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Una notte a Balsignano

Anno XXIV N. 103 Aprile 2002 
Anna Longo Massarelli

È notte fonda, ma io cammino spedita e leggera tra le macchie boschive e gli ulivi, che al mio passaggio fanno largo e quasi si piegano. Non c’è anima viva nella campagna e si ode solo qualche lamento di uccello notturno che di tanto in tanto interrompe il silenzio profondo.
Non sento più il peso del mìo corpo, sì che entro senza alcuna difficoltà nel recinto di Balsignano attraverso un cancello di ferro. Mi fermo, ascolto le voci del silenzio, mi guardo intorno, aiutata dalla luce della luna che splende serena e indifferente su tutto ciò che mi circonda. À sinistra, attraverso le feritoie della chiesetta di S. Felice, vedo baluginare una fioca luce tremolante. Mi accosto, entro attraverso un bel portale, che non incornicia nessuna porta, e noto poche fiammelle ad olio che illuminano debolmente l’interno. L’occhio si abitua alla semioscurità tanto da notare i muri di belle pietre squadrate che, alla luce delle lampade, assumono un colore giallastro e appaiono sfaccettate come gemme. Sul fondo dell’altare intravedo una grande croce scura che contrasta il moresco dell’ambiente. Che silenzio! Io non ho paura fino a quando da una parete laterale si stacca un’ombra dalla sagoma vagamente conosciuta. Un senso di angoscia e di dolore mi attanaglia la gola. Voglio uscire, ma le gambe sono diventate pesanti e non obbediscono ai miei impulsi. Una mano lieve – la riconosco – mi sospinge verso l’esterno affermando: “Questo è il regno dei morti, tu non puoi sostare”. Esco all’aperto e l’impatto è forte perché il castello è tutto illuminato a festa. Rinfrancata, mi accosto all’atrio, entro attraverso un bell’arco acuto e che vedo? Sfavillio di luci, brulicare di dame, di paggi e cavalieri che indossano sfarzosi abiti di gala di ogni colore: dal giallo all’azzurro, al verde, al rosso. Timidamente avanzo fra questa folla festante, ma nessuno pare notarmi. Sono io invisibile o non appartengo a quel mondo? L’atmosfera è di attesa, e intanto cominciano ad echeggiare strumenti a corda, trombe e tamburelli. Che cosa o chi si attende?
Vado fuori dalla corte, pensando che dall’esterno possa arrivare qualcuno, e mi accorgo di un indistinto movimento che sorge dalla vicina lama Lamasinata. Aguzzo la vista: sono piccoli esseri, gli elfi, che avanzano verso il castello e che ad un tratto si levano in volo e compongono gioconde coreografie sulle teste dei presenti.

Il Santo Vescovo e il Santo ignoto di Balsignano

Anno XXIV N. 103 Aprile 2002 
Rossella Romita

Il Santo Vescovo

COLLOCAZIONE: Chiesa di S. Maria di Costantinopoli, navata settentrionale, parete sinistra. OGGETTO: dipinto. 
SOGGETTO: Santo Vescovo.
CRONOLOGIA: seconda metà del XIV secolo.
AUTORE: anonimo frescante meridionale.
MATERIA E TECNICA: affresco.
STATO DI CONSERVAZIONE: discreto.
RESTAURI: A cura della Soprintendenza ai Beni AA. AA. AA e SS. della Puglia, 1999-2000. Innanzitutto si è provveduto al consolidamento e fissaggio dell’intonaco dipinto al supporto murario. La vasta lacuna nella parte mediana è stata uniformata al supporto dalla tinta neutra di fondo.
DESCRIZIONE: Il Santo, raffigurato stante nell’atto di benedire alla greca, reca i simboli della dignità vescovile, ossia la mitra e il pastorale. Sulla lunga tunica bianca indossa una casula azzurra ricamata a motivi geometrici rossi e con un motivo a reticolo su fondo bruno allo scollo; le spalle sono cinte dal consueto pallium crocesignato

La figura, riquadrata dalla doppia cornice, rossa all’esterno e bianca all’interno, che la lega alla “S. Lucia”, è delineata sul fondo color ocra; al capo fa da sfondo una specchiatura di colore contrastante, in questo caso rosso, sulla quale spicca l’aureola perlinata.
Nessuna iscrizione né alcun particolare iconografico appaiono utili all’identificazione del Santo raffigurato in età giovanile.

NOTIZIE STORICO-CRITICHE

Questo dipinto presenta i medesimi caratteri stilistici della “S. Lucia”. La dolcezza del volto dal roseo incarnato, l’eleganza della figura, la raffinatezza decorativa del pastorale, ispirato a modelli dell’oreficeria gotica, sono elementi che confermano il legame dell’affresco con il momento culturale caratterizzato dal revival martiniano, di cui si è già detto a proposito dell’affresco di S. Lucia (v. Nuovi Orientamenti, N. 101 – novembre 2001, p. 26).
Di chiara discendenza avignonese è, per esempio, rinfittirsi degli ornati sulle vesti e sui paramenti, quale vediamo nel “Santo Vescovo” della chiesa di Balsignano. Tale caratteristica è riscontrabile, in area barese, anche in un altro affresco di elevata qualità stilistica, un “Papa Urbano V” nella cripta di S. Croce in Andria1, datato post-1370: l’ampio mantello indossato dal pontefice presenta, lungo la scollatura, lo stesso motivo a reticolo della casula dell’ignoto Vescovo dell’affresco modugnese.
Accanto a maniere ormai gotiche resiste, però, un elemento tipico della produzione pittorica di tradizione bizantina: l’atteggiamento iconico nel quale sono rappresentati i due Santi del dittico (S. Lucia e il Santo Vescovo, ndr), testimonia del bilinguismo che ha caratterizzato a lungo la pittura pugliese.

Il Santo ignoto

COLLOCAZIONE: Cortile del castello, parete meridionale della navata della chiesa più antica; intradosso del terzo arco cieco.
OGGETTO: dipinto.
SOGGETTO: Santo ignoto.
CRONOLOGIA: XII-XIII secolo. AUTORE: anonimo frescante meridionale.
MATERIA E TECNICA: affresco. STATO DI CONSERVAZIONE: cattivo.
RESTAURI: Il frammento d’affresco non è stato oggetto dell’ultima campagna di restauri (1999-2000), effettuati dalla Soprintendenza ai Beni AA. AA. AA. e SS. della Puglia. È comunque visibile, lungo i margini del frammento, uno strato di malta di contenimento, relativo ad un precedente intervento di restauro.
DESCRIZIONE: Il frammento si riferisce solo al volto di un Santo ignoto, con nimbo dorato, appena distinguibile, e barba bruna. Al di sopra del capo del santo, due fasce di colore rosso e ocra, forse parte della bordura che incorniciava la figura.

 

NOTIZIE STORICO-CRITICHE

L’affresco, data la sua collocazione, è quel che rimane della decorazione dell’edifìcio cultuale ipotizzato quale nucleo più antico della chiesa di S. Maria di Costantinopoli: la struttura muraria ad archi, ove si trova l’affresco, avrebbe costituito il lato sud della navata dell’antica chiesa, mentre il vano absidato ne sarebbe stato la zona presbiteriale.

L’estrema frammentarietà del dipinto non ne consente la chiara lettura dei caratteri stilistici.

Nonostante ciò, alcuni elementi-la forma arrotondata degli occhi, l’effetto chiaroscurale ottenuto con pennellate di colore diluito, l’aspetto smunto, accentuato dai tratti rosso-bruni della barba — consentono di accostare l’affresco alla produzione pittorica pugliese del XII-XIII secolo, caratterizzata da una predominanza di caratteri della pittura bizantina.

Balsignano riapre ogni prima domenica del mese

Anno XXIV N. 103 Aprile 2002
Redazione
E’ necessario che si abbandoni la politica dell’effimero per un’opera di recupero dei beni culturali

Il Comune di Modugno ha sottoscritto con la nostra rivista una convenzione grazie alla quale finalmente il Casale di Balsignano è già aperto al pubblico e potrà ospitare in futuro iniziative e manifestazioni culturali.

Propedeutico alla convenzione è stato il giudizio positivo espresso su Nuovi Orientamenti dalla Soprintendenza ai Beni Monumentali Architettonici di Bari che ha autorizzato il Comune di Modugno a “concedere l’utilizzo mediante convenzione del complesso immobiliare denominato Balsignano”.
Val la pena di riproporre qui gli articoli più importanti della convenzione: “2) L’Associazione Nuovi Orientamenti espressamente si impegna, a mero titolo di volontariato, a:

• organizzare visite guidate dirette in primo luogo alle scuole del Comune di Modugno e del suo hinterland e poi alle scuole di altri Comuni che ne facciano richiesta;
• organizzare una visita guidata all’anno per ciascuna alle scuole elementari, medie e superiori di Modugno;
• aprire una domenica al mese il sito di Balsignano al pubblico per visite guidate gratuite;
• organizzare convegni su quei beni culturali che abbiano relazione col sito in questione;
• organizzare nel sito attività culturali di vario genere (rappresentazioni teatrali, concerti, conferenze, ecc);
• partecipare su richiesta delle scuole a progetti e studi che coinvolgano il bene;
• collaborare con l’Amministrazione comunale per tutte quelle iniziative che perseguano l’obiettivo di valorizzare il bene oggetto della convenzione”.

In occasione della prima domenica di apertura, che si è avuta il 3 marzo, vi è stata una buona affluenza di pubblico, proveniente anche da Comuni limitrofi.

Intanto, in questi mesi abbiamo avviato una serie di iniziative per meglio affrontare i diversi impegni stabiliti dalla convenzione:

• abbiamo formato un gruppo di studio per la formazione di guide che si riunisce ogni mercoledì;
• stiamo intensificando la ricerca su Balsignano in modo da raccogliere tutta la bibliografia esistente;
• ci stiamo proponendo di realizzare un “Centro Studi Balsignano” che, in collaborazione con l’Università di Bari, la Soprintendenza Archeologica e quella ai Beni Monumentali Architettonici, avvìi nuovi studi sul Casale.

Queste iniziative, naturalmente, non sono fine a se stesso, perché il nostro obiettivo è sempre quello di giungere ad una piena ristrutturazione di Balsignano.

In questo senso, è necessario che ci sia una inversione di tendenza nella politica culturale della città, che non può più permettersi il lusso di privilegiare l’effimero ma deve assegnare la priorità assoluta al recupero dei beni culturali.
Un impegno particolare va anche posto nella necessaria opera di coinvolgimento della Provincia, della Regione e del governo nazionale, come si riuscì a fare negli anni Ottanta quando furono destinate alcune importanti risorse per gli interventi urgenti di salvaguardia.

Facciamo, quindi, un appello al senatore (De Gennaro) e al deputato (Mongiello) del collegio di Modugno, ai consiglieri regionali e a quelli provinciali perché partecipino anch’essi ad un progetto che possa puntare su un ambizioso programma di ristrutturazione. Ma l’appello più accorato lo rivolgiamo ai cittadini perché assicurino Il loro interesse e il loro impegno su Balsignano.

Intanto, domenica 7 aprile, come ogni prima domenica di ogni mese, Balsignano riapre alle ore 10.00. Ci vediamo lì per una nuova visita guidata.

L’affresco di santa Lucia in Balsignano

Anno XIII N. 101 Novembre 2001
Rossella Romita
Su Balsignano abbiamo pubblicato molto in questi due decenni, ma ci mancavano delle schede analitiche su tutti gli affreschi, ancora oggi visibili. Ebbene, a partire da questo numero, colmeremo questo vuoto grazie ad uno studio sistematico svolto da Rossella Romita col coordinamento della prof.ssa Adriana Pepe dell’Università di Bari.
  • COLLOCAZIONE: Chiesa di S. Maria di Costantinopoli, navata settentrionale, parete sinistra.
  • OGGETTO: dipinto.
  • SOGGETTO: S. Lucia.
  • CRONOLOGIA: seconda metà del XIV secolo.
  • AUTORE: anonimo frescante meridionale.
  • MATERIA E TECNICA: affresco.
  • STATO DI CONSERVAZIONE: discreto.
  • RESTAURI: A cura della Soprintendenza ai Beni AA. AA. AA e SS. della Puglia, 1999-2000. In primo luogo si è proceduto al fissaggio dell’intonaco dipinto al supporto murario; saggi di  pulitura e di   integrazione  pittorica  sono stati  effettuati   sulla parte inferiore dell’affresco.
  • DESCRIZIONE: L’affresco è in parte nascosto, sul lato sinistro, da uno dei pilastri sui quali si imposta  la volta a   crociera della navata:   ciò rivela   la   diacronia tra l’esecuzione dell’affresco e la costruzione della volta, avvenuta in un tempo successivo, e dunque in una fase di ristrutturazione dell’edificio originario.

L’immagine di S. Lucia si staglia su un fondo color ocra; il capo, invece, cinto di una corona aurea, spicca su un riquadro di colore blu intenso, sul quale è l’iscrizione con il nome della Santa. L’aureola dorata è definita da un giro di perline.

Lucia indossa una veste rosso cupo, ornata da un gallone dorato e da un ricamo a fondo azzurro al centro della scollatura. Le maniche, strette ai polsi, sono chiuse da perline. Sulla veste è drappeggiato un manto verdino, con un motivo a rosetta stilizzata ricamato in rosso; un velo trasparente le scende dal capo biondo oltre le spalle, fermato da un cordoncino pedinato che le cinge la fronte. La Santa è rappresentata con uno dei suoi attributi più frequenti1: gli occhi, presentati sull’orlo di una brocchetta, poggiata su una ciotola che Lucia regge con le mani sottili.

Il dipinto è contornato da una doppia cornice, rossa all’esterno e bianca all’intemo, comune all’immagine contigua di un Santo Vescovo, sì da formare un dittico. Tracce di intonaco dipinto sulla parete a destra del Vescovo, fanno supporre l’estensione di una serie di riquadri votivi.

NOTIZIE STORICO-CRITICHE

L’affresco, insieme all’altro con cui forma un dittico, è stato pubblicato per la prima volta nel 1908 da Antonino Vinaccia, che segnala “due figure di santi della ingenua scuola bizantina”2.
Circa un decennio più tardi, Mario Salmi, autore di un pionieristico e fondamentale saggio sulla pittura pugliese, pur soffermandosi in una veloce nota solo sul “Cristo in gloria” affrescato nell’abside del vano a est, evidenzia il carattere occidentale degli affreschi della chiesa di S. Maria di Costantinopoli, e riconosce l’influsso dell’arte senese del Trecento.
In effetti, pur nella sua rappresentazione iconica, la figura di S. Lucia non è assimilabile al filone della pittura bizantina che domina a lungo la produzione pittorica pugliese, con echi che perdurano fino al XIV secolo4; essa appare ormai frutto di un ambiente culturale, quello della Puglia angioina, nel quale confluiscono elementi di segno gotico, sovrapponendosi o componendosi con le secolari esperienze della pittura greca. Questo flusso di esperienze di chiara marca occidentale si propaga in tutto il Meridione, attraverso l’opera di pittori operanti nell’orbita della corte angioina di Napoli. In particolare, per l’affresco modugnese deve farsi riferimento al clima culturale venutosi a creare a Napoli verso la metà del Trecento.

I rinsaldati rapporti politici fra i reali angioini (soprattutto per l’opera di Giovanna I) e la curia avignonese fanno sì che gli artisti napoletani vedano in Avignone un modello culturale da imitare e con il quale mettersi al passo; tanto più che la città provenzale andava diventando, in quegli anni, il centro propulsore di una nuova cultura cortese di dimensioni internazionali, che aveva il suo fulcro nell’arte di Simone Martini, da tempo pittore ufficiale della corte papale avignonese.

In seguito alla morte del Maestro senese, avvenuta proprio ad Avignone nel 1344, si assiste ad un “revival” delle forme martiniane che investe tutto il bacino del Mediterraneo fin verso la metà del Quattro- cento: finalmente entra nel contesto della pittura napoletana la lezione di Simone Martini, che la pala del 1317 (“S. Ludovico di Tolosa”) non bastò a rendere comprensibile.

Per via napoletana — attraverso l’esperienza di artisti quali il “Maestro delle Tempere francescane” e il “Maestro di Giovanni Barrile”, formatisi nei grandi cantieri della Capitale e in seguito chiamati in provincia — verosimilmente penetrò in Puglia l’eco delle raffinatezze martiniane, delle quali abbiamo una interessante testimonianza in Capitanata, negli affreschi della cripta della Cattedrale di Foggia. Nel catino è un “Cristo in gloria”, che ha la “fragile eleganza di una miniatura ingigantita”; la Calò Mariani riconduce quest’opera al clima pittorico senese della metà del Trecento, più direttamente proprio alla tendenza, appena analizzata, intenta a recuperare le idee martiniane e in particolare lo stile avignonese dell’artista.

A questo stesso momento sembra appartenere la nostra “S. Lucia”, per la dolcezza del modellato, per l’attenzione ai particolari decorativi e per le cadenze lineari, anche se rese ottuse dal recente restauro.

Balsignano su una rivista internazionale

Anno XIII N. 100 Settembre 2001
Vito D’Attolico

Pubblichiamo volentieri questa riflessione dell’arch. Vito D’Attolico, residente a Napoli, che da sempre ci segue con interesse ed attenzione. Peraltro, i suoi rilievi della chiesa di San Felice furono da noi pubblicati nel 1988 nella ristampa del saggio Balsignano di G. Ceci.

Carissimo Direttore,

nell’ultimo numero di Nuovi Orientamenti denunci, ancora una volta, la drammatica e persistente attualità dello stato di abbandono del borgo di Balsignano, compreso l’ultimo scampato pericolo da incendio.

Puoi ben comprendere la mia amarezza e delusione per la perdurante incuria e l’ottuso disinteresse culturale che potrebbero, in tempo breve e imprevisto, segnarne la definitiva perdita. Di questo speciale patrimonio storico-artistico cominciai ad occuparmi negli anni Sessanta con un’azione drastica di contrasto ad uno sciagurato programma di rettifica del tracciato stradale Modugno-Bitritto che avrebbe comportato la sicura, sacrilega demolizione del gioiello architettonico di tutto il borgo: il tempio di S. Felice, esemplare unico e splendido dell’architettura romanico-pugliese a cupola dell’alto medioevo.

Eravamo in pochi a Modugno a discutere con sincera preoccupazione del destino dei beni culturali sempre più deturpati da interventi distruttivi; pertanto, consentimi di ricordare con affetto l’Arciprete don Nicola Milano e l’insigne magistrato dott. Stefano Parmigiani, dei quali conservo, oltre alla memoria, un ricco carteggio del periodo in cui mi trasferii a Napoli.

Mi occupai subito del monumento più a rischio eseguendo un accurato rilievo architettonico del tempio di S.Felice ed un’ampia documentazione fotografica di tutto il complesso. Portai il materiale prodotto all’attenzione dell’illustre storico prof. arch. Roberto Pane, mio maestro e direttore dell’Istituto di Storia dell’Architettura dell’Università di Napoli, il quale, entusiasta della riscoperta di tale rilevanza architettonica illustrata dalle mie immagini e dai miei disegni di rilievo, in qualità di direttore dell’antica rivista Napoli Nobilissima, incaricò il prof. arch. Arnaldo Venditti di eseguire un ampio studio su “L’achitettura a cupola in Puglia” includendo nel volume di marzo-giugno 1969 il tempio di S. Felice corredato da immagini e disegni inediti.

Dal canto suo, mons. Nicola Milano, che pubblicava a fascicoli, in allegato al notiziario parrocchiale «L’amico», la ricerca “MODUGNO-Memorie storiche”, accelerò l’uscita del capitolo su Balsignano per portare a conoscenza dei modugnesi e degli amministratori comunali l’importante patrimonio di storia e arte e la necessità di salvarlo dall’incuria del tempo e degli uomini. Il dott. Stefano Pannigiani, sempre prodigo di consigli e approfondite valutazioni, svolse la sua azione a difesa del patrimonio d’arte modugnese con discrezione ed efficacia presso i vari livelli istituzionali, compatibilmente con il suo particolare ruolo di primo presidente della Corte di Appello di Bari. Il pericolo fu scongiurato, ma permaneva la difficoltà che, essendo il territorio di Balsignano di proprietà privata, non era facile intraprendere iniziative pubbliche volte ad una regolare campagna di restauro per una compatibile fruizione turistico-culturale. Tra indifferenza e inazione sono passati molti anni con il conseguente avanzare inesorabile del degrado, ma in questo lasso di tempo sei stato l’unica voce a tener desto il “problema Balsignano” mediante convegni e vari interventi pubblicati su Nuovi Orientamenti. Ora è necessario affrontare con concretezza e sollecitudine il destino di Balsignano, giacché il territorio è stato acquisito dal Comune e quindi è possibile sollecitare iniziative di corretta progettualità culturale da proporre a tutti i livelli istituzionali per le specifiche competenze e per il reperimento delle non poche risorse finanziarie necessarie per operare. Con lo spirito di rinnovata speranza per le sorti di Balsignano ho colto l’occasione dell’iniziativa “I TESORI DA SALVARE: Fatti e non parole”, lanciata dalla rivista Chiesa Oggi, architettura e comunicatone, (diffusa in Europa e con corrispondenti dagli Stati Uniti e Giappone), per segnalare il tempietto di S. Felice del quale hanno pubblicato una scheda nell’ultimo numero 47/2001 a pag. 65. Quando ho presentato a Milano il materiale riguardante Balsignano, il direttore e il capo redattore hanno espresso vivissimo interesse stabilendo la prima segnalazione, onde possa essere di sprone a intraprendere le opere di tutela e valorizzazione, essendo un bene inestimabile ed irripetibile ancor più se conservato nel suo contesto naturale e paesaggistico.

Nel ringraziarti per l’ospitalità e felice di essere con voi tutti di Nuovi Orientamenti, ti prego di scusarmi se mi sono abbandonato a qualche ricordo, giusto per precisare storicamente vicende e personaggi.

Con stima e affetto.

Balsignano, Giuseppe Ceci, 1988

Incendio a Balsignano

Anno XIII N. 99 Luglio 2001
Raffaele Macina

 

Non avevano previsto neppure una aratura

Forse è proprio vero: qualche forza misteriosa veglia sulla chiesa di San Felice in Balsignano. Non si può spiegare diversamente come mai, a dispetto dell’incuria e del vandalismo costanti ed anzi crescenti nel tempo, questo gioiello dell’architettura romanico-pugliese sia ancora in piedi. Balsignano brucia! Con queste parole la telefonata di Lucrezia Guarirli interrompeva drammaticamente la sera di mercoledì 6 giugno la riunione settimanale dei collaboratori di Nuovi Orientamenti. Ci siamo tutti precipitati verso il casale e, lì giunti, ci siamo rasserenati alquanto nel constatare che le fiamme erano sotto controllo.

L’incendio è stato provocato dalle erbacce secche al punto giusto, miste a sterpaglie accumulate ormai abbondantemente sul terreno, che hanno preso fuoco ed hanno cominciato a lambire da ogni parte gli antichi conci calcarei e i capitelli finemente lavorati da maestranze venute probabilmente dall’Oriente nel secolo XI. Dalla data di acquisizione di Balsignano al patrimonio comunale nessuno aveva pensato che fosse necessario almeno qualche aratura.

Solo l’attardarsi su un campo limitrofo di un contadino che dopo l’imbrunire ha dato l’allarme ha permesso l’arrivo del sindaco neoeletto e poi di alcuni cittadini che con qualche frasca e soprattutto con le loro scarpe hanno opposto la prima resistenza all’avanzata delle fiamme. Dopo più di un’ora, sono arrivati i vigili del fuoco, sempre pochi in questa stagione e per di più impegnati nei numerosi incendi quotidiani che scoppiano dappertutto, e si è potuto emettere qualche respiro di sollievo.

Eppure, come già si è detto nel precedente articolo, nella nostra lettera del 9 maggio al Comune, periodica mente affidato ai commissari prefettizi, avevamo chiesto un intervento urgente perché – scrivevamo – “le erbacce hanno ormai raggiunto la loro massima altezza e se qualcuno dovesse gettare un mozzicone, allora ci troveremmo davanti all’irreparabile”.

Ma Modugno, si sa, è la città degli ipermercati e dello sviluppo edilizio vorticoso e, pertanto, ha sempre avuto amministratori e funzionari sensibili e preparati per questo genere di cose, non per la salvaguardia di un bene culturale. Forse è solo questo che spiega da un lato il dinamismo che la città ha espresso anche negli ultimi anni a livello di ufficio tecnico e di amministratori nel- l’edilizia privata e nel varo di opere pubbliche mai compiute, dall’altro l’incapacità di programmare persino una aratura a Balsignano che, come i contadini sanno, va effettuata almeno ad inizio della primavera e dell’autunno.

Ci sarà nella città una inversione di tendenza? Balsignano sarà ancora utilizzato dai politici locali solo come strumento di marketing elettorale?

Intanto, alcune cose si potrebbero fare subito: l’adozione del casale da parte di qualche realtà associativa che potrebbe almeno assicurare la vigilanza; la predisposizione di un programma di visite guidate; la riparazione dei muri a secco esistenti e la realizzazione di una idonea recinzione che limiti i numerosi atti di vandalismo e di furti di conci lavorati, di fregi e persino di capitelli.

Ma, forse, per la rilevanza artistica ed architettonica che Balsignano ha per l’intera Terra di Bari, è necessario che lo stesso Comune di Modugno sia affiancato maggiormente dalle istituzioni regionali preposte alla salvaguardia dei beni culturali.

Balsignano, tra incuria e degrado

Anno XIII N. 99 Luglio 2001
Raffaele Macina

Continua inesorabilmente il degrado di Balsignano. Mentre in campagna elettorale c’era chi rivendicava i suoi meriti a pro di Balsignano (quanti politici dal 1980 hanno rivendicato i loro numerosi meriti su questo sfortunato casale medievale, o se si vuole sul suo degrado!), lì sul campo si registravano nuovi drammatici elementi di rovina.

In una nostra lettera al commissario prefettizio del 9 maggio chiedevamo un intervento urgente.

Vale, forse, la pena di riproporre il testo:

«Egr. Commissario, come lei saprà, il Comune di Modugno da poco meno di un anno ha acquisito il complesso di Balsignano limitatamente alla parte di terreno su cui insistono le ben note emergenze artistico-architettoniche. Purtroppo, il passaggio dal privato al Comune non ha in alcun modo arrestato il degrado del complesso medievale. La mancanza di qualsiasi vigilanza e la totale incuria degli ultimi mesi rischiano di produrre l’irreparabile.

Pertanto, ci permettiamo di segnalare tre problemi che richiedono un immediato intervento:

  1. sotto la porta esterna a ridosso dell’abside di S. Maria di Costantinopoli è stata prodotta una apertura dalla quale tutti possono entrare direttamente nella corte interna del castello;

  2. accanto a questa porta è franato un pezzo delle mura con grave danno della stabilità del resto della cinta muraria (peraltro, in questi giorni abbiamo sorpreso gente che si appropriava dei conci di pietra per portarseli via; qualche giorno fa sono state sorprese alcune persone che addirittura tentavano di asportate alcuni conci della facciata della chiesa di San Felice, come peraltro è già accaduto nel passato);
  3. il muro a secco che si sviluppa dai due lati del cancello di entrata, a ridosso della provinciale, è stato praticamente rovinato, per cui è agevole l’entrata anche a chi pensa di poter celebrare eventuali riti satanici in luoghi che hanno il fascino della storia e dell’arte;
  4. le erbacce hanno ormai raggiunto la loro massima altezza e se qualcuno dovesse gettare un mozzicone, allora ci troveremmo davanti all’irreparabile”.

Purtroppo, il peggioramento delle condizioni di Balsignano in presenza del solo acquisto da parte del Comune era largamente prevedibile. Bisognava e bisogna subito partire con un grande progetto che riguardi tutta l’area archeologica (il casale, il villaggio neolitico, i palmenti e le due lame, che hanno un grande interesse paesaggistico, botanico e faunistico). Ed invece, si è preferito impegnarsi con qualche talk show, in cui tanti hanno rivendicato il loro eterno amore e il loro grande impegno nel passato su Balsignano.

Penso proprio che ci debba essere una radicale inversione di tendenza: da subito bisogna partire su Balsignano mettendo insieme innanzitutto le due Soprintendenze, il Comune, la Provincia e la Regione, utilizzando tutte le energie e competenze non solo locali e cercando di utilizzare finanziamenti europei.  Balsignano, per la sua storia e rilevanza, non è cosa che possa essere affrontata solo dai modugnesi e solo coi fondi del Comune. C’è spazio anche per i privati, purché il loro intervento non alteri la natura e la vocazione dell’intera area.

Ebbene, su Balsignano ci sono due proposte: la prima è un vero e proprio progetto che, predisposto dal Comune, il 3 febbraio del 1996 fu approvato all’unanimità dal consiglio comunale in previsione di accedere ai finanziamenti europei; il secondo è uno studio di massima presentato nell’autunno scorso dall’avvocato Colavecchio che aspira ad un accordo di programma col Comune e agli stessi finanziamenti europei.

Il progetto del 1996, ahimè incomprensibilmente cestinato in tutti questi anni, e che in ogni caso va riaggiornato, prevede un parco archeologico-naturalistico che comprenda il casale, il villaggio neolitico, le lame e preveda un museo archeologico-naturalistico, un centro studi angioino-aragonese, il completamento degli studi del villaggio neolitico, la ricostruzione di una capanna neoliti ca, un programma di visite guidate che collochi tutta l’area in itinerari storico-turistici di natura almeno provinciale.

Il progetto di massima di Colavecchio parla di alcune di queste finalità, ma finisce col- l’attribuire un ruolo importante alla realizzazione di strutture che non hanno un interesse archeologico o storico-culturale. Fra i punti della relazione di accompagnamento si legge:

“In sintesi, l’idea guida del progetto consiste … in un cosiddetto ‘Parco a tema’, e cioè:

  • realizzare il progetto di un centro di svago e intrattenimento principalmente sulle aree di proprietà privata del cosiddetto “Boschetto”, … alle quali dare il necessario supporto ricettivo e di ristorazione, riqualificando allo scopo alcuni degli edifici esistenti anche tramite la realizzazione di pertinenze a carattere precario;

  • realizzare nello stesso ambito un progetto di struttura socio-sanitaria per la riabilitazione e la cura incentrata sulle tecniche di ippoterapia, pranoterapia, medicina alternativa, pratiche ginniche all’aria aperta;
  • realizzare le indispensabili opere di recupero, restauro e riqualificazione edilizia delle emergenze storico-architettoniche del Casale, collocandovi le funzioni direttive del sistema e alcuni servizi speciali (sala proiezioni, sala convegni, uffici di reception, centro guide);
  • costruire sull’area archeologica un’area museale dotata di servizi accessori, aule per la didattica e per la formazione, magazzini specializzati, laboratori”.

Alcuni di questi punti sono difficilmente condivisibili sulla base della filosofia del recupero e del riuso di un bene culturale.

Nino Lavermicocca, già direttore archeologo per il settore medievale della Soprintendenza Archeologica per la Puglia, esclude in modo categorico che un museo possa essere costruito su una zona archeologica, che “è già essa di per se stessa un museo e che non ha bisogno dunque di un museo artificiale. La nuova letteratura archeologica in Italia ed in Europa impone chiaramente che un museo sia costruito nella città e che ci sia poi un mezzo di trasporto dal la zona archeologica in città. A Mottola, ad esempio, c’è un pullmino di 10 posti che porta dal centro cittadino i visitatori alle chiese rupestri; anche il comune di Bisceglie dispone di un gippone per visite ai dolmen e alle grotte preistoriche. D’altra parte, i musei di Egna- zia e di Canne, che sono al di fuori delle città, sono fallimentari.

All’interno del castello, poi, non si possono mettere tanti uffici e men che mai gli uffici di reception dell’intero sistema, ma solo un punto di distribuzione della depliantistica e di presenza di guide”. Si tratta di rilievi di buon senso che impongono una analisi e una discussione scientifica pubblica sull’intera problematica di Balsignano.

Un grave errore è stato quello di non avviare già da qualche anno un lavoro di progettazione e di studio, ma di essersi limitati solo alle questioni economiche e burocratiche dell’acquisto dell’area su cui insistono le emergenze architettoniche. Non era difficile prevedere, come ahimè abbiamo più volte scritto, che il solo passaggio al Comune avrebbe paradossalmente aumentato il degrado, al quale il privato poneva un certo argine non fosse altro per le arature periodiche, la vigilanza e la presenza che assicurava.

Un invito, quindi, a tutti (al Comune innanzitutto, ma anche a tutte le realtà interessate che hanno veramente qualcosa da dire e da offrire, agli stessi privati, il cui ruolo deve essere sollecitato ma solo nell’ottica di un piano che salvaguardi la vocazione e la fisionomia del bene culturale) a programmare da subito un lavoro serio e produttivo: per definire l’iter di un progetto e dei relativi finanziamenti anche a livello europeo ci vogliono tre anni. Guai se, ancora una volta, su Balsignano si dovesse perdere tempo: c’è bisogno di un clima Ubero, scevro da pregiudizi, in cui gli interessi pubblici, che non escludono quelli privati, ispirino la filosofia di ogni intervento.  

Con questo spirito noi di Nuovi Orientamenti abbiamo costituito un gruppo di studio e di intervento su Balsignano che si riunisce ogni mercoledì alle ore 19,30; un gruppo aperto al contributo di quanti eventualmente volessero partecipare.

In corsa per il “posto al sole” a Balsignano

Anno XXII N. 96 Agosto 2000
Raffaele Macina

Ora che su Balsignano sono appuntate le luci del Palazzo, destinate a divenire sempre più abbaglianti con l’approssimarsi della tornata elettorale amministrativa del 2001, noi di Nuovi Orientamenti possiamo ritenere chiusa una prima fase di impegno che ci ha caratterizzati sin dall’atto costitutivo della rivista: contribuire a diffondere una sensibilità verso il casale medievale fortificato di Balsignano pome condizione preliminare al suo recupero.

Dopo don Nicola Milano, riteniamo di aver assicurato in questa direzione un impegno piuttosto continuo negli ultimi due decenni. Il senso del nostro intervento è ben espresso da alcune parole che molti lettori spesso ci hanno rivolto: «Balsignano, sino a qualche tempo fa, era per me soltanto sinonimo di pietre; ora, grazie anche al lavoro di Nuovi Orientamenti, esso appare in tutta la sua importanza, storica, architettonica e artistica».

Ed in effetti, ne abbiamo prodotto di lavoro! Sin dal 1979 avviammo una collaborazione costante con gli Istituti di Storia dell’Arte e di Storia Medievale dell’Università di Bari, proponendo sulle nostre pagine saggi specifici di studiosi e ricercatori. Stabilimmo rapporti con la Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici e con quella Archeologica, perché fossero avviati i primi interventi urgenti di consolidamento e di conservazione delle strutture, in particolare della cupola a tamburo della Chiesa di San Felice che, negli anni Ottanta, era in uno stato assai precario, per giungere poi nel 1982 ad un importante convegno che vide il patrocinio anche del Ministero ai Beni Culturali, retto allora dall’on. Nino Vernola.

Su Balsignano abbiamo cercato anche di fornire una serie di strumenti perché fosse palese la sua importanza: una videocassetta che distribuimmo alle scuole, visite guidate per scolaresche, per comuni cittadini e per realtà associative della provincia, pubblicazioni divulgative e scientifiche, la più importante delle quali è certamente il saggio di Giuseppe Ceci edito nel 1988.

Balsignano, Giuseppe Ceci, 1988

Per un progetto organico sul Villaggio Neolitico

Reperti del villaggio neolitico di Modugno vengono studiati in Inghilterra e negli Stati Uniti

Anno XX N. 89 Dicembre 1998
Speciale Beni Culturali

Nell’estate del 1998, durante la quarta campagna di scavi nel villaggio neolitico, veniva alla luce – afferma la dott. ssa Francesca Radina, della Soprintendenza Archeologica – “una terza sepoltura perfettamente integra, in posizione fortemente rannicchiata e adagiata sul fianco sinistro” che, “asportata integralmente in blocco è attualmente in corso di scavo presso i laboratori della Soprintendenza e conferma l’eccezionale potenziale di dati che il sito di Balsignano può offrire per gli studi sulle fasi più antiche della neolitizzazione; dati che, anche per lo stato di conservazione, costituiscono un carattere preferenziale per farne un sito visitabile”.
Dopo quattro campagne di scavo, il quadro che si è delineato del villaggio neolitico di Balsignano è assai interessante: 10.000 reperti catalogati, attualmente depositati presso la Scuola Media D. Alighieri; 2 capanne scavate e analizzate; 3 sepolture individuate.
Intorno al villaggio neolitico ruotano, poi, diverse attività e ricerche: presso la Scuola Dante Alighieri i reperti sono oggetto di restauro e di studio; personale specializzato ha già eseguito il calco della seconda sepoltura, il plastico in scala ridotta della prima capanna e si appresta alla realizzazione del calco della terza sepoltura; l’Istituto di Antropologia della facoltà di Scienze Biologiche delPUniversità di Bari, tramite i professori Vito Scattarella e Sandro Sublimi, sta conducendo uno studio, ormai in fase avanzata, sulla seconda sepoltura; la prof, ssa Pierattini deH’Università di Napoli è impegnata in una analisi sistematica sugli intonaci delle capanne, sui quali ha eseguito dei prelievi che sono attualmente oggetto di studio presso un laboratorio delPUniversità di Londra per la misurazione del magnetismo residuo presente in essi che è fondamentale sia per la datazione sia per la ricostruzione originaria degli intonaci e quindi della capanna; da un centro specializzato di Miami (Florida) si attende la risposta per la datazione col metodo del carbonio 14 di alcuni frammenti della seconda sepoltura.
Come si nota, si tratta di una vera e propria rete di studi e di ricerche che sono nati intorno al villaggio neolitico di Modugno e che, una volta completati, certamente forniranno un quadro complesso ed articolato intorno all’antica frequentazione dell’uomo nel sito di Balsignano. Di qui la necessità di realizzare una mostra con la predisposizione di un catalogo scientifico e un seminario di studio sul villaggio neolitico e sulle ricerche ora in atto: iniziative, queste, alle quali il sindaco Franco Bonasia e l’assessore alla Cultura Stella Sanseverino hanno sempre dato il loro entusiastico assenso.
Ma sul villaggio neolitico è necessario che tutta la comunità modugnese si senta coinvolta e sappia impegnarsi con un progetto lungimirante che preveda: l’immediata acquisizione dell’area, idea peraltro condivisa dall’attuale amministrazione; la continuazione dei saggi di scavo che potrebbero ancora arricchire il già positivo quadro d’insieme; la progettazione di un P.O.P. finalizzato alla creazione di un parco archeologico che comprenda non solo il villaggio in questione, ma anche il Casale medievale di Balsignano (sul quale, ahimè, sembra essere caduto il più completo silenzio, mentre tanti passi concreti potrebbero essere fatti); la predisposizione di un locale, nel quale possano essere collocati sia i reperti sia i calchi e i plastici eseguiti, come primo avvio di un museo comunale sul neolitico.
Si tratta di un programma che trova il sostegno determinato della Soprintendenza Archeologica della Puglia, la quale, comunque, è intenzionata alla valorizzazione del villaggio neolitico di Modugno; un programma, peraltro, abbastanza realistico, la cui attuazione, semmai, ha certamente bisogno di una politica culturale che non si limiti alla improvvisazione e all’inseguimento delle tante e contradditorie proposte di “manifestazioni” provenienti da ogni angolo del mondo.
È auspicabile che le forze politiche e l’amministrazione comunale si impegnino con maggiore determinazione di quella sino ad ora manifestata, sul vero recupero dei beni culturali della città, dai quali potremmo ricevere tanti effetti benefici. È auspicabile anche e soprattutto che i cittadini esercitino su tale materia il loro discernimento.

GLI INTERVENTI SUL VILLAGGIO NEOLITICO

1991: il un fondo in località Balsignano vengono raccolti frammenti di vasi, selce e intonaci, affioranti in superficie dopo le arature, in una ispezione della dottssa Francesca Radina e del modugnese Vincenzo Ursi.

1993: prima campagna di scavo, con finanziamenti della Soprintendenza, che individua una capanna del neolitico antico.

Gennaio 1994: Nuovi Orientamenti promuove un convegno sul villaggio neolitico, al quale partecipa la dott. ssa Radina, che presenta i primi risultati della campagna di scavo.

1996: seconda campagna di scavo, con finanziamenti comunali, che riscopre e analizza la prima capanna; viene trovato un cranio che viene denominato “sepoltura N. 1”.

1997: terza campagna di scavi, finanziata dal Comune; viene individuata ima seconda capanna, la cui pavimentazione presenta due livelli di frequentazione nel tempo; verso la fine degli scavi viene alla luce una seconda sepoltura, con scheletro pressoché completo di un uomo vissuto fra la fine del VI e 1‘inizio del V millennio a.G:

1998: quarta campagna di scavo, finanziata dal Comune; viene riscavata la seconda capanna e scoperta una terza sepoltura che è oggetto attualmente di studio.

La ricerca archeologica nell’insediamento neolitico di Balsignano

E’ tempo che il Comune promuova un’autentica programmazione per l’intera realtà di Balsignano

Anno XIX N. 85 dicembre 1997
Speciale Neolitico

LO SVILUPPO DELLA RICERCA NEGLI ULTIMI ANNI

Le ricerche che a partire dal 1993 hanno interessato l’insediamento neolitico di Balsignano, finanziate dal Comune di Modugno, che ha dimostrato una particolare attenzione alla tutela di manifestazioni così rare ed eccezionali, e condotte dalla Soprintendenza Archeologica della Puglia, hanno confermato l’eccezionale interesse del sito di Balsignano nel quadro generale delle conoscenze sulle forme del più antico popolamento del territorio. I dati infatti indicano con particolare evidenza la presenza di un nucleo abitativo delle più antiche fasi del Neolitico (VI-V millennio), con capanne e strutture funerarie distribuite sul pianoro prospiciente un’ansa lungo il medio corso di Lama Lamasinata, a poca distanza dall’odierno centro abitato di Modugno, in un tratto in cui il paesaggio è ancora ben conservato con i caratteri tipici della campagna ‘della Bassa Murgia barese. Nei livelli archeologici intatti sotto lo strato di terreno vegetale si conservano, in particolare, le testimonianze della cosiddetta cultura materiale quale segno tangibile delle comunità di agricoltori che utilizzarono il pianoro in fasi successive, e che hanno lasciato le loro tracce nelle strutture abitative, nelle pratiche funerarie e più in dettaglio negli oggetti d’uso quotidiano, nei vasi in impasto, decorati ad impressioni a crudo sulla superficie esterna e negli attrezzi da lavoro in pietra, selce ed osso. Le ricerche sono condotte in collaborazione con specialisti di diverse discipline (Paletnobotanica, Archeozoologia, Geologia e Mineralogia, ecc.), tendendo alla ricostruzione del profilo ambientale dell’epoca (se ne dà un cenno generale nel contributo seguente) e delle attività economiche, secondo i più moderni orientamenti della ricerca scientifica nel settore, finalizzati alla ricostruzione più completa possibile dei contesti antichi. È ormai evidente come il sito di Balsignano, oltre a rappresentare quindi una significativa riserva archeologica che necessita naturalmente di approfondimenti scientifici, sia da considerare particolarmente privilegiato ed adatto, rispetto ad altri noti, ad un progetto di valorizzazione che ne preveda la musealizzazione all’aperto, considerato lo stato del luogo, ben integrato nell’ambiente naturale della lama, non lontano dalla città e facilmente raggiungibile di qui forse anche con una passeggiata a piedi. Con le ricerche del 1996 si aprivano nuovi settori di intervento in punti diversi del pianoro, evidenziando in particolare nell’area centrale la presenza di una struttura che sembrava assimilabile per tipologia alla grande capanna, ed ancora in corso di scavo, mentre questo lavoro viene pubblicato nell’ambito delle indagini 1997. Le ricerche sono state condotte con l’impresa “Topputi” di Turi da un affiatato gruppo di ricercatori e tecnici a vari livelli della Soprintendenza Archeologica della Puglia – Centro operativo per l’Archeologia di Bari (V. Ursi , D. Ursi, A. Lacirignola, O. Lorusso, V. Falco, N. Abbrescia ) e archeologi o collaboratori esterni a vario titolo (G. Fiorentino, I. Muntoni, G. Lasorella, V. Celiberti, G. Miolla), affiancati da un nutrito gruppo di volontari (M. Ventrella, R. Sanseverino, M. Sicolo, D. Di Ciaula) cui va dato atto dell’impegno profuso nella ricerca.
A questi si aggiunge il costante e fondamentale appoggio e incoraggiamento di Raffaele Macina e l’assistenza tecnica dell’Ufficio Tecnico di Modugno (ing. E. Petraroli, dott. D. Tedesco, geom. Murgese). Gli scavi sono stati inoltre più volte visitati dal Sindaco ing. Francesco Bonasia e dal vicesindaco dott.ssa Stella Sanseverino, ai quali va il nostro ringraziamento in generale per il congruo sostegno economico, senza il quale non avremmo potuto ampliare lo stato attuale delle nostre conoscenze sul sito e sul Neolitico più in generale.

In parallelo con l’attività di ricerca si intende promuovere nei prossimi mesi, di concerto con l’Amministrazione comunale, utilizzando un apposito finanziamento messo a disposizione dallo stesso Comune, una serie di iniziative finalizzate alla pubblicizzazione dei dati conseguiti e quindi alla valorizzazione dell’insediamento, che si pensa di articolare in diverse fasi e rivolte a vari tipi di utenza, che possono così riassumersi:

• mostra didattica da tenersi in data da concordare nel 1998 (in locali da individuarsi a Modugno), destinata ad un ampio pubblico, con la presentazione in anteprima dei dati ancora in corso di approfondimento e stampa di un opuscolo divulgativo;
• riproduzione integrale in scala 1:1 della sepoltura rinvenuta nella campagna ancora in corso e riproduzione in scala 1:20 della grande capanna neolitica;
• seminario di studi sul tema “Strutture abitative del Neolitico italiano” da tenersi a Modugno nel 1999, con stampa degli atti e del catalogo.

CAMPAGNA DI SCAVI 1996

Gli obiettivi della campagna di scavo 1996 erano essenzialmente orientati secondo due linee di intervento:
il primo era quello di continuare a saggiare l’area del pianoro su cui era collocato l’insediamento per l’eventuale individuazione di altre strutture di confronto con la grande capanna individuata con gli scavi del 1993- I risultati conseguiti nel settore orientale del sito con la scoperta di un piano abitativo con lastre e blocchi calcarei squadrati, a delimitazione di un’area funzionale alla struttura, caratterizzata dalla presenza di un grande contenitore in ceramica in frammenti a decorazione impressa, facevano ben sperare circa la possibilità con la prosecuzione delle ricerche e con più ampi scavi in estensione (vedi campagna di scavi 1997) di poter ricostruire un tassello dell’antico abitato anche sul piano della distribuzione spaziale degli elementi esistenti e quindi dei rapporti intercorrenti tra loro:
il secondo obiettivo, per il momento più complesso, ha riguardato l’area di scavo appunto della grande capanna rettangolare individuata nella parte centrale del pianoro, e riferibile al Neolitico Antico, con uno sviluppo pianimetrico di circa m 7×4, caratterizzata da un piano di fondazione omogeneo a piccole pietre con struttura muraria di delimitazione perimetrale; un’ulteriore articolazione della pianta è data dalla presenza sul lato occidentale di un lastricato a basole regolari ricoperto dal crollo di un elevato in argilla, con impronte dell’incannucciato, costituito da paletti, canne e travi variamente incrociati e/o paralleli tra loro.

Proprio allo scopo di definire in dettaglio la complessa e rara situazione, eccezionale per il suo stato di conservazione, si è proceduto ad un lavoro analitico di scavo della struttura e quindi di rilievo grafico e fotografico, che serve ad evidenziare quelle articolazioni e lacune nello sviluppo pianimetrico complessivo altrimenti non ben percettibili, come quelle attestate sul lato meridionale, a profilo semicircolare. Sono inoltre apparsi con maggior evidenza, nel corso dell’approfondimento di scavo della struttura, i punti di appoggio su roccia dei paletti lignei che dovevano sorreggere l’elevato.
Una parte rilevante delle attività è stata dedicata alla registrazione della posizione degli intonaci in un rilievo in scala 1:5 e, quindi, dell’orientamento rispetto all’attuale campo magnetico delle impronte dei pali o canne presenti sui campioni (circa trecento quelli prelevati), in vista di analisi paleomagnetica da parte del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Napoli, considerato che, avendo subito un’alterazione termica per l’incendio e quindi il crollo dell’elevato di cui facevano parte, esse dovrebbero aver registrato le caratteristiche del campo magnetico del tempo. L’obiettivo è naturalmente quello di poter ricostruire la trama dell’incannucciato e della posizione di questo rispetto alla pianta della capanna prima del suo crollo.
Non senza numerose perplessità circa la compatibilità dell’intervento con una lettura completa della struttura che ci si augura possa essere al più presto restaurata e, quindi, protetta da opportuni sistemi di salvaguardia, visitabile, è stato praticato un saggio ristretto al centro del piano di calpestìo, fino a raggiungere l’affioramento calcareo sottostante cui la capanna ha adattato il proprio sviluppo. Ciò ha consentito di verificare la tecnica di preparazione del vespaio di pietre a più strati sovrapposti per uno spessore di venti centimetri circa e le relazioni stratigrafiche con l’area esterna alla capanna. È stato contestualmente avviato un programma di caratterizzazione archeometrica degli elementi reperiti, partendo da alcuni campioni di ceramica impressa e di intonaco rinvenuti in questo contesto che sono stati sottoposti ad analisi mineralogico-petrografica e chimica, di cui si dà qualche cenno nel contributo seguente.

CAMPAGNA DI SCAVI 1997

L’approfondimento di un ampio saggio centrale sul pianoro (saggio IV), con l’esplorazione di una grande unità abitativa per alcuni versi simile in quanto a caratteri strutturali alla grande capanna rettangolare, di cui è ancora in corso peraltro lo scavo mentre si scrivono queste note, portava al rinvenimento non del tutto inaspettato di una sepoltura umana entro una fossa subrettangolare foderata da pietre, disposta a SE dell’unità abitativa e probabilmente ad essa coeva o di poco successiva. Questo rinvenimento, di cui si possono per il momento dare solo pochi cenni essendo ancora la deposizione in fase di scavo, è piuttosto importante per vari ordini di motivi. Innanzitutto conferma la potenzialità di dati che il sito di Balsignano offre per gli studi sul Neolitico italiano per la compresenza di aspetti diversi quali quelli legati, oltre che alla vita quotidiana, all’artigianato, all’economia di sussistenza per esempio, anche alla sfera funeraria con le pratiche peculiari di queste antiche comunità neolitiche. Inoltre, lo stato di conservazione dei resti archeologici, ivi compresi, considerato questo rinvenimento, quelli di carattere funerario, e lo scarso interro di terreno vegetale che li ricopre costituiscono un carattere ottimale per una ricerca in estensione finalizzata alla possibilità di scoprire piuttosto velocemente ampi tasselli dell’insediamento che possano farci comprendere anche come era articolato lo spazio al suo interno, la densità delle abitazioni, i luoghi destinati alle lavorazioni diverse, gli spazi per gli animali, e i luoghi di sepoltura e forse anche di culto.
Allo studio della sepoltura concorrono gli antropologi V. Scattarella e S. Sublimi Saponetti che hanno fornito questa breve descrizione del reperto per l’occasione:
“Sepoltura in posizione contratta, adagiata sul fianco destro. In particolare il cranio ed il torace poggiano sul lato destro, l’arto superiore destro risulta esteso in pronazione, obliquamente in avanti; dell’arto superiore sinistro si conserva invece solo l’omero che appare notevolmente dislocato dalla posizione anatomica originaria, gli arti inferiori sono entrambi in flessione ed il ginocchio destro (parzialmente dislocato dalla posizione anatomica ) risulta in posizione più craniale rispetto al sinistro sovrastante; le gambe risultano parzialmente incrociate in modo tale che il tallone destro alloggi sul dorso del piede sinistro. La deposizione fa riferimento ad un individuo in piena età adulta e di sesso presumibilmente maschile. Solo necessarie indagini di laboratorio chiariranno le modalità di deposizione, la corretta attribuzione del sesso e la ricostruzione delle attività occupazionali e di sussitenza”.

Per il momento non si può del tutto escludere la presenza di elementi di corredo alla deposizione, essendo lo scavo ancora in corso, che tuttavia sembra poter essere inquadrata nel Neolitico Antico. Considerata inoltre la completezza del rinvenimento, che presenta ancora quasi integra la struttura litica di contorno alla fossa, si è deciso, di concerto con il Comune di Modugno, di predisporre il calco e quindi la copia in resina in scala 1:1, secondo una tecnica ormai brevettata e messa a punto in altri rinvenimenti del genere, che consente di conservare l’impronta dell’originale ancora integro, e quindi di ricavarne delle copie, prima della necessaria asportazione dei reperti osteologia per lo studio. Si è chiesta in questo caso la consulenza dell’archeologo D. Coppola ed i lavori del calco sono stati affidati a G. Colucci, tecnico esperto di questo tipo di riproduzione. Tale copia, come si è già detto prima, sarà esposta nella mostra in preparazione. Recentissima infine l’individuazione, a sud della nuova area abitativa che si viene scoprendo nel saggio centrale, di una area di focolare con resti carbonizzati contestuale al piano d’uso, la cui analisi al C14 dovrebbe consentirci anche di ottenere delle datazioni in cronologia assoluta per l’insediamento di Balsignano.

Francesca Radina
Centro operativo per l’Archeologia - Bari
Soprintendenza Archeologica della Puglia

LE INDAGINI ARCHEOMETRICHE SUL SITO NEOLITICO DI BALSIGNANO

La classe di reperti, di gran lunga più rappresentata, a Balsignano è costituita in primo luogo dai frammenti dei vasi in ceramica, rinvenuti in gran quantità sui piani di calpestìo antichi esternamente alle due strutture abitative finora individuate, stimabili complessivamente in circa 1.000 pezzi. Lo studio della produzione ceramica riveste una grande importanza ai fini della ricostruzione delle attività svolte dalla comunità neolitica di Balsignano. Lo studio dei frammenti permette infatti in primo luogo di ricostruire le forme dei vasi, che potevano essere costituiti sia da grandi contenitori (doli e olle), utilizzabili per conservare derrate alimentari, quali l’acqua o le granaglie, o per cuocere il cibo, sia da forme più piccole (scodelle e ciotole), che potevano essere usate in modi diversificati, per mangiare o bere, per attingere l’acqua o i semi dai vasi più grandi, per riscaldare piccole quantità di cibo, e così via. L’osservazione dei frammenti ceramici può consentire in secondo luogo di raccogliere informazioni molto utili sulle modalità di realizzazione dei vasi, sui materiali (in particolare l’argilla) che venivano utilizzati, sulle tecniche di decorazione, sulle modalità di cottura, a fuoco libero o in piccoli forni. A tal fine è stata effettuata una prima campionatura rappresentativa, per un totale di 30 frammenti di ceramica, cui si è affiancata quella dei sedimenti di terra rossa naturalmente affioranti, che presumibilmente sono da interpretare come il paleosuolo antico su cui si sono impostate le strutture abitative. In relazione alle metodiche analitiche, sono state prescelte quelle mineralogico-petrografiche e chimiche, solitamente utilizzate per la caratterizzazione delle ceramiche preistoriche. Le analisi saranno effettuate presso il Dipartimento Geomineralogico dell’Università degli Studi di Bari. I campioni saranno sottoposti ad analisi in sezione sottile al microscopio a luce polarizzata trasmessa, previo prelievo di una frazione, sia pure di dimensioni ridotte, del campione dalla quale, opportunamente assottigliata e montata su un vetrino, si otterrà una sezione sottile e trasparente dello spessore di 30 micron. Le analisi in sezione sottile saranno molto utili per la determinazione delle aree di provenienza dei manufatti, grazie al confronto tra i minerali contenuti nella ceramica e quelli presenti nelle formazioni sedimentarie analizzate e segnalate nella letteratura geologica della zona.

Ai fini del riconoscimento delle fasi mineralogiche costituenti la matrice argillosa che, per le sue caratteristiche, in sezione sottile si presenta come una massa scura di fondo, i campioni saranno sottoposti ad analisi per diffrattometria di raggi X su polveri, la quale consente l’identificazione dei minerali argillosi o di quelli non riconoscibili in sezione sottile per le loro dimensioni estremamente ridotte, grazie alle proprietà dei piani cristallini dei minerali di riflettere secondo determinati angoli un fascio di raggi X a loro incidenti. In relazione invece alle analisi di caratterizzazione chimica, che consentono una misurazione quantitativamente più dettagliata di un gran numero di elementi chimici presenti aH’interno dell’intero corpo ceramico, sia cioè nella frazione argillosa che negli inclusi, i campioni saranno sottoposti ad analisi per fluorescenza di raggi X (XRF). Tale metodica offre la possibilità di misurare gli elementi maggiori, minori ed in traccia costituenti un materiale ceramico. In esso gli elementi chimici eccitati emettono raggi X caratteristici, la cui lunghezza d’onda rende possibile l’identificazione dell’elemento e la cui intensità è proporzionale alla concentrazione dell’elemento stesso. Il secondo gruppo di reperti archeologici oggetto di analisi è costituito dall’industria litica in selce ed ossidiana, presente sotto forma di lame e lamelle, schegge di lavorazione e nuclei. Lo studio di questi manufatti sarà finalizzato in particolare allo studio delle tracce d’uso presenti sui diversi tipi di strumenti per ricostruire le modalità di utilizzo. I gruppi neolitici realizzavano infatti una serie di strumenti di forme diverse per usi differenziati, dal taglio di canne e giunchi a quello dei cereali e delle leguminose coltivate, dal taglio della carne durante la macellazione degli animali alla lavorazione delle loro pelli.
L’ossidiana in particolare è una roccia vulcanica vetrosa, che si rinviene nell’area del Mediterraneo centrale solo in quattro diverse aree, costituite rispettivamente da Monte Arci in Sardegna, dalle isole di Palmarola e Lipari nel Tirreno ed infine nell’isola di Pantelleria a Sud della Sicilia. Data la facile lavorabilità di questo materiale e la possibilità di ottenere strumenti quasi perfetti, l’ossidiana era oggetto di scambi e di circolazione in tutte le comunità neolitiche dell’Italia meridionale, per cui la possibilità di individuare le aree di provenienza di singoli manufatti, ritrovati anche a centinaia di chilometri da esse, consente di raccogliere elementi molto significativi per la ricostruzione delle relazioni culturali e sociali tra comunità diverse e delle vie stesse di commercio. I campioni di ossidiana pertanto saranno sottoposti ad analisi chimiche presso il Dipartimento Geomineralogico dell’Università degli Studi di Bari, mediante un Microscopio Elettronico a Scansione (SEM) collegato ad uno spettrometro a raggi X in dispersione di energia (EDS) che consente un notevole dettaglio nel dosaggio puntuale di elementi chimici, in particolare di alcuni elementi chimici discriminanti, quali CaO, Si02, A1203 e Na20+K20.

Italo Muntoni
Dottorato di ricerca in Preistoria
Università La Sapienza – Roma

L’ANALISI ARCHEOBOTANICA

L’analisi archeobotanica si occupa dello studio dei resti vegetali recuperati negli scavi archeologici attraverso i quali è possibile ricavare una serie di dati sull’ambiente vegetale del passato e sulle strategie economiche adottate dall’uomo per sfruttarlo come fonte di cibo e di energia. In particolare, lo studio dei legni, dei carboni, dei semi, dei frutti e di altri organi dell’apparato vegetativo della pianta (macroresti vegetali), fornisce importanti informazioni riguardanti l’attività dell’uomo e lo sfruttamento delle risorse naturali, attraverso il taglio e la raccolta di legna nel bosco per l’approvvigionamento di combustibile e di materia prima per le opere di carpenteria e di falegnameria, lo sviluppo delle tecniche agrarie di coltivazione dei cereali e di altre erbacee, le modalità di preparazione e consumazione degli alimenti, etc. Invece le caratteristiche del paleoambiente vegetale in un determinato, periodo vengono generalmente ricostruite grazie all’analisi dei granuli di polline prodotti dagli apparati riproduttori delle piante e dispersi dagli insetti o dal vento in una zona ampia intorno al sito archeologico (analisi pollinologica): partendo dal presupposto che le varie entità vegetali o associazioni delle stesse, danno risposte differenti alle condizioni climatiche prevalenti in un determinato periodo, ne deriva un collegamento tra caratteristiche della vegetazione e clima, con la possibilità di identificarne, almeno a grandi linee, le variazioni. In assenza di analisi polliniche, in generale in Italia meridionale viene utilizzato come indicatore paleoambientale l’analisi dei frammenti di carbone pertinenti al legno delle specie arboree ed arbustive utilizzate come combustibile nei focolari preistorici (analisi antracologica). E’ evidente che a differenza dei pollini (a dispersione naturale e rappresentazione regionale), la presenza di carboni in un giacimento archeologico è condizionata dalle modalità di raccolta della legna da parte dell’uomo, in un’area presumibilmente più circoscritta. Il presupposto teorico dell’analisi antracologica è che i frammenti di carbone recuperati nel corso dello scavo archeologico provengano dalla pulizia e dallo svuotamento dei focolari, accesi più volte nel corso della frequentazione del sito e che il combustibile utilizzato per alimentarli corrisponda ad una campionatura casuale della vegetazione circostante, rispecchiandone, pertanto, le caratteristiche. L’analisi dei dati derivati dalla determinazione di un numero significativo di frammenti di carbone, esaminati al microscopio (a luce riflessa ed elettronico a scansione) per il riconoscimento delle caratteristiche anatomiche discriminanti delle singole essenze, consente, infatti, di ricostruire la composizione del bacino di approvvigionamento del combustibile legnoso nel corso delle varie fasi di occupazione degli insediamenti. La maggior parte dei macroresti vegetali recuperati ed analizzati nel corso degli scavi è, generalmente, pertinente a semi e/o frutti o a parte degli stessi (carporesti), generalmente riferiti a piante di uso alimentare. A causa delle condizioni climatiche e delle caratteristiche chimiche dei depositi archeologici alle nostre latitudini, che favoriscono l’attacco e l’azione demolitrice dei batteri e degli altri organismi viventi del terreno, è possibile, tuttavia, solo la preservazione di macroresti vegetali carbonizzati. I resti che vengono recuperati, infatti, tutti allo stato carbonizzato, proprio per la loro condizione fisica, si riferiscono a semi e frutti accidentalmente o intenzionalmente combusti dall’uomo e solo per questo conservati sino ai nostri giorni. In generale si tratta di cariossidi di cereali “vestiti” (come il farro), ricoperti cioè da un involucro resistente (glume), che necessitano di una parziale tostatura prima del consumo alimentare. È probabile, pertanto, che i resti carbonizzati recuperati si riferiscano ad una tostatura mal riuscita e non controllata da parte dell’uomo. Un’altra fonte di resti, da non trascurare, è rappresentata dalla paglia, scartata nel corso della lavorazione dei cereali, utilizzata talora come combustibile per ravvivare il fuoco o generalmente selezionata come alimento per gli animali e come componente nell’impasto dell’intonaco per le pareti delle capanne e negli impasti dei vasi. Inoltre è possibile recuperare i semi e i frutti di quelle piante che crescevano spontaneamente nell’abitato o che vi erano trasportate involontariamente dall’uomo o dagli animali, che in qualche modo si depositano all’interno degli strati archeologici. Infine, un’altra particolare categoria di resti è costituita dalle impronte di elementi vegetali sull’argilla dei vasi o dell’intonaco: il ritrovamento di questa particolare categoria di resti può rappresentare un valido strumento interpretativo tanto sul piano più propriamente paleoecologico (attestazione di specie), quanto su quello paletnologico generale (uso dei vegetali in diverse tecniche artigianali). L’uso di parti diverse della pianta, come le foglie ma anche le radici, i tubercoli, etc., doveva aver avuto una grande importanza alimentare, oltre che per la farmacopea e le attività artigianali, in comunità con una grande vocazione agro-pastorale ed un forte rapporto con l’ambiente naturale circostante. 

I MACRORESTI DELL’INSEDIAMENTO NEOLITICO DI BALSIGNANO

Le caratteristiche archeologiche delle aree preistoriche sinora investigate a Balsignano (almeno due strutture abitative di grandi dimensioni ed una sepoltura) e l’eccezionale stato di conservazione dei resti, unite alle possibilità logistiche del cantiere di scavo (acqua corrente e predisposizione di una struttura per la setacciatura), hanno consentito un sistematico trattamento di tutto il sedimento scavato pertinente ai livelli archeologici, con un’ampia raccolta di tutti i macroresti vegetali. A differenza delle tradizionali tecniche di campionamento adottate nell’ambito dello scavo archeologico, è stato possibile trattare tutto il sedimento scavato per una puntuale caratterizzazione della distribuzione spaziale dei resti in relazione alle capanne, e cercare quindi di individuare e caratterizzare aree funzionali diverse (zone di immagazzinamento dei cereali, focolari e zone di cottura, etc). Il sedimento setacciato è stato visionato al microscopio stereoscopico binoculare a bassi ingrandimenti (8X e 10X) e sono, stati recuperati numerosi macroresti vegetali carbonizzati di tessuto legnoso e semi e/o frutti di piante erbacee. Accanto al recupero dei macroresti carbonizzati inglobati nel sedimento archeologico, è stata inoltre programmata l’analisi delle impronte vegetali presenti negli intonaci, sia per valutare le modalità di costruzione degli alzati e gli elementi caratteristici degli impasti, sia per raccogliere ulteriori informazioni sulle caratteristiche della vegetazione antica. Una prima analisi ha già consentito di evidenziare su alcuni blocchi di intonaco le impronte di cariossidi di cereali, alcune foglie, tessuto vegetale intrecciato per cordami, mentre quasi tutti i blocchi recuperati presentano le impronte, variamente orientate, pertinenti a fusti di graminacee (canne) e ad elementi di paleria ricavati da rami e tronchi di piante arboree.

GLI ELEMENTI STRUTTURALI DELLE CAPANNE

Il ritrovamento eccezionale di almeno due fondi di capanne, caratterizzati da una complessa articolazione di acciottolati e basi di muretti, oltre che di un’ampia distribuzione di frammenti di intonaco, hanno richiesto particolari metodologie di intervento nel corso dello scavo. Particolare attenzione è stata rivolta alla raccolta di informazioni pertinenti al crollo degli intonaci che originariamente rappresentavano il rivestimento delle pareti o del tetto delle capanne.
Le tecniche costruttive dell’antichità facevano ricorso a materiali poveri, generalmente facilmente reperibile nei dintorni del sito; nel caso di Balsignano, gli antichi costruttori hanno utilizzato pietre e scaglie del substrato calcareo per la costruzione dei muri e del vespaio della pavimentazione, mentre con funzione di isolamento e legante della paleria dell’alzato e del tetto è stato utilizzato un impasto di argilla variamente mista con resti vegetali (in prevalenza paglia).
L’abbandono delle strutture e la loro distruzione ad opera di incendi hanno restituito fino ai nostri giorni questi elementi strutturali, preservando gli impasti argillosi grazie alla cottura accidentale. La cottura ha infatti impedito il degrado completo dell’argilla e, soprattutto, ha conservato le impronte in negativo degli elementi di paleria che avvolgeva, consentendo lo studio e la ricostruzione delle tecniche costruttive.
La strategia di intervento nel corso dello scavo si è articolata attraverso una raccolta di informazioni puntuali sulla posizione e l’organizzazione delle principali impronte visibili su ogni singolo frammento di intonaco, mentre una particolare attenzione è stata dedicata al posizionamento nello spazio del singolo pezzo.
L’operazione di raccolta dati si è rivelata particolarmente lenta e faticosa, per cui si è optato per una divisione in due fasi: una necessariamente collegata alle fasi di scavo (posizionamento nello spazio del singolo frammento di intonaco e rilievo dell’orientamento delle impronte principali), l’altra demandata allo studio in laboratorio (relazione tra le impronte, misurazione delle stesse). L’eccezionalità del ritrovamento e la natura argillosa dei resti di intonaco hanno rivolto la nostra attenzione su particolari tecniche analitiche altamente sofisticate per consentire lo studio della posizione originaria dei blocchi di intonaco nello spazio tridimensionale (analisi paleomagnetiche) e permettere la ricostruzione delle caratteristiche dell’alzato delle capanne grazie all’elaborazione di simulazioni virtuali delle modalità di crollo. Lo studio del paleomagnetismo residuo consente, infatti, di recuperare informazioni sul campo magnetico terrestre al momento dell’incendio delle strutture neolitiche, rappresentando quindi un valido strumento d’indagine per il posizionamento originario dei singoli frammenti d’intonaco nello spazio. Gli intonaci, infatti, costituiti prevalentemente di argilla, contengono ossidi di ferro (magnetite ed ematite), molto sensibili alle variazioni del campo magnetico terrestre, che al momento dell’incendio della struttura hanno orientato i propri elettroni secondo la direzione del campo magnetico dell’epoca. Lo studio e l’elaborazione dei dati registrati in ogni singolo blocco di intonaco e il confronto con il campo magnetico registrato sui blocchi di calcare sottoposti anch’essi ad alterazione termica (l’incendio infatti dovrebbe aver permesso la registrazione della posizione degli elettroni degli ossidi di ferro presenti naturalmente nel calcare) offre la possibilità di riposizionare i singoli blocchi d’intonaco nello spazio e di ricostruire le caratteristiche strutturali della capanna. Inoltre, grazie all’ausilio di programmi di simulazione elettronica, a partire dalla ricostruzione della posizione originaria dei singoli blocchi di intonaco e la posizione finale degli stessi al momento dello scavo archeologico, si cercherà di ricostruire le stesse modalità del crollo delle capanne.
Lo sforzo analitico e l’investimento di risorse economiche ed intellettuali consentirà nei nostri propositi di ricostruire le singole capanne nelle loro caratteristiche anche verticali, oltre che orizzontali, e di provvedere alla conservazione delle strutture antiche (fondi di capanna, silos, strutture funerarie), tra cui eccezionale quelle della grande capanna a pianta rettangolare scoperta nel 1993, di cui si è già parlato diffusamente nel numero 78/1996 di Nuovi Orientamenti. Di questa si conserva in ottime condizioni, tanto da poterne ricostruire l’impianto, fatto eccezionale per l’epoca (fine VI millennio), il piano pavimentale in pietrame sciolto di piccole dimensioni, parte del muro perimetrale di fondazione dell’elevato, attestato da gran parte del crollo in intonaco argilloso con le impronte delle strutture lignee portanti, oltre ai reperti archeologici ancora in situ, di cui si diceva prima, che consentono di datarla e di riferirla ad uno dei gruppi di agricoltori-allevatori che occupavano l’area in una fase ancora iniziale del lento processo di neolitizzazione che interessò la regione.
Di qui la necessità di provvedere quanto prima alla acquisizione al patrimonio comunale dell’area archeologica in vista di un parco archeologico che ricostruisca le stesse modalità di occupazione del pianoro di Balsignano da parte delle comunità neolitiche. Peraltro, una tale opera favorirebbe, anche presso un pubblico più vasto, l’immediata percezione dell’importanza delle ricerche archeologiche intraprese e ciò solleciterebbe una evidente crescita di sensibilità nelle nostre comunità.

Gerolamo Fiorentino
Laboratoire de Palèobotanique
Université Montpellier II - Francia

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