivamente, a seguito delle esigenze dei nuovi abitanti: possiamo supporre che la popolazione di Balsignano si era di molto ridimensionata e che la cinta esterna delle mura avesse perso importanza.
Di qui la chiusura del castello con nuove e più alte mura; proprio l’arcone d’ingresso, in origine carrabile, è stato ridimensionato ad una piccola porta, che presenta nella parte interna dei conci in pietra finemente lavorati con bassorilievi floreali.
Appare evidente che i conci della porta disposti ad ogiva sono stati montati in maniera casuale non rispettando la loro naturale composizione, ed anche i conci che formano le reni dell’arco sono stati ricomposti ignorando l’ordine originale.
La conclusione da trarre è che il portale era costruito originariamente in un altro punto del complesso ed è stato rimontato nella posizione attuale per ridimensionare l’ingresso. L’operazione sarebbe spiegabile se a realizzarla fossero stati i Benedettini, i quali tendevano ad isolarsi e a ridurre al minimo i rapporti con l’esterno.
In questa ottica inoltre dobbiamo tentare di spiegare il perché a poche decine di metri si trovino due chiese; di cui una finemente lavorata (San Felice) e l’altra dalle linee tipologiche e decorative più sobrie.
La ricchezza di quella esterna si spiega col fatto che probabilmente essa costituiva una tappa nel viaggio dei pellegrini di passaggio sulla antica via romana che collegava Bitonto a Ceglie, e quindi era sostanzialmente dedicata ai fedeli con funzione di richiamo.
Quella interna poteva essere invece ad uso dei soli monaci: si spiegherebbe così la disparità di trattamento dei paramenti esterni. Le finestre riccamente lavo rate nella parte esterna e gli affreschi della chiesa di S. Maria sono l’eccezione decorativa che conferma l’utilizzo contemporaneo ma distinto delle due chiese; gli affreschi erano utilizzati tra l’altro a fini educativi e divulgativi.
Anche tipologicamente non vi sono tra le due chiesette elementi comuni. Nel S. Felice abbiamo sostanzialmente, eccettuando il corpo rustico, un’unica navata coperta a botte, divisa in tre campate, due rettangole e quella centrale quadrata che all’esterno nella parte superiore diventa ottagona ed all’interno sorregge i pennacchi di raccordo con la cupola.
S. Maria di Costantinopoli ha invece una pianta irregolare derivante dalla giustapposizione dell’aula d’ingresso, inizialmente coperta da crociere ogivali, con un altro corpo trasversale coperto a botte, il quale doveva forse costituire il transetto di una più ampia ed antica chiesa, probabilmente coperta a capriate.
Il vano con abside, chiuso rozzamente nella parete ovest, sembra tronco di una parte che se eretta avrebbe rappresentato un’unica grande aula di tipo paleocristiano, come mostra la parete sud che contiene una serie di archetti.
Quest’ultima ipotesi, forse un po’ azzardata rispetto ai riscontri iconografici, viene posta in discussione dalle due finestre che permettono l’illuminazione delle due aule.
Nella parte esterna esse presentano, come già accennato, bassorilievi che intessono dentelli a punta di diamante nelle cornici.
Le due finestre sono sicuramente coeve, e quindi anche i due organismi devono esserlo, a meno che le cornici delle finestre non siano state aggiunte in un secondo tempo, per esempio quando fu eretta la chiesetta di S. Felice.
Le due aule sono raccordate nella parte superiore da una colombaia che trasforma la copertura dell’organismo, orientato da ovest ad est, da spiovente in piana.
Veniamo ora alle torri del castello: quella ad ovest, più alta di quella ad est, è crollata dalla parte interna e presenta lunghe crepe nei muri a nord e a ovest, e quindi rappresenta il maggior elemento di preoccupazione.
La parete nord presenta una finestra superiore murata ed una più in basso ridimensionata con mattoni di tufo, posta alla stessa altezza di altre due finestre anch’esse ridotte nelle dimensioni forse per motivi di difesa.
La torre est, contenente una delle tre finestre sopraccitate, è leggermente più bassa ma larga il doppio dell’altra; all’esterno appare chiusa con alcune strette feritoie ed una finestra murata in cui era lasciata solo una piccola apertura quadrata (evidentemente a scopo difensivo).
La parte centrale è solidale nel paramento murario esterno con la torre ovest ed è il più basso fra i tre corpi. Essa è sostenuta da due potenti contrafforti che si elevano fino all’altezza della finestra a primo piano e incorniciano un’altra finestrella a piano terra.
L’aspetto esterno è di una costruzione solida ed impenetrabile, mentre all’interno gli ambienti si sviluppano su due livelli: piano terra, coperto con volte a botte e ad ogiva, e primo piano accessibile tramite una scala che parte con doppia campata e arriva al primo piano con rampa singola.
Gli ambienti del primo piano sono a pianta rettangolare, coperti a crociere ogivali nei due locali ancora integri e con volte a botte e ogiva nei due ambienti crollati.

CROLLO
Quanto al crollo dell’ala ovest, possiamo in questa sede formulare solo ipotesi basate sull’analisi delle parti architettoniche. Il cedimento si è verificato nel muro di sostegno delle due volte all’estremità ovest insieme a parte del muro interno.
Bisognerebbe rimuovere le macerie per verificare eventuali cedimenti fondali. Il crollo però è da attribuire con più probabilità ad un cedimento strutturale, forse per il sovraccarico dei muri portanti. Grande attenzione bisognerebbe prestare all’eventuale rimozione delle macerie, le quali hanno, nella posizione attuale, stabilizzato le tensioni e formano un nuovo bulbo delle pressioni alla base dei muri superstiti.
Nell’intervenire, previo utilizzo di robuste impalcature di sostegno, sulle due lunghe crepe, non basteranno ganci metallici antiespulsivi ed iniezioni di cemento, dovendosi adottare probabilmente un qualche tipo di contrafforte. Analizzeremo il problema del crollo successivamente nell’ambito dell’analisi dei dissesti.

Il parco archeologico di Balsignano è possibile

L’interesse della Regione Puglia per il complesso medievale

Anno XVIII N. 78 Aprile 1996
Dina Lacalamita

Il tradizionale appuntamento annuale della Rivista Nuovi Orientamenti, si è realizzato intorno a un tema molto caro alle persone sensibili alla “cultura modugnese”, quello de Il recupero e le prospettive di riuso di Balsignano, oggetto di analisi nell’incontro svoltosi il 10 febbraio presso [‘auditorium della Scuola Media “Francesco D’Assisi”.
Per l’occasione è stato distribuito il libro di Raffaele Macina «Estro e malizia negli agnomi popolari». È per lo meno singolare la “fortuna” di Nuovi Orientamenti: riesce a “tirare” basandosi solo sul contributo degli abbonati. Non è senza una punta d’orgoglio che il direttore, ha sottolineato quanto sia difficile operare; solo nell’ultimo anno si è potuto contare su un contributo del Banco Cooperativo di Credito e sull’acquisto di un congruo numero di copie del vocabolario modugnese da parte del Comune durante la gestione commissariale. La Rivista, ha ribadito ancora una volta il direttore, è comunque aperta a tutti quelli che hanno qualcosa da dire, a chi critica, a chi propone, per una lettura sempre più vera della complessa realtà modugnese. Si è passati così alla trattazione del tema specifico dell’incontro che si è aperto con la presentazione del significativo bassorilievo della facciata della chiesa di San Felice, eseguito dai fratelli Massarelli. Relatori son stati il prof. Salvatore Distaso, presidente della Regione Puglia, fon. Nicola Magrone, l’ing. Francesco Vaccarelli, sindaco di Modugno e lo stesso prof. Raffaele Macina. È toccato a quest’ultimo tracciare un quadro storico su Balsignano e sugli interventi che si sono avuti sino ad oggi.
Egli ha esordito dicendo che negli ultimi anni aveva quasi perduto ogni speranza, sino a quando nel 1994 l’on. Magrone non gli aveva manifestato il suo intento di proporre una interrogazione parlamentare su Balsignano. Da allora, egli ha aggiunto, si sono aperti alcuni concreti spiragli di luce e l’on. Magrone è riuscito a ricostruire la pratica su Balsignano, inspiegabilmente andata perduta nei meandri ministeriali di Roma, e ad avere un significativo incontro col dott. Di Paola, Soprintendente per i Beni Ambientali ed Architettonici della Puglia, per esaminare i passi concreti da compiere per giungere in tempi brevi alla soluzione del problema.
Dopo il convegno dell’82 (Balsignano: quale futuro?), sono stati realizzati lavori di recupero e restauro che hanno consentito la “sopravvivenza” di Balsignano, ma il nodo principale non è stato ancora risolto, in particolare l’acquisizione al patrimonio dello Stato dell’intero complesso su cui insistono veri e propri gioielli del passato: la Chiesa di San Felice, il Castello con la corte interna, la Chiesa di S. Maria di Costantinopoli.
Alcuni saggi di scavo del 1991, eseguiti a ridosso del lato nord-ovest della chiesa di San Felice, hanno portato alla luce una probabile abside che risalendo con molta probabilità al VI-V1I see. ci pone di fronte ad una riconsiderazione di Balsignano, la cui datazione viene accreditata al X secolo. Se tale ipotesi venisse confermata da una campagna sistematica di scavi, si potrebbe parlare della presenza di insediamenti tardo-romani nella zona.
Queste riflessioni, le ricerche di studiosi non solo italiani ma anche tedeschi e francesi, di critici d’arte, inducono a guardare a Balsignano, ha affermato il prof. Macina, non con occhi campanilistici. Il Casale medievale ha un’importanza straordinaria dal punto di vista storico per la Terra di Bari e per l’intera regione. A partire dal X secolo, infatti, nascono diversi casali a ridosso della fascia costiera, perché le città marittime non sono più sicure, a causa delle frequenti incursioni saracene, per cui la popolazione preferisce riparare all’interno.
La Chiesa di San Felice riveste grande interesse in quanto primo modello del romanico pugliese ed inoltre si inscrive in quel grande processo storico che vide sbarcare in Puglia cinquantamila monaci basiliani (IX-X secolo), in seguito alle lotte iconoclastiche. Tante sono le considerazioni che confermano l’idea di Balsignano come una delle grandi testimonianze storiche. Alcuni scavi del ’93 eseguiti a soli trecento metri in linea d’aria dal Casale hanno portato alla luce i resti di un villaggio neolitico (5.000 a. C), che ha suscitato fra gli studiosi un grande interesse. Inoltre, non si può non tener conto della bellezza e della peculiarità del paesaggio, attraversato da due lame, elementi tipici della nostra regione, che conferiscono alla zona una particolare morfologia.
Si possono ravvisare dunque, ha continuato il prof. Macina, prospettive immediate da realizzare intorno al complesso, che si potrebbero riassumere in un’ipotesi di parco archeologico-naturalistico di Balsignano, dotato di un museo, che raccoglierebbe sia i reperti neolitici sia quelli medievali, e di un centro studi angioino-aragonese, che sarebbe il primo in Italia. È un’idea che, avvalendosi dei contributi di alcuni docenti della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bari e della Soprintendenza ai Beni Ambientali ed Architettonici di Bari, è stata proposta in una relazione del POP (Piani Operativo Plurifondi), approvato ultimamente dal consiglio comunale di Modugno.
Le rievocazioni storiche hanno “affascinato”, come gli stessi hanno ammesso, il Sindaco, il Presidente della Regione e il numeroso pubblico presente. L’intervento di F. Vaccarelli ha reso nota l’approvazione, da parte del Consiglio Comunale, del POP su Balsignano che prevede la somma di circa sei miliardi di lire. L’on. Magrone, come sempre ironico e pungente nei confronti dell’incuria e del pressappochismo, tipico dell’apparato amministrativo statale, ha rapidamente accennato all’iter di Balsignano, addivenendo all’interrogazione parlamentare dell’agosto 1994, che riponeva all’attenzione l’intera problematica di Balsignano e la sua acquisizione al patrimonio dello stato. Il percorso burocratico è ormai al traguardo, il problema si risolverà a breve. Si è augurato, l’on. Magrone, che l’Amministrazione comunale assuma l’impegno in modo concreto e non occasionale, per guadagnare alla società civile e alla cultura un insieme monumentale di tanto indiscusso valore.
Il prof. Distaso, chiamato ad esprimere una opinione sul progetto, ha posto soprattutto l’accento sull’aspetto turistico-ambientale, giacché nella nostra regione esso non è mai stato visto come fonte di promozione economica ed ha assicurato tutto il suo sostegno al POP su Balsignano.
La manifestazione si è conclusa con una applauditissima esecuzione di alcuni brani da parte del coro dell’“Istituto di Musica del M° Luca Corriero”, diretto dal M° Rocco Cianciotta. Di particolare intensità espressiva 1 Ave Veruni di Mozart, l’Ave Maria di O. De Lillo (Docente nel Conservatorio Piccinni di Bari) e il Carmen N. 10 del secondo libro delle Odi di Orazio, di Z. Kodaly. Il coro ci ha donato inoltre le dolcissime note della Ninna Nanna modugnese che non manca mai di dare emozioni.

Lettera al direttore della Rivista
«Ho cominciato ad osservare Balsignano con animo nuovo»

Io non sono un esperto di Storia e per questo tutte le volte che ho rivolto lo sguardo a Balsignano i miei occhi hanno fotografato quello che appare a un osserva tore comune e di questo non mi vergogno, considerato che gli esperti preposti dallo Stato alla salvaguardia e difesa del patrimonio culturale ne hanno consentito l’abbandono. Con la mia partecipazione all’incontro del 10 febbraio organizzato dalla rivista Nuovi Orientamenti ho potuto ascoltare la competente rivisitazione storica di Balsignano del direttore della Rivista raccontata con una passionalità coinvolgente che ha profondamente toccato la mia sensibilità. Inoltre, ho potuto ascoltare le convincenti prospettive di riuso riferite anche dagli autorevoli on. Nicola Magrone e prof. Salvatore Distaso, presidente della Regione Puglia. Colpito dall’impegno profuso dagli organizzatori, che ha comportato la dedizione di tanto tempo, mi sono convinto che intorno a Balsignano ci deve essere qualco sa che sfugge a un osservatore comune come me e così il giorno dopo, con spirito nuovo, mi sono recato sul posto. Ho cominciato ad osservare il tutto considerando anche le parole dell’on. Nicola Magrone, che ricorrendo ad un paradosso ci aveva invitati ad immaginare quale cumulo di pietre sarebbe, ad esempio, la cattedrale di “Notre Dame” dopo una catastrofe. Incredibilmente ai miei occhi si è presentato uno scenario diverso. Ho visto il castello e la chiesa di San Felice ricostruiti e presentarsi con il nitore della pietra e l’armonia architettonica; ho visto il museo e il centro studi avviati; ho visto una sala- convegni più consona, a disposizione di tutte quelle realtà culturali esistenti nella nostra città. Però sono anche consapevole che non si può vivere di solo cultura e così riflettendo ho immaginato il grande ritorno economico per il nostro paese dovuto alla presenza dei turisti e visitatori e ho considerato la grande opportunità di creare occupazione stabile. Io spero che tutta la manifestazione sia stata registrata in modo da consentire agli scettici assenti di potersi ricredere, visto che ciò è accaduto a me che su questioni di questo genere sono stato sino ad ora uno scettico. Caro direttore, se dovesse decidere di prendere in considerazione questa mia riflessione, desidererei che essa venisse pubblicata in modo anonimo.

Lettera firmata

Il Comune potrebbe avere in Convenzione Balsignano

Dall’interrogazione parlamentare di Magrone e dalla scoperta dell’inesistenza della pratica agli attuali spiragli

Anno XVII N. 76 Novembre 1995
Prof. Raffaele Macina

Venerdì 6 ottobre, ore 10,30. Sono seduto in una bella stanza del Castello Svevo di Bari e, quasi incredulo, sento dire: “Potremmo dare in concessione il complesso di Balsignano al Comune di Modugno che sin da ora dovrebbe porsi il problema della vigilanza con una completa turnazione dei custodi”. È il Soprintendente per i Beni Ambientali e Architettonici della Puglia, dott. Roberto Di Paola, che parla durante un incontro richiestogli dall’onorevole Nicola Magrone, il quale ha invitato il sindaco Francesco Vaccarelli e me stesso. L’incontro, che è servito a fare il punto sull’iter della “pratica Balsignano” e sui prossimi passi da percorrere, è direttamente legato all’interrogazione parlamentare che Magrone presentò ad agosto del 1994 (da noi pubblicata nel numero 72 di novembre ’94) e a quanto ne è seguito. Per capire il senso di questo incontro è forse opportuno che si parta appunto dalla interrogazione parlamentare.

«Il primo problema che mi trovai davanti – mi dice Nicola Magrone – fu quello di prendere contatto con i due ministeri interessati al problema. Infatti, se la competenza tecnico-artistica su Balsignano è del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, la disponibilità dei fondi occorrenti per acquisire il complesso di Balsignano e per i lavori di recupero è del Ministero dei Lavori Pubblici. Ricorderai che nel 1982 Balsignano fu inserito all’interno del “Progetto speciale degli Itinerari turistico-culturali”, i cui finanziamenti furono affidati alla Cassa per il Mezzogiorno. Lo scioglimento della Cassa per il Mezzogiorno comportò una serie di problemi intorno alla gestione dei fondi ad essa precedentemente affidati, che furono risolti con la creazione dell’Agenzia per la Promozione dello Sviluppo del Mezzogiorno, dipendente dal Ministero dei Lavori Pubblici.

Quando approdai al Ministero dei Lavori Pubblici e feci ai funzionari preposti la cronistoria di Balsignano, scoprii che lì della pratica non si conservava nulla, poiché era andata completamente smarrita. A questo punto bisognava ricostruire tutto l’incartamento con fotocopie di lettere e documenti sia della Soprintendenza ai Beni Monumentali ed Architettonici di Bari sia del Ministero dei Beni Culturali. Sollecitai, dunque, sia qui a Bari sia a Roma la ricostruzione della pratica su Balsignano e, finalmente, essa nella primavera di quest’anno approdò “per la prima volta” presso il Ministero dei Lavori Pubblici all’esame del commissario ad acta dell’Agenzia per il Mezzogiorno. Esaminati gli atti, il Ministero dei Lavori Pubblici rilevò che la stima di 266 milioni dei beni di Balsignano da acquisire al patrimonio dello Stato era ferma al 1992 e, pertanto, chiese al Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali di aggiornare la perizia e il prezzo. La Soprintendenza di Bari, facilitata in questo dal proprietario che ha sempre collaborato per la soluzione del problema, mandò la nuova perizia e l’indicazione della nuova somma necessaria per l’acquisizione. Nel frattempo si scoprì anche che la convenzione sottoscritta a suo tempo fra la ex Cassa per il Mezzogiorno e il Ministero dei Beni Culturali era scaduta e pertanto si imponeva una sua proroga che è stata richiesta al Ministero dei Lavori Pubblici agli inizi di settembre dalla Soprintendenza di Bari. Qui si rasenta un nuovo colpo di scena. Il Ministero dei Lavori Pubblici, riesaminando gli atti, si accorge che negli anni precedenti a Balsignano sono stati avviati e poi sospesi dei lavori e, pertanto, come se nulla fosse accaduto, con candore chiede al Ministero dei Beni Culturali e Ambientali i motivi della sospensione. La Soprintendenza di Bari chiarisce definitivamente il problema: i lavori sono stati sospesi poiché la nuova perizia avanzata, richiedendo una somma maggiore per l’acquisto del complesso di Balsignano, destina una somma inferiore per i lavori stessi e pertanto essi potranno essere ripresi solo dopo l’approvazione della nuova perizia e dopo l’acquisizione del complesso al patrimonio dello Stato. A questo punto il problema sarebbe abbastanza chiaro e così riprendo i contatti con i funzionari preposti del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali e sollecito l’approvazione della nuova perizia proposta da Bari. Mi viene risposto però che la perizia, visionata anche da loro, deve essere approvata dal Ministero dei lavori Pubblici. Mi reco allora presso questo secondo Ministero, dove i suoi funzionari mi assicurano invece che ad approvare la perizia deve essere il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali. In questo ping-pong si arriva finalmente alla conclusione che spetta al Ministero dei Lavori Pubblici approvare la perizia per quanto riguarda la disponibilità del finanziamento e la modifica del prezzo d’acquisto. Finalmente, quindi, l’iter della “pratica Balsignano” sembra essere dopo più di 13 anni dal suo avvio in dirittura d’arrivo. Ora il Ministero dei Lavori Pubblici, tramite il commissario ad acta dell’Agenzia per il Mezzogiorno, dovrebbe approvare la nuova perizia, concedere la proroga della convenzione, inviare il tutto al Ministero dei Beni Culturali, il quale a sua volta dovrebbe abilitare la Soprintendenza di Bari ad acquisire Balsignano”. Ed è appunto di tutto questo, ma soprattutto della necessità di chiudere Formai annoso problema Balsignano, che si è parlato col soprintendente, dott. Di Paola. Chiedo conferma a Magrone se anche lui non abbia avuto l’impressione che il soprintendente, il quale peraltro davanti a noi ha sollecitato telefonicamente, i funzionari di Roma a ultimare la pratica, sia seriamente intenzionato ad impegnarsi su Balsignano. Mi risponde di sì, aggiungendomi che “le spie importanti per capire se Balsignano sia all’ordine del giorno della Soprintendenza di Bari sono tre. In questo periodo la Soprintendenza programma le attività da svolgere nell’anno successivo; è chiaro che attualmente Balsignano, bloccato ancora nel suo iter, non è previsto in tale programmazione. Mi è stato detto, però, continua Magrone, e nell’incontro il soprintendente lo ha riconfermato, che se si riesce a sbloccare entro ottobre la questione dell’approvazione della perizia e della proroga della convenzione, benché fuori temine, Balsignano sarà inserito negli interventi del 96. Si tratta di un punto di non scarso rilievo perché diversamente il tutto sarebbe rinviato al ’97. La seconda spia è legata al problema del restauro di Balsignano, per il quale i fondi ancora disponibili all’interno della somma complessiva a suo tempo stanziata sono assai esigui. Ebbene, la Soprintendenza ha promesso che in futuro essa intende continuare il restauro con la sua ordinaria amministrazione. Certo, in questo momento è bene focalizzare tutti gli sforzi sull’acquisizione, ma questa promessa non è di poco conto. Infine, la terza spia è legata all’uso che la Soprintendenza prevede per Balsignano. Il dott. Di Paola è stato assai esplicito al proposito: pensa ad una convenzione col Comune di Modugno che poi dovrà gestire l’intero complesso. Mi sembra questa una soluzione realistica e positiva, poiché molto spesso un bene, quando viene acquisito dallo Stato, non è poi sempre realmente valorizzato. Ci ho tenuto ad invitare il sindaco a questo incontro non per sensibilizzare il soprintendente, ma per sensibilizzare Vaccarelli, nel senso che al Comune si rendano conto, sindaco e a assessori, del fatto che bisogna avere su questo problema una intraprendenza. Se il Comune, infatti, non avrà una intraprendenza su Balsignano, esso farà la fine di tanti altri beni dello Stato che, magari per mancanza di fondi, non dispongono di un custode e dunque restano lì inutilizzati ed inerti.

Ricorderai che nell’incontro il soprintendente ha chiesto al sindaco “Ma voi i custodi ce li avete?” e poi Sardone, il funzionario che era presente, ha aggiunto “Là ce ne vorranno dieci di custodi”. Orbene, ho voluto farmi accompagnare dal sindaco perché si comprenda già da ora che su questo problema non bisogna avere smagliature, bisogna prepararsi e dare senso di affidabilità». Forse, aggiungo io, si dovrà porre già da ora anche il problema di che cosa fare di Balsignano». Certo, afferma Magrone, ma questo è un problema che deve essere affrontato da tutti e tutti devono essere chiamati a dare il loro contributo perché Balsignano possa avere un futuro. È da evitare che il destino di Balsignano sia deciso esclusivamente nel chiuso di uffici comunali da assessori e addetti al Palazzo. Anzi, se noi lasciamo l’elaborazione di un progetto di destinazione e di uso di Balsignano all’organo burocratico o all’organo assessorile individuale, è meglio che ci fermiamo qui e lasciamo il tutto nelle mani del proprietario. Comune deve impegnarsi in altro: programmare ed assicurare il riuso di Balsignano; divenire attore e protagonista sin da oggi di questa vicenda: in questo senso ho già dato a Vaccarelli gli indirizzi giusti dei Ministeri perché il Comune scriva e faccia sentire l’esigenza della città di pervenire quanto prima alla soluzione. Spetterà invece a tutta la città, a quanti si sono già impegnati e vorranno impegnarsi per elaborare un grande progetto collettivo su Balsignano». Come non essere d’accordo con queste ultime considerazioni dell’onorevole, anzi dell’amico Nicola Magrone? D’altra parte, quello che noi abbiamo sempre fatto su Balsignano, a partire dal grande convegno del 1982, non è stato fatto con questo spirito?

Uno spiraglio per Balsignano

Anno XVII N. 73 Marzo 1995
Stefano Serpenti

Una legge regionale, che si avvale di finanziamenti della CEE, potrebbe consentire il recupero del complesso. Nel triennio 91-93 dei circa settanta miliardi assegnati dalla CEE alla Puglia ne sono stati utilizzati solo dieci.

Il patrimonio costituito dai Beni Ambientali comprende tutte quelle zone corografiche o costituite da paesaggi naturali o trasformate dall’opera dell’uomo; in quest’ultimo caso, esse presentano particolare pregio peri loro valori di civiltà. Si tratta in generale di zone che esprimono sia aspetti di ordine paesistico, come le aree naturali, definibili per singolarità geologica e caratteristiche del suolo, sia aspetti di valore ecologico, come i territori in cui si manifestano tipiche e singolari simbiosi floro-faunistiche. Tra gli aspetti geologici che caratterizzano il territorio della Regione Puglia si riscontrano i depositi continentali ed alluvionali, presenti in numerose zone del Tavoliere e della provincia di Bari, che, in alcuni casi, sono ubicati su lembi terrazzati e negli alvei, lungo solchi erosivi che attraversano, orientati all’incirca da sud a nord, perpendicolarmente alla linea di costa, parti del territorio. I solchi erosivi costituiscono l’idrografia superficiale della regione, tra cui annoveriamo quelli delle Murge, le cosiddette “Lame”, dovute principalmente all’azione delle acque di antichi torrenti che hanno inciso sia il calcare duro che i tufi; ricordiamo, a tale proposito, alcune mappe della Terra di Bari del ‘600 e 700 ove vengono segnalati fiumi di breve corso che sboccano nell’Adriatico, di cui rimane il ricordo nei toponimi di alcune Lame. I depositi alluvionali nelle lame risalgono al Pleistocene superiore ed all’Olocene, i due periodi dell’era quaternaria caratterizzati il primo dalle Glaciazioni ed il secondo dalla Postglaciazione.

Oggi questi torrenti sono per lo più completamente asciutti e solo alcuni si ingrossano in occasione di forti precipitazioni stagionali. Un altro oggetto, strettamente legato ad episodi di particolare natura geologica, è il rapporto con l’habitat dell’uomo e la distribuzione degli insediamenti sul territorio. E’ noto come le popolazioni si siano stabilite, in quegli ambienti favorevoli all’antropizzazione, soprattutto dove le acque, meno profonde, erano meglio utilizzabili per usi plurimi, e dove di sviluppava maggiormente l’attività prevalente della coltura dei campi. Le Lame, privilegiate per la fertilità delle terre rosse, hanno rappresentato quelle vie naturali delle acque che costituiscono il primo richiamo per gli insediamenti umani più antichi; l’humus dei depositi alluvionali sul loro fondo rendeva i terreni particolarmente fertili, e le spalle della Lame, costituite, in alcuni tratti del loro corso, da depositi tufacei, offrivano all’uomo luoghi idonei per iniziare lo scavo di ambienti rupestri.

Questo rapporto tra ambito naturale particolarmente favorevole delle Lame e presenza dell’uomo ha contribuito alla formazione di un unico ambiente dove gli elementi che lo costituiscono, quali rocce, suolo, acque, vegetazione, fattori climatici e gli interventi realizzati dall’uomo, hanno trovato una stretta correlazione ed un rapporto di interdipendenza.

Il territorio della Provincia di Bari è attraversato da numerose Lame, che si sviluppano dalle alture della Murgia verso la costa, dove sfociano a mare. Esse hanno origine sulla Murgia alta ed attraversano l’intera serie di scarpate e dei sottostanti ripiani, arrivando al mare.

Hanno caratteristiche ed aspetti tra loro comuni: sono, in prevalenza, diretti a Nord nordest, ma presentano, almeno le più estese, lunghi tratti diretti da Est a Ovest, che corrono in depressioni vallive, presentando, lungo il loro corso, brusche variazioni di direzione anse irregolari. Le più importanti risultano nettamente incise e presentano un fondo piatto, con fianchi mediamente, e solo a tratti fortemente, inclinati. I solchi sono in genere asciutti e solo in casi di copiose precipitazioni, convogliano, per brevi periodi, naturali quantità d’acqua.

Tra le più estese ed importanti Lame del territorio della Provincia di Bari possiamo citare la lama “Lamasinata” che, in direzione Nord-Sud, discende dalle Murge e sfocia al mare nel territorio di Bari, in località S. Girolamo, con un ultimo tratto rettificato ed arginato, per prevenire possibili allagamenti della città in occasione di piene eccezionali.

La lama “Lamasinata” attraversa i territori di Palo del Colle, Bitetto e Modugno ed è caratterizzato da numerosi insediamenti antichi, sia monumentali e rupestri che ambientali e naturalistici. Sul percorso tra Modugno e Bari ritroviamo gli importanti insediamenti rupestri ed ipogei di Santa Maria delle Grotte e di Santa Caterina, ruderi del Castello e del casale di Balsignano, con le chiese di San Felice e Santa Maria di Costantinopoli, nei territori di Modugno, e gli insediamenti di Villa Costantino e Masseria Madia Diana. I caratteri storici ed ambientali di tale ambito territoriale sono stati, più volte e da tempo, rilevati e descritti; pochi, invece, i programmi e le iniziative per avviare una azione capace di salvaguardare e valorizzare le peculiarità e le preesistenze di tale importante sistema ambientale. La Regione Puglia, in sede di redazione del “Programma Operativo Plurifondo – P.O.P. 91/93”, attuativo del Quadro Comunitario di Sostegno della C.E.E., ha previsto un intervento per la realizzazione di un Parco Urbano in località “Madonna della Grotta” collocato lungo l’alveo naturale della lama “Lamasinata”. Tale intervento costituisce l’avvio di un programma che,  all’interno del complesso delle “Lame”del territorio di Bari, mirerà alla realizzazione di aree naturali e peculiari sotto il profilo paesistico, naturalistico e storico. Si è in presenza, infatti, nella richiamata località di un ecosistema fortemente caratterizzato sotto il profilo geo-morfologico e naturalistico dove, tuttora, si conservano i connotati di un habitat naturale con vegetazione spontanea arbustiva ed arborea e resti di antichi insediamenti umani, sorti lungo le sponde della Lama per la presenza di corsi fluviali, di cui oggi restano significative tracce.

II Tratto della lama “Lamasinata”, ubicata tra il centro urbano e la Zona Industriale ed Artigianale, dovrà costituire, così, una infrastruttura ambientale e culturale, dando luogo ad un sistema del verde pubblico con funzioni di filtro e riequilibrio dell’intera struttura urbana.

L’intervento, riguardante il tratto che va dal complesso della Madonna della Grotta verso Bari e completamente finanziato dalla C.E.E. con un importo di circa 10 miliardi, persegue i seguenti obiettivi: tutela e salvaguardia di beni ambientali; recupero del patrimonio storico-ambientale; riqualificazione della vivibilità urbana.

Le opere comprese nel progetto, già appaltato, riguardano:

  • bonifica del corpo della ex discarica di Bari, ubicata all’interno della Lama, con captazione, recupero e utilizzazione del biogas;

  • risanamento del sito con opere di consolidamento;
  • opere di regimentazione acqua di scorrimento;
  • recupero ambientale e paesaggistico della discarica;
  • ricostruzione della vegetazione;
  • ripristino di antichi tratturi e grotte;
  • realizzazione di fasce verdi di protezione, attrezzate con percorsi pedonali e ciclabili c zone di sosta e riposo;
  • zona per sviluppo delle attività floro-vivaistiche;
  • zona tecnologica didattico-applicativa sulle energie alternative e rinnovabili.

Questo intervento, del quale sono state riconosciute la validità e l’opportunità e già in fase di realizzazione da parte della Comunità Europea, si riferisce, come si è detto, al triennio ’93-’95.

Recentemente la Regione Puglia ha elaborato il nuovo “Programma Regionale”, anch’esso finanziato dalla Comunità Europea (P.O.P. ’94-’98), che è stato già approvato nelle sue linee strategiche d’intervento nei settori dei “Beni Culturali” e della “Bonifica siti degradati”, che offre nuove possibilità di finanziamento alle Amministrazioni Locali per la realizzazione di interventi nei settori suddetti. Ebbene, il P.O.P. ’94-’98 potrebbe certamente contemplare una proposta per il comprensorio di Balsignano, in territorio di Modugno, con la finalità di recuperare sia il relativo complesso Monumentale ed Archeologico sia un ampio tratto della lama “Lamasinata” con la bonifica della ex discarica di r.s.u. ormai dismessa, in contrada “La Pigna”. Le possibilità che un tale intervento possa entrare nel P.O.P. ’94-’98 sono altissime sia per l’importanza nazionale ed internazionale del complesso di Balsignano, sia per la continuità che si stabilirebbe con l’intervento già in fase di realizzazione presso il complesso della “Madonna della Grotta”, poiché riguarderebbe un altro tratto della lama “Lamasinata”.

I criteri, le procedure e le modalità di accesso sono regolati e stabiliti da apposita legge regionale, già approvata, e prevedono che le proposte da formulare siano trasmesse, per tempo, alla Regione, corredate dalla necessaria documentazione tecnico-amministrativa, indispensabile per la valutazione e dimostrazione delle principali caratteristiche progettuali, economiche ed occupazionali della proposta. Tale opportunità non può essere disattesa da chi ha il compito di amministrare il territorio e, soprattutto, da chi ha a cuore la conservazione e la tutela del nostro patrimonio, tenuto conto della concreta possibilità di ottenere, di nuovo, un consenso ed una approvazione, da parte della C.E.E., per una iniziativa di indubbio valore e di grande rilevanza per lo sviluppo del territorio.

Balsignano, emblema della penalizzazione di un bene del Sud

Anno XVI N. 72 Novembre 1994
On. Dott. Nicola Magrone

L’onorevole Magrone ha presentato nel mese di agosto una ricca e documentata interrogazione parlamentare su Balsignano, che, al di là del suo valore politico, fornisce un quadro d’insieme preciso sull’intera problematica del casale medievale. Per la sua importanza e per gli sviluppi che essa potrà avere, riteniamo opportuno sottoporla all’attenzione dei lettori.

Interrogazione a risposta orale

Al Ministro peri Beni Culturali e Ambientali. –
Per sapere – premesso che:

il 14 febbraio 1981 il Ministro per i beni culturali e ambientali, su segnalazione-richiesta della Soprintendenza per i beni ambientali architettonici artistici e storici della Puglia, dichiarò il complesso di Balsignano, costituito da: Castello, Chiesa di S. Maria di Costantinopoli, Chiesa di S. Felice, sito in Provincia di Bari – Comune di Modugno, di interesse particolarmente importante ai sensi della legge 1° giugno 1939, n. 1089 in quanto eccezionale esempio di complesso medioevale» e lo sottopose a tutte le disposizioni di tutela previste dalla legge;

il Soprintendente per i Beni Ambientali Architettonici Artistici e Storici della Puglia arch. Riccardo Mola aveva segnalato all’Ufficio Centrale peri Beni A.A.A.A.S. -Div. III del Ministero per i Beni Culturali, ai fini delle misure di tutela di cui alla legge n. 1089 1° giugno 1939, che «il complesso di Balsignano, sito nel comune di Modugno, contrada Balsignano, riveste importante interesse storicoartistico ai sensi della legge 1089/39 in quanto eccezionale testimonianza di costruzioni medioevali rimaste all’interno dell’antico borgo di Balsignano. Del nucleo urbano originario, delimitato da una cinta muraria che probabilmente ne definiva i confini, restano solamente gli edifici rappresentativi quali il castello, la Chiesa di San Felice (importantissimo esempio dell’architettura romanico-pugliese del tipo di chiesa a cupola con influenze dell’arte bizantina e araba) e quella di Santa Maria di Costantinopoli mentre le abitazioni sono andate completamente distrutte nelle vicende belliche che hanno avuto una parte determinante nell’assetto del territorio»;

il complesso di Balsignano, sito nella omonima località del territorio comunale di Modugno (Bari), costituisce una rara testimonianza dei numerosi “casali” che tra il IX e l’XI secolo popolavano il paesaggio rurale di Terra di Bari. Il casale sorge in un sito di notevole bellezza a circa tre chilometri dall’abitato; è posto in posizione dominante alla confluenza di valli torrenziali. Sia nelle immediate vicinanze che più lontano, lungo la lama, sono presenti altri insediamenti, religiosi e civili, che provano la continua frequentazione del luogo. Sebbene gravemente depauperato rispetto all’originaria consistenza, il vecchio nucleo abitato, delimitato da una cinta muraria che ne doveva determinare un tempo i confini, conserva ancora gli edifici più rappresentativi, quali il castello e due chiese, San Felice e Santa Maria di Costantinopoli. Totalmente distrutte risultano, invece, le abitazioni o comunque le altre strutture edilizie che in origine lo completavano e di cui verosimilmente si potrebbero rinvenire importanti testimonianze attraverso un’opportuna campagna di scavo» (relazione tecnica e storico-artistica al progetto speciale «complesso di Balsignano -, arch. progettista Emilia Pellegrino della Soprintendenza di Bari);

«due conventi benedettini intitolati a San Lorenzo furono fondati, nella fine del secolo X, il primo nella città e l’altro, a distanza di sette miglia, nel territorio di Capua, e formarono una badia, che dalla nuova città, sorta nel secolo seguente accanto al secondo, prese il nome di San Lorenzo di Aversa. Arricchita per le donazioni cospicue di principi capuani, di conti normanni e di altri benefattori, confermate da pontefici e imperatori, divenne molto potente. La sua giurisdizione, tra il XII e il XIII secolo, si estendeva in Campania e in Puglia su 80 chiese, presso le quali erano monasteri e grande con villaggi e larghi e pingui territori. Tra gli altri possessi, era il castello di Balsignano che, con tutte le appartenenze, terre coltivate e incolte, oliveti, vigne e pascoli, era stato donato alla badia aversana dal duca Ruggiero, figlio di Roberto Guiscardo e da sua moglie Adele nel maggio del 1092. Le rovine di questo castello, con la chiesa annessa, esistono tutt’oggi su una pittoresca eminenza a tre chilometri da Modugno (Bari ), quasi a metà della via che mena a Bitritto. Balsinianum, derivazione attraverso Palisinianum del primitivo Basilianum, fu con molta probabilità in origine un podere appartenente ad un Basilium, ager basilii. Ivi, a poco a poco, si formò una borgata, della quale la prima notizia ci è data da un instrumento del maggio 962 dell’Archivio di San Nicola di Bari» (Giuseppe Ceci, «Balsignano», 1933, ristampato da edizioni Nuovi Orientamenti, dicembre 1988);

«fra X e XI secolo, dunque Balsignano si sviluppò come nucleo insediativo fortificato, in posizione eminente in un’area servita da una diramata viabilità locale, nonché da un asse viario a dimensione territoriale – la “mulattiera” menzionata già da Strabone – che da tempi antichi collegava Butuntum a Caelia, passando per Modugno e offriva un percorso alternativo interno al tracciato principale della via Traiana. Al di là del caso particolare, la ricca documentazione del Codice Diplomatico Barese testimonia, nella medesima epoca, l’esistenza di una fitta rete di tracciati che innerva l’intero territorio pugliese, sovrapponendosi alla viabilità primaria delle grandi arterie romane – via Appia e Traiana – che ancora in età medievale costituiscono le direttrici fondamentali delle invasioni, dei pellegrinaggi e dei traffici meridionali» (Raffaele Licinio, «Balsignano nell’attualità di un itinerario, in Nuovi Orientamenti», gennaio 1983).

«chi visita ora Balsignano di Modugno riconosce agevolmente la pianta del borgo medioevale, che è circondato per tre lati chi strade, e pel quarto, a sud. dove è meglio conservata la cinta murale, da un sentiero in alto sulla valle. […] La più antica di questa [delle due chiesette del borgo], S. Felice, desta vivo interesse per la singolarità o libertà della sua pianta, per l’elegante semplicità della sua architettura e decorazione, per le incertezze stesse originate dallo stato presente dell’edificio in parte rovinato. […] se la fattura della nave principale si rivela con sicurezza della prima metà del Duecento, quella della nave laterale appartiene ad un metodo di muratura che non si può circoscrivere in un’epoca determinata. Ma comunque sia ciò avvenuto e quale delle due fabbriche abbia preceduto l’altra, è curioso trovare accanto e incastrati tra loro un trullo e una chiesetta a cupola, generi di costruzione la cui affinità è stata così lucidamente esposta da Emilio Bertaux in un capitolo della sua opera su l’arte nell’Italia meridionale (Bertaux, L’arts dans l’Italie meridionale. Paris, Fontemoing, 1904. Per Balsignano si confr. le pagine 381.386, 391 ) […] Al grazioso disegno dell’insieme e di ogni particolare si accorda la perfezione con cui sono squadrati e lavorati i conci di pietra calcarea disposti nei filari orizzontali dei muri e dei pilastri e nelle curve degli archi e delle volte. Il bel colore del materiale non fa rimpiangere la decorazione pittorica o non mai eseguita o scomparsa; solo su un pilastro a sinistra appare la traccia di un’immagine ad affresco» (Giuseppe Ceci, “Balsignano-. 1933, ristampato da edizioni Nuovi Orientamenti, dicembre 1988);

il decreto 14 febbraio 1981 del Ministro per i beni culturali e ambientali venne notificato al proprietario del complesso, avvocato Giovanni Lacalamita, il 2 aprile 1981;

fra l’estate e l’autunno del 1982. il Ministero per i beni culturali e ambientali e quello per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno elaborarono il «Progetto speciale “Itinerari turistico-culturali nel Mezzogiorno”»; Balsignano venne “inserito” nell’itinerario normanno-svevo”;

gli interventi più “immediati” previsti nel progetto «Complesso Balsignano» vennero così definiti nella relazione tecnica e storico-artistica del progettista arch. Emilia Pellegrino: «La proprietà privata del casale ha sempre costituito il maggior ostacolo ad un intervento diretto di restauro finanziato dal Ministero per i Beni Culturali o anche all’utilizzo di finanziamenti regionali. Proprio per ovviare a questo impedimento, e considerato che le precarie condizioni del complesso rendono improcrastinabile il recupero delle strutture superstiti, il Comune di Modugno e questa Soprintendenza hanno, da alcuni anni, avviato le procedure per addivenire rispettivamente all’esproprio o all’acquisizione del bene al demanio dello Stato. La richiesta di autorizzazione all’esproprio da parte del Comune, inoltrata il 14 marzo 1984, è ancora all’esame del Ministero peri Beni Culturali e Ambientali [e si era nel maggio 1985!]; su tale proposta questa Soprintendenza [di Bari] ha espresso parere favorevole. Successivamente, con nota […] del 22.4.1985, questo Ufficio [Soprintendenza dì Bari] ha fatto presente al Ministero alcune considerazioni che fanno ritenere preferibile l’acquisizione del complesso al demanio statale, ferma restando la possibilità di un’eventuale concessione in uso al Comune di Modugno. In particolare, si è tenuto conto dell’eccezionale valore del casale e della delicatezza del restauro da eseguire, che rendono opportuno l’intervento diretto della Soprintendenza, della possibilità di assicurare la fruibilità e la custodia del complesso con personale dell’Amministrazione (considerata la vicinanza con la sede di questo Ufficio) e infine della disponibilità dei fondi necessari all’acquisizione, compresi nel lotto finanziario degli «Itinerari turistico-culturali nel Mezzogiorno». Per la determinazione dell’importo, questo Ufficio ha richiesto all’ufficio Tecnico Erariale la valutazione degli immobili e di quella parte del terreno agricolo circostante strettamente necessaria a garantire la fruibilità dei monumenti; il valore degli edifici è stato stimato in lire 150.000 e quello del terreno in lire 10.000.000. In considerazione del notevole valore storico-artistico del complesso, questa Soprintendenza ha ritenuto di dover incrementare la suddetta valutazione dell’importo di lire 50.000.000 per un valore complessivo di lire 210.000.000. Tale cifra è stata pertanto inserita nella perizia di spesa che la presente relazione accompagna; nell’eventualità che il complesso venga espropriato dal Comune prima dell’inizio dei lavori, l’importo relativo all’acquisizione verrà utilizzato per effettuare il restauro del castello non compreso nel presente progetto. La necessità di eseguire, con i fondi a disposizione, un lotto funzionale e di conseguire nello stesso tempo la valorizzazione e fruibilità dei beni restaurati hanno portato a concentrare l’intervento sulle chiese di San Felice e di Santa Maria di Costantinopoli, di dimensioni ridotte ma più importanti sotto il profilo storico-artistico.
Il recupero del castello, che appare complesso perché più legato ad una futura eventuale rifunzionalizzazione, viene rimandato in attesa che sì concluda il passaggio di proprietà del complesso. […]. Il quadro economico del progetto risulta così suddiviso:
A) importo opere murarie: lire 257.000.000; B) restauro affreschi: lire 22.500.000; C) revisione prezzi: lire 33.540.000; D) spese generali: lire 8.385.000; E) imprevisti e arrotondamento: lire 12.985.000; F) somma per acquisizione: lire 210.000.000; G) Iva: lire 5.590.000; importo complessivo progetto: lire 550.000.000»;

il 2 giugno 1989 (a distanza, dunque, di otto anni dal decreto “di vincolo” su Balsignano!), l’Agenzia per la Promozione dello Sviluppo del Mezzogiorno trasferì alla Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici della Puglia l’opera di restauro del complesso monumentale di Balsignano riconoscendo alla Soprintendenza l’importo complessivo fisso ed invariabile di lire 502.735.697;

nel 1989, il proprietario del complesso di Balsignano, avvocato Giovanni Lacalamita, si dichiarò disposto a cedere alla Soprintendenza di Bari la proprietà delle tre strutture architettoniche (chiese di San Felice e di Santa Maria di Costantinopoli, castello) e della porzione di terreno sulla quale esse insistono; in sostanza, l’avvocato Lacalamita accettò di cedere la proprietà del tutto per lire 210.000.000, aderendo così completamente alle valutazioni dell’Ufficio Tecnico Erariale; la cosa fu portata a conoscenza del Ministero per i Beni culturali dalla Soprintendenza di Puglia il 13 novembre 1989; con la precisazione che Giovanni Lacalamita rinunciò pure alla somma aggiuntiva riconosciutagli dalla stessa Soprintendenza per il valore artistico dei beni (lire 50.000.000), pur di definire al più presto la vicenda;

la «pratica», pur di facile definizione, rimase, dal 1989 sostanzialmente ferma, salvo un suo singolare e sinistro vagabondare tra Ministero per i Beni culturali e Ministero delle Finanze; nel frattempo, di concreto, la Soprintendenza di Puglia, aveva realizzato interventi per un importo di circa 70.000.000 (consolidamento della Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli e delle strutture murarie che delimitano l’intero casale); e tanto, nonostante il problema vergognosamente irrisolto dell’acquisizione del complesso; contemporaneamente. la Soprintendenza archeologica di Puglia realizzò scavi a seguito dei quali venne alla luce un sepolcreto, strutture conventuali ed abitative nonché un’abside probabilmente di età tardo-romana e. all’interno della Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, ad un livello di m 2.5 al di sotto del precedente piano di calpestio, una necropoli medievale, affreschi, una nicchia (probabilmente una tomba) e strutture che riportano ragionevolmente a due chiese ancora più antiche;

