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Ora davvero per Balsignano si intravede un futuro

Dopo il successo della “Notte di S. Giovanni”, per il casale medievale
si aprono nuove prospettive

Anno XXIX N. 128,129 Agosto 2007
Serafino Corriero

Dopo secoli di abbandono e di letargo, il casale medievale di Balsignano è tornato, sia pure per una sera, a vivere. A vivere nel senso che ha accolto nell’ampia area racchiusa dalla sua antica cinta muraria un numero ingente di persone che vi cercavano non solo un po’ di svago e di refrigerio da un torrido inizio estate, ma anche le tracce di un legame antico, fatto di memoria, di testimonianze, di storia.
Dopo secoli di separazione e di incomprensione, Balsignano è tornata a ricongiungersi con la sua città, il passato si è incontrato con il presente, e lo ha riconquistato, con l’imponenza delle torri restaurate del castello, con l’eleganza della chiesa di S. Felice, con il fascino del luogo nobile, ombroso, solitario. Questa “Notte di S. Giovanni”, illuminata da fiaccole, canti, danze, poesie, armi, duelli, ci lascia il presagio di un confortante avvenire.
Il 7 gennaio 1983, dopo una prima opera di recupero di notizie storiche e archeologiche, la rivista “Nuovi Orientamenti” organizzava un convegno sul tema “Balsignano: quale futuro?”. In realtà, si trattava di un convegno sul presente di Balsignano, inteso più che altro a denunciare lo stato di abbandono e di degrado del complesso medievale, ma anche ad illustrare la nobiltà e la dignità storica, artistica, paesaggistica, di un sito troppo a lungo dimenticato e abbandonato.
Perfino una rivista francese, “Geo”, segnalava qualche anno dopo la Chiesa di S. Felice tra i “tesori abbandonati” del sud Italia, “une chahapelle de pierres blanches livrèe aux géckos…parmi les oliviers de Balsignano” (una chiesetta di pietre bianche abbandonata ai gechi…tra gli ulivi di Balsignano).
Quel convegno, in effetti, segnò l’inizio della rinascita di Balsignano: i Modugnesi cominciarono a riscoprirne l’esistenza, le scuole a diffonderne la conoscenza storica e a ricostruirne le consuetudini, le istituzioni a riconsiderarne il valore sociale e culturale avviando nuovi progetti di recupero. Balsignano entrava a poco a poco nella coscienza pubblica e si producevano, sia pure molto faticosamente, i primi importanti risultati: l’acquisizione del sito al patrimonio comunale, un nuovo piano di scavi elaborato dalla Soprintendenza, un progetto di restauro del castello in gran parte ormai attuato. Ora, finalmente, si può cominciare a parlare davvero del futuro di Balsignano. La manifestazione del 23 giugno ha consacrato, si può dire, tutto il valore di Balsignano, ma ne ha anche rivelato tutte le straordinarie potenzialità. In una città e in un territorio fortemente deturpati e stravolti da una intensa opera di sfruttamento economico di natura industriale e urbanistica, il recupero di Balsignano può rappresentare per Modugno un’occasione di riscatto, la riconquista del decoro e della civiltà.
È necessario, pertanto, che, dopo venticinque anni da quel convegno, ora che Balsignano è diventata patrimonio collettivo della città e del suo territorio, si discuta davvero del suo futuro e della sua fruizione, sperando che la discussione sia qualificata e che i vari soggetti interessati siano all’altezza del compito e ne avvertano tutta la responsabilità, anche nell’interesse e nel rispetto delle future generazioni.
Intanto, appare subito evidente che bisogna portare a compimento il restauro dell’intero complesso: le stanze del castello, il pavimento e gli affreschi di S. Maria di Costantinopoli, la corte e il giardino interno; ma anche tutta la cinta muraria esterna, con la ricostruzione delle torrette di guardia e delle porte di accesso. Poi bisognerà sistemare l’area agricola interna al casale, compattando il terreno e facendone un prato erboso calpestarle e attrezzato sia per il relax delle famiglie che per l’organizzazione di spettacoli ed eventi culturali.
Ma il casale di Balsignano non può tornare davvero a pulsare di nuova vita se non concorre a nutrirlo l’intera area che lo contiene: un’area di straordinario interesse storico, archeologico, paesaggistico, che comprende, entro il corso di due rami del torrente Lamasinata, un villaggio neolitico, l’attigua chiesetta settecentesca di S. Pietro, un edificio rustico protoindustriale, grotte e insediamenti rupestri, un’oasi di protezione floro-faunistica, palmenti rurali, in un ambiente agricolo ancora ubertoso e incontaminato.
Non possiamo, pertanto, che rinnovare, con una forza accresciuta dai primi concreti interventi di restauro e dalle prime entusiastiche prove di fruizione pubblica, la proposta che “Nuovi Orientamenti” e il prof. Raffaele Licinio, docente di Storia Medievale all’Università di Bari, avanzarono già in quel convegno: fare di Balsignano un “museo all’aperto”, completamente restaurato, custodito, sede di un centro-studi normanno-svevi, ma anche aperto alla valorizzazione didattica, alla produzione agricola e artigianale, alla fruizione pubblica; il tutto, all’interno di un parco storico-archeologico-paesaggistico che comprenda l’intera area circostante, fino ad interessare anche i Comuni di Bitetto e di Bitritto. Non escludiamo a priori che dentro questa area possano anche insediarsi strutture private.
L’importante è che qualsivoglia progetto di intervento sull’area – sia esso pubblico o privato – sia oggetto di un serio confronto con il Comune, la Provincia, la Regione, la Soprintendenza ai Beni Architettonici e per il Paesaggio, con le associazioni di tutela del territorio e con la stessa opinione pubblica, affinché il complesso di Balsignano. come sosteneva il prof. Raffaele Macina nella presentazione di quel convegno, “possa essere recuperato ad una funzione sociale, non speculativa, non effimera, ma adeguata e coerente con la sua genesi e la sua storia”.
Il futuro di Balsignano non può che emergere dal suo passato