sorprendentemente, il 15 maggio 1992 [!]. il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali si “rifece vivo” con la Soprintendenza di Puglia per richiedere «i documenti necessari alla dichiarazione di pubblica utilità e all’esproprio, corredati di una stima aggiornata dell’Ute» (il tutto, fermo l’impegno finanziario per lire 502.735.697);

il 3 novembre 1992. la Soprintendenza di Puglia inviò al Ministero la documentazione richiesta informando che l’Ute aveva, intanto, aggiornato la stima del complesso portandola a lire 266.000.000;

il 23 novembre 1993, il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali. … «esaminati gli atti, richiese ulteriori documenti alla Soprintendenza di Puglia «per dare inizio alla procedura di rito» e restò, senza alcun timore del ridicolo, •in attesa di urgente riscontro»; tra i documenti richiesti, quelli relativi ai «tempi d’inizio e di esecuzione dell’esproprio» del complesso; insomma, come se nulla fosse accaduto prima e come se da ormai dieci anni il proprietario non avesse ripetutamente dichiarato la sua disponibilità a cedere il complesso;

il 24 febbraio 1994, il Soprintendente A.A.A.A.S. di Puglia, arch. Roberto Di Paola, trasmise la documentazione richiesta; quanto all’esproprio, replicò al Ministero: «circa “l’attestazione inerente i tempi di inizio e di esecuzione dell’esproprio”, […] questo Ufficio osserva di non poter fornire le notizie richieste in quanto il progetto approvato, finanziato nell’ambito degli Itinerari Turistici perii Mezzogiorno. prevedeva che l’acquisizione del complesso monumentale sarebbe avvenuta non attraverso l’attivazione della procedura di espropriazione per p. v. del bene stesso ma con cessione bonaria da parte del proprietario dietro corrispettivo, peraltro già stanziato e messo a disposizione dall’Agenzia per la promozione dello Sviluppo nel Mezzogiorno nel suddetto progetto. Ne consegue che questo Ufficio non ha certamente potuto perfezionare gli adempimenti previsti dagli artt. 4 e 5 della legge 2359/ 1865. così come richiesto da codesta Divisione. Pertanto, al fine di evitare errori che possano compromettere il buon esito della vicenda in parola, non solo, ma soprattutto allo scopo di non nullificare tutti gli atti procedurali compiuti fin qui da questo Ufficio e giunti nella fase conclusiva, si chiede a codesto Ministero che chiarisca in via definitiva i giusti termini nei quali deve svolgersi l’acquisizione al Demanio statale – ramo storico-artistico – del complesso di Balsignano»;

il 1 aprile 1994, il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali inviò alla Soprintendenza di Puglia una ulteriore, inconcludente, richiesta di atti e mostrò di meravigliarsi della lievitazione del prezzo dei beni da acquisire;

il 3 maggio 1994, la Soprintendenza di Puglia replicò al Ministero spiegando le ovvie ragioni della lievitazione del prezzo dei beni come valutato dall’UTE e ribadì la ormai patetica richiesta di indirizzi sull’ormai più che decennale problema acquisizione/esproprio-:

se in tutti questi accadimenti, segnati dall’evidente disprezzo per l’interesse pubblico e dello stesso pubblico denaro, non siano ravvisabili precise responsabilità ministeriali;

se non vi siano ravvisabili ampie tracce di una volontà di discriminazioni contro il Mezzogiorno ed i suoi numerosi giacimenti culturali:

se non sia giudicato urgentissimo l’intervento dello stesso Ministro per ordinare che si perfezioni immediatamente l’atto di cessione del complesso dal privato (consenziente da un decennio) e lo Stato e, conseguentemente, per accertare quali interessi abbiano mosso il Ministero nel boicottare l’esecuzione di un progetto che avrebbe restituito alla comunità internazionale degli studiosi e alla società civile un insieme monumentale di indiscusso altissimo valore;

se l’intera vicenda non abbia finito per penalizzare una regione meridionale anche nelle sue legittime aspirazioni ad una presenza più “forte” nello scenario culturale e storico italiano e mondiale;

se non siano ravvisati gli «estremi» per interessare della vicenda, nei suoi sinistri risvolti che testimoniano lo spreco indebito di pubblico denaro, la competente Autorità Giudiziaria.

On. Nicola Magrone

Si profila un futuro per Balsignano

Anno XIII N. 4 Luglio, Agosto 1991
Raffaele Macina

I lavori ancora in corso a Balsignano sono certamente i più importanti sino ad oggi eseguiti, soprattutto perché dopo la loro ultimazione si potrà porre finalmente il problema della utilizzazione delle strutture restaurate, con conseguente accesso al pubblico. L’intero intervento, ancora in atto, è stato promosso dalla Soprintendenza per i Beni Monumentali e Architettonici di Bari, che negli ultimi anni ha dedicato una più costante attenzione al complesso di Balsignano.

A dirigere i lavori per conto della Soprintendenza è l’architetto Emilia Pellegrino, alla quale ci rivolgiamo perché tracci un quadro dell’attuale stato dei lavori a Balsignano.

Bisogna premettere – afferma la Pellegrino – che l’intero intervento su Balsignano era previsto dal progetto degli itinerari turistico-culturali, che agli inizi degli anni Ottanta era di competenza della Cassa per il Mezzogiorno, la quale dopo la sua soppressione ha versato al Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali i finanziamenti previsti. La particolare vicenda della Cassa per il Mezzogiorno ha determinato delle lungaggini burocratiche ed amministrative, per cui la Soprintendenza ha potuto avviare concretamente i lavori solo quest’anno.

I finanziamenti previsti per Balsignano ammontano a 550 milioni, dei quali 210 sono destinati all’acquisto delle tre strutture architettoniche (Chiese di San Felice e di S. Maria di Costantinopoli, castello) e della porzione di terreno sul quale esse insistono, 280 per i lavori di restauro, mentre la somma rimanente sarà utilizzata per spese varie.

Comunque, indipendentemente da questi finanziamenti, la Soprintendenza, in seguito a vandalismi e furti verificatisi, realizzò già due anni fa alcuni lavori di pronto intervento sulla Chiesa di San Felice: fu restaurata la cupola e gli interni furono oggetto di scavi.

Col finanziamento di quest’anno abbiamo ripreso i lavori di consolidamento della Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli e delle strutture murarie che delimitavano l’antico casale. A Santa Maria di Costantinopoli abbiamo realizzato il restauro delle coperture e promosso degli scavi sia nella navata destra sia in quella sinistra. Sulle mura, limitatamente a quella parte di esse che va dalla chiesa di S. Maria di Costantinopoli alla strada, siamo intervenuti con un paziente lavoro di restauro, finalizzato a ripristinare il suo stato originario: sono venute alla luce delle feritoie che prime erano coperte dalla vegetazione. Per quanto riguarda gli scavi della Chiesa di San Felice bisogna aggiungere che c’è stato anche un intervento della Soprintendenza Archeologica che, per l’esiguità del finanziamento (20 milioni) non ha potuto interessare una vasta zona.

I lavori sino ad ora eseguiti, e particolarmente i saggi di scavo, hanno portato alla luce una documentazione abbastanza ricca: monete, anelli, tombe, pavimenti e muri che delimitavano ambienti. Questi elementi, di cui ora disponiamo, confermano l’importanza di Balsignano e possono favorire nuove ipotesi interpretative sulla sua storia?

Certamente Balsignano è un unicum, uno dei pochi esempi di villaggio medievale che ha conservato una grande ricchezza di strutture architettoniche, mentre in altri luoghi vi sono solo testimonianze archeologiche o resti di strutture.

Gli elementi acquisiti con i saggi di scavo hanno bisogno di maggior approfondimento, soprattutto da parte degli archeologi, ma già da ora alcuni di essi rivestono una indubbia importanza. Ad esempio, a ridosso della Chiesa di San Felice sono affiorate le fondamenta di strutture ecclesiastiche o conventuali e un’abside di una altra chiesa più antica; nella Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli gli scavi hanno riportato alla luce affreschi, una nicchia e diverse tombe, mettendo in evidenza come i due corpi della Chiesa siano di epoche diverse e siano il risultato di una serie di stratificazioni.

Certamente Balsignano è un unicum, uno dei pochi esempi di villaggio medievale che ha conservato una grande ricchezza di strutture archi- tettoniche, mentre in altri luoghi vi sono solo testimonianze archeologiche o resti di strutture. Gli elementi acquisiti con i saggi di scavo hanno bisogno di maggior approfondimento, soprattutto da parte degli archeologi, ma già da ora alcuni di essi rivestono una indubbia importanza. Ad esempio, a ridosso della Chiesa di San Felice sono affiorate le fondamenta di strutture ecclesiastiche o conventuali e un’abside di una altra chiesa più antica; nella Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli gli scavi hanno riportato alla luce affreschi, una nicchia e diverse tombe, mettendo in evidenza come i due corpi della Chiesa siano di epoche diverse e siano il risultato di una serie di stratificazioni.

Dopo l’ultimazione dei lavori, il complesso di Balsignano potrà essere aperto al pubblico?

Noi contiamo fra settembre ed ottobre di ultimare i lavori, sia sistemando l’area interna ed esterna alla Chiesa di San Felice, sia completando gli scavi a Santa Maria di Costantinopoli. Riteniamo che subito dopo la Soprintendenza provvederà ad assicurare una forma di custodia e, pertanto, anche l’accesso al pubblico.

Lei ritiene che il Comune di Modugno possa avere qualche ruolo nella valorizzazione di Balsignano?

Certamente sì. Il Comune di Modugno con un’azione di largo respiro potrebbe interessarsi di tutta l’area circostante che ha un grande valore storico-archeologico. Il problema è che il Comune di Modugno non si è mai interessato seriamente di Balsignano.

Riaffiorano a Balsignano necropoli e abitazioni

Anno XIII N. 3 Maggio,Giugno 1991
Eugenio Lombardi

I lavori di scavo e ricerca recentemente ripresi stanno confermando il complesso di Balsignano luogo di grande interesse. Emerge prepotente la stratificazione di eventi architettonici, e quindi storici, che resero il casale, documentato nel 962 dal Codice Diplomatico Barese (“…in loco Basilianum iuxta castellum”) importante punto strategico lungo la strada che collegava Butuntum a Caelia.
II casale sembra contenere nelle sue mura tutta la storia che lo ha interessato: distrutto dai Saraceni nel 988 e ricostruito subito dopo per essere donato da Ruggero il Normanno nel 1902 all’Abbazia Benedettina di S. Lorenzo d’Aversa; gestito quindi da una serie di signorotti locali fino all’assalto, nel 1397, delle truppe baresi filo-angioine contro le truppe filo-ungheresi; per essere poi parzialmente distrutto nel 1528 dalle truppe francesi e spagnole.
La cinta muraria del complesso, mancante di alcuni tratti e con uno sviluppo totale di oltre 500 metri, è uno dei rari esempi di mura medievali giunti fino a noi; mantiene intatti circa 300 metri dell’originale tracciato, con l’inequivocabile aspetto dell’“opera listata” di derivazione bizantina. Del coronamento di torrette ne sono attualmente visibili cinque, tre originarie e due ricostruite in epoca successiva, la stessa, presumibilmente, che ha visto il rifacimento di parti della cinta muraria. Alcune torri sono state rinforzate da contrafforti in pietrame, probabilmente in tempi in cui cominciavano a risentire della loro vetustà, o magari per un potenziamento della loro mole, come per quella posta sul fronte che si affaccia sulla lama. È interessante come anche le parti rifatte del muro, anch’esse in pietrame a secco, abbiano in qualche loro tratto vagamente ripreso l’andamento del listato.
In epoca recente è stato realizzato il muretto a destra dell’attuale ingresso al complesso che, correndo in parallelo alla vecchia cinta muraria, ne utilizza parte dei conci.
Grande interesse sta suscitando il lavoro di scavo all’interno delle due chiese e nel loro immediato contorno.
Una necropoli è venuta alla luce, come facilmente preventivabile, intorno alla chiesa di S. Felice (o S. Pietro); ulteriori scavi hanno permesso di avvia re la lettura di fondazioni di abitazioni, con un paramento di buona fattura e dal pietrame ben squadrato. È stimolante il ritrovamento di una cisterna inserita all’interno di un segmento murario arcuato che tenderebbe a delineare l’abside di una precedente chiesa: ipotesi di grande fascino, benché lasci interdetti l’orientamento che tale chiesa avrebbe avuto.
Tutte in piedi restano ancora le ipotesi relative alla stessa chiesa di S. Pietro: la cupola emisferica posta sull’alto tamburo era probabilmente in origine sostegno di una copertura a cuspide, così come in alcune chiesette armene; l’uso esterno ed interno di mensole dentellate di diversa provenienza e fattura; il corpo addossato all’unica navata esistente, ora liberato dai detriti che in parte lo ostruivano, mostra l’evidenza della sua diversità; la stessa navata unica che, proprio in prossimità del corpo addossato, presenta ancora segni di affreschi e l’imposta di archi che lascerebbero presumere l’esistenza di una seconda navata andata distrutta.
Stimolanti ritrovamenti si stanno avendo anche all’interno della chiesa di S. Maria di Costantinopoli. Gli scavi tutt’ora in corso hanno portato alla luce una necropoli medievale, ad un livello di circa 2,5 m. al di sotto dell’attuale piano di calpestio. Durante lo scavo sono stati individuati due livelli di pavimentazione, appartenenti forse ad altrettante precedenti chiese; all’esterno, lungo il muro che si affaccia sulla lama, sono visibili quattro archetti con tracce di affreschi, quasi completamente interrati, appartenenti al fianco sud di una delle chiese, forse la più antica.
Il forte dislivello tra l’attuale livello di calpestio ed i pavimenti venuti alla luce lascia supporre la creazione di un terrazzamento forse al momento di realizzazione della chiesa più recente e del castello. Ulteriori terrazzamenti e contrafforti sono ben visibili lungo il costone della lama.

Giuseppe Ceci: “Cireneo” anche su Balsignano

In questo numero pubblichiamo il saggio più completo che sia stato scritto sino ad ora sul Casale Medievale di Balsignano, di cui fu autore Giuseppe Ceci. Il saggio, fin da quando apparve sul n. 1 dei 1932 della rivista «JAPIGIA», si impose subito all’attenzione degli studiosi per la ricchezza della documentazione e per la sua sistematicità, tanto che ancora oggi esso costituisce una fonte primaria e privilegiata dalla quale i ricercatori attingono notizie e valutazioni su Balsignano. La riproposizione dello studio del Ceci, del quale viene presentato un breve profilo biografico in questa pagina, non vuole avere soltanto un intento storiografico, ma mira soprattutto a sollecitare concrete iniziative per il recupero di Balsignano. Chissà, leggendo questo studio, qualche responsabile delle istituzioni politiche e culturali potrebbe accendersi di «eroico furore» per la storia, ricca e affascinante, sedimentata nelle pietre di Balsignano e armarsi di buona volontà! Sarebbe un miracolo, e la ragione è sempre li pronta a ripeterci che il miracolo non attiene alla dimensione della storia e delle umane vicende. Ma in una situazione come questa, quando la colpevole incuria delle autorità preposte alla salvaguardia è lì sul punto di fagocitare e cancellare per sempre Balsignano, che altro si può fare se non invocare l’impossibile miracolo?

Raffaele Macina

 

Link saggio di Giuseppe Ceci: “Balsignano”

Anno X N. 5,6 Settembre,Dicembre 1988
Piero Bianchi, Costanza Novielli

«All’apparire di Giuseppe Ceci i nove musi diventaron dieci». Così si verseggiò scherzosamente, quando il nome di Giuseppe Ceci si venne ad aggiungere a quello dei nove studiosi più eminenti della Napoli di fine ottocento.

Giuseppe Ceci nacque ad Andria il 25 dicembre del 1863; fu legato a Benedetto Croce da un forte sentimento di amicizia sin da quando furono entrambi allievi nel collegio napoletano della «Carità». Laureatosi in Giurisprudenza, intorno ai vent’anni si consacrò alla storia delle arti figurative e alla topografia di Napoli, divenutagli seconda patria. Nel 1892, insieme con Riccardo Carafa di Andria, Luigi Conforti, Benedetto Croce, Salvatore Di Giacomo, Michelangelo Schipa e Vittorio Spinazzola, fondò «Napoli Nobilissima», la bella rivista mensile d ’arte e topografia napoletane. Il Ceci ne curò la redazione, incarico certamente oneroso, poiché attendere alla redazione non significava soltanto forni re un certo numero annuale di articoli, occuparsi delle rubriche «Notizie e osservazioni» e «Da libri e periodici» firmandole con gli pseudonimi di don Ferrante e don Fastidio, correggere le bozze e curare rimpaginazione, ma implicava anche il dover combattere con la prosa artefatta di alcuni collaboratori, di cui era solito riscrivere da cima a fondo gli articoli. Il Ceci fu inoltre animatore e collaboratore della rivista «Japigia» dal 1930 al 1935.

Fausto Nicolini nella commemorazione di Giuseppe Ceci, spentosi il 25 febbraio del 1938, afferma di non aver conosciuto uno studioso più disinteressato. Il Ceci nella sua vita non fu mai bramoso di gloria, ne è testimonianza il fatto che pur possedendo notevoli qualità di scrittore, alla piacevole fatica dell’esporre e del raccontare preferì quella, più arida, del ricercare, raccogliere e catalogare a beneficio degli studiosi; egli invece che lavorare per sé lavorava per gli altri assumendosi, con umile pazienza da certosino, la parte più uggiosa e ingrata dei lavori altrui. Sempre il Nicolini definisce le opere di Ceci lavori perfetti sia dal punto di vista dell’informazione erudita sia da quello della sobrietà, scioltezza e semplice eleganza della forma. Di notevole importanza sono i due volumi di «Bibliografia per la storia delle arti figurative nell’Italia meridionale», strumenti che consentono agli studiosi di orientarsi con rapidità ed esattezza, in questo vastissimo campo di lavoro.

Animato da un grande interesse per la storia locale, il Ceci portò notevoli contributi alla cultura pugliese. Un tale impegno di ricerca sulla storia locale spinse il Ceci a stabilire un fraterno rapporto di amicizia e di collaborazione con Vito Faenza (1845-1923), instancabile ricercatore e storico modugnese, del quale egli pronunziò un’accorata commemorazione funebre. Non è da escludere che a spingere Ceci ad occuparsi sistematicamente del Casale di Balsignano abbia contribuito lo stesso Faenza che su di esso aveva già pubblicato numerosi interventi. In questo senso, si potrebbe parlare di una ideale continuità di impegno su Balsignano fra questi due appassionati storici; continuità testimoniata, per altri versi, dal fatto che il Ceci successe nel 1923 al Faenza nella presidenza della Commissione Provinciale di Bari della «Società di Storia Patria».

All’età di settantaquattro anni, il Ceci si dedicò a un lavoro molto impegnativo: proseguire, cioè, gli spogli iniziati dal D’Addosio nelle polizze di pagamento degli antichi banchi napoletani — conservate tutte nel l’Archivio generale del Banco di Napoli — per trarne le notizie relative ai cultori delle arti figurative. Solo la morte potè troncare il suo ardore giovanile di ricerca e la fatica ultima che aveva intrapreso con tanta gioia e tanto entusiasmo.

Per un parco archeologico su Balsignano

Anno X n. 5-6 Settembre-Dicembre 1988
Nino Lavermicocca

 

Ma su Balsignano è proprio vero che il Comune di Modugno non possa far nulla? Il dott. Nino Lavermicocca, ispettore della Soprintendenza Archeologica di Bari, in questo articolo avanza due proposte: far ricorso alla legge regionale n. 37 del 1979; destinare subito il territorio di Balsignano a «Parco Archeologico», perché possano essere avviati saggi di scavo. Il consiglio comunale, sempre impegnato indiscussioni «trimalchionesche», riuscirà a dedicare un’ora del suo infinito quanto improduttivo tempo per assumere una deliberazione su Balsignano?

«Cronaca di un delitto annunciato» è ormai il titolo del «giallo» di Balsignano trasmesso in mille puntate e del quale, comunque, non si indovina ancora l’assassino (o sì?). Il tempo, indifferente alle volontà e ai capricci degli uomini, intanto trascorre e la caparbia resistenza di Balsignano dà i primi segni di cedimento ai colpi dell’ignavia e dell’assedio dei nuovi «Ungari», a caccia di qualche concio di pietra lavorata, una testa affrescata di Madonna, uno stemma, un capitello.

La difesa contro l’attacco è assai debole e disordinata. Coloro ai quali è devoluto il compito della difesa nicchiano, lasciando l’impegno di esporsi ai vicini e questi agli altri nel gioco meridionale dello scaricabarile. Occorre invece che non ci si nasconda dietro il dito; che ciascuno verifichi le effettive capacità d’intervento; rinunci ad impossibili progetti di restauro che non vedranno mai il sole, almeno in questo paese; faccia crudamente i conti in tasca e permetta almeno che alla mancanza di idee, fondi ed interesse supplisca chi può. Si misura così la volontà effettiva di intervenire sul complesso storico-archeologico e monumentale da troppo tempo in abbandono. Se lo Stato non può, per mille e una ragione, accollarsi l’onere dell’intervento riparatore, Io dica apertamente, rinunci e sarà il Comune, la Regione, la Comunità locale a farsi carico di reperire i finanziamenti necessari. Qualche opportunità, strumento c mezzo per raggiungere un risultato parziale è possibile. La Legge Regionale n. 37/1979, in materia di restauro e valorizzazione dei Beni archeologici e monumentali, ha dimostrato di essere, nonostante i suoi limiti e le sue insufficienze, a volte l’unica ancora di salvezza per i monumenti periclitanti, anche se strettamente connessa al naviglio da cui viene calata. Il Comune di Modugno, che vede insieme nel governo della città, come si diceva una volta, il «diavolo» e «l’acqua santa», cerchi nei due «regni» i suoi protettori, siano essi Lucifero o Sant’Arcangelo. L’importante è che il complesso monumentale di Balsignano sia recuperato e rapidamente, tenuto conto che altre salvezze non sono possibili e che le Istituzioni preposte, gravate da enormi compiti e impegni largamente onerosi, interverranno (se mai lo faranno) a disastro avvenuto. Balsignano, una delle rarissime testimonianze superstiti dell’assetto prediale «ager varinus», non merita di essere cancellato dal territorio. Già è andato perduto il patrimonio documentario che concerneva la sua storia, durante l’ultimo conflitto mondiale; non si permetta che vengano distrutte anche le sue vestigia materiali: il castello, le due chiese, la cinta di mura c le altre fabbriche che, tenute appena insieme dai melograni, gli olivi e i mandorli, possono ridursi improvvisamente ad un cumulo di macerie. L’esplorazione archeologica di questo villaggio medievale, fra i meglio conservati della provincia di Bari, a due passi dal capoluogo e da Modugno, città cresciuta tanto in fretta da dimenticare il suo passato non certo ignobile, attestato da simili sopravvivenze, consentirebbe certamente di trarre dall’archivio della terra quelle informazioni (forse più numerose) negate dalle fonti scritte. Per la definizione di un progetto di «Parco archeologico» a Balsignano, proprio l’esplorazione del sottosuolo potrebbe costituire il primo passo concreto, tendente a rimettere in luce l’organizzazione ed il sistema urbano di quell’abitato, che certamente dovette vivere intorno alle «emergenze» tuttora visibili (chiese e castello) con le sue case, botteghe, depositi.

Balsignano inoltre conserva intatto il suo contesto ambientale, degna cornice per una sistemazione a parco, che può anch’esso considerarsi «storico», fra le continue trasformazioni agricole subite invece dalle aree viciniori. Anzi l’equilibrio esistente fra contesto rurale e quello monumentale deve essere rigorosamente tutelato, senza «diradamenti» o mutamenti di colture.

A chi visita per la prima volta Balsignano le chiese appaiono come un frutto della stessa terra, con i blocchetti di pietra ordinati nella elegante geometria, nel raccordo volumetrico e nella misurata decorazione delle facciate e corpi di fabbrica. Le dimensioni degli edifici non oltrepassano la cima degli alberi, tranne la cupola della chiesetta di S. Pietro (S. Felice, n.d.r.), montata sul perfetto tamburo ottagonale, come una specola di osservatorio. Un insieme di forme, alcu ne rustiche, altre levigatissime, avviluppate ancora le une alle altre, cristallizzate nella fase di transizione dalla cultura antica della pietra a quella delle proporzioni e del numero.

In tale ambito è soprattutto la chiesetta di S. Pietro a mostrare intatta la sua qualità architettonica e formale: a metà reliquiario e a metà edificio di culto «romanico», di un romanico tutto particolare, in cui confluiscono esotiche annotazioni orientali, influenze della più vicina Daunia medievale, partiti decorativi di più immediato riscontro nelle tipologie del romanico «maggiore», soprattutto di Terra di Bari. Fra tutto questo concorrere di elementi storici, culturali, ambientali, Balsignano si consuma lentamente, stanco ormai di mostrare tesori che nessuno (o pochi) mostrano di apprezzare e che in effetti impallidiscono e scompaiono, come ad esempio il prezioso ciclo di affreschi con scena di Ascensione di Cristo al cielo e Apostoli sottostanti, per il quale non è stato vergognosamente mai trovato il tempo e il modo di fermarne almeno il degrado, prima che svanisca persino la sua sinopia. Una vera omissione d’atti di ufficio, di mancato soccorso, reati per i quali non è previsto dal codice della conservazione alcuna particolare sanzione. Altri frammenti di affreschi subiscono attualmente la stessa sorte, allontanandosi con le proprie immobili e ieratiche immagini da una realtà mutevole e veloce che, padrona di mille congegni, non è più libera di fermarsi nemmeno per uno sguardo.

Nuovi amatori per Balsignano

Anno X N. 4 Luglio,Agosto 1988
Ivana Pirrone

I ragazzi della scuola elementare «Duca d’Aosta» di Palese hanno dato vita ad una interessante mostra didattica sul Casale di Balsignano ed hanno invocato un minimo di sensibilità per il recupero di questo gioiello architettonico della Puglia

Domenica 19 giugno le antiche pietre del Fortino S. Antonio di Bari sono state rallegrate dalla insolita presenza di bambini e ragazzi: erano venuti a vedere la mostra dei lavori attraverso i quali avevano commentato una visita guidata a Balsignano.

In questo modo gli scolari della scuola elementare «Duca d’Aosta» di Palese hanno sentito di testimoniare la loro partecipazione accorata alle condizioni in cui versa Balsignano ed hanno profuso tutta la loro ingenua e fresca creatività nel riempire fogli su fogli di progetti, disegni, scritte, volti ad illustrare l’esperienza compiuta ed a progettare un recupero del casale medievale. I loro lavori riempivano di colori allegri e vivaci quell’ambiente in genere austero ed hanno infuso nuove speranze nel cuore degli adulti: forse, domani sarà migliore di oggi, per merito di questi bambini, così gioiosi e fiduciosi ma nello stesso tempo così determinati a comprendere il passato per poter programmare il futuro.

Al tavolo Adirt, promotrice con Nuovi Orientamenti dell’iniziativa, sedevano l’assessore provinciale Franco Pucciarelli e l’assessore comunale di Modugno Antonio Stramaglia, ideali interlocutori di quanti, per Balsignano, richiedono iniziative concrete e soluzioni reali. Non si sono sottratti all’impegno, anzi l’assessore Pucciarelli si è impegnato a soddisfare la richiesta di Nino Lavermicocca: pubblicare un quaderno con questa esperienza didattica da mettere a disposizione di altre scuole e altri studenti.

Quella realizzata da questi ragazzi sotto la guida delle loro insegnanti è, infatti, come ha sottolineato Mara Labriola richiamando la sua attività di docente, una esperienza didattica molto interessante, la cui conoscenza merita di essere diffusa.

Una esperienza che, ha raccontato il direttore del circolo «Duca d’Aosta» di Palese, Nicola Altini, si colloca nel solco di tutta l’azione didattica della sua scuola, che intende calarsi nella realtà e nell’esperienza per utilizzarle come approccio di conoscenza per i bambini.

Anche l’assessore Stramaglia si è impegnato a non deludere le attese di questi bambini su Balsignano, problema annoso che si trascina da una amministrazione comunale all’altra ma che, si spera, questa volta troverà amministratori sensibili e realmente determinati a trovare una soluzione. D’altra parte, il recupero di Balsignano non lo vogliono solo pochi «amatori», ma piuttosto ormai è sentito come problema prioritario anche da chi della storia e dell’arte non ha fatto in genere il centro della sua vita. Nuovi Orientamenti, ha detto Raffaele Macina, si prepara perciò ancora una volta a trattare questo problema e dedicherà presto al Casale un numero monografico della rivista.

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