…Ma c’è bisogno di programmazione

XXIX N.128,129 Agosto 2007
Raffaele Macina

Non so se per Balsignano ora si siano aperte davvero nuove prospettive. Certo, il successo della notte di San Giovanni è stato straordinario: oltre duemila persone, secondo il comandante Nicola Delzotti, hanno risposto al nostro appello, partecipando – i bambini in particolare – con interesse ed attenzione alle diverse iniziative previste dal programma; un successo che ha rimotivato tutti e ha rimotivato anche me, che da qualche tempo guardo a Balsignano con realismo e dunque con punte di inevitabile scetticismo.
Ed in effetti, non si può essere presi dallo scetticismo e, talvolta, anche dallo sconforto, se si considera che in quasi 30 anni di impegno su Balsignano i risultati non sono stati all’altezza delle energie spese.
Sì, è vero, nel 1999 la giunta Bonasia acquisì il Casale al patrimonio del Comune e nel 2005 la giunta Rana assicurò il primo consistente finanziamento comunale per interventi di restauro. Ma si è trattato di provvedimenti isolati, e se la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio non avesse assicurato finanziamenti continui, Balsignano non si presenterebbe oggi diversamente da come si presentava una trentina di anni fa.
Insomma, non c’è stata e forse non c’è ancora una programmazione pluriennale finalizzata all’obiettivo finale di rendere fruibile l’intero complesso. Una programmazione vera, grazie alla quale poter accedere anche ai finanziamenti europei, che sono stati e sono assai consistenti. Quando penso che il Comune di Bitonto, per fare solo un esempio, ha ottenuto negli anni passati copiosi finanziamenti europei anche per beni culturali meno importanti di Balsignano, allora non posso non guardare con scetticismo alla nostra situazione.
Ma c’è un’altra considerazione che ha il suo peso: gli esponenti della politica cittadina non riescono a stabilire intorno ai grandi problemi della città rapporti con autorità politico-amministrative di rilievo regionale o nazionale e, quindi, ad ottenere il loro coinvolgimento per la soluzione di un problema di particolare rilevanza; insomma, i nostri politici sono “forti” a Modugno. ma deboli e talvolta impotenti al di fuori del perimetro urbano.
E invece proprio su Balsignano sarebbe possibile ottenere un coinvolgimento di autorevoli esponenti regionali e nazionali di entrambi gli schieramenti politici: del resto, si tratta dell’unico casale medievale fortificato presente in Italia, la cui ricchezza archeologica e architettonica è tale da poter consentire la ricostruzione storica dell’intero quadro dei casali medievali.
Molti dei cittadini giunti a Balsignano il 23 giugno, che rimanevano incantati nell’osservare il portale, la navata e la cupola della chiesa di San Felice, ci hanno invitato a rivolgere un appello a tutti gli amministratori e a tutti i consiglieri comunali, che qui ripropongo quasi alla lettera: cercate di partecipare a queste iniziative (molti di voi, pur essendo invitati, le disertano sistematicamente), perché potrete constatare dal vivo il fascino di un complesso che ancor oggi parla di storia e di arte; ma, soprattutto, cercate di individuare tutti insieme quella programmazione di interventi e di finanziamenti che potrebbe assicurare ai cittadini la piena utilizzazione di Balsignano.

La nostra notte di “San Giovanni”

Una festa popolare in un luogo incantevole

Anno XXIX N.128,129 Agosto 2007
Delia Grassi, Rossana Ficcanterri

Da quasi trenta anni a Modugno si pubblica la rivista “Nuovi Orientamenti” e, da allora, il suo direttore Raffaele Macina (Lillino per gli amici) coltivava un sogno: organizzare, tra le altre cose, la “Notte di San Giovanni” nel Casale di Balsignano.
Era gennaio quando, quasi per caso, ci ritrovammo a parlarne. Il suo entusiasmo era immutato ma, ancora una volta, la sfiducia stava prendendo il sopravvento, pensando che sarebbe rimasto da solo a coltivare la sua idea. Ci confrontammo, e la nostra determinazione a realizzare questo progetto lo convinse.
Tra i nostri obiettivi c’era quello di far conoscere ai Modugnesi, e non solo, una realtà storica ed architettonica considerata tra le più importanti dell’Italia meridionale; e quale occasione migliore, quindi, se non una festa popolare? A molti è capitato, girando per l’Italia, di visitare siti archeologici, castelli, masserie fortificate che, in altre parti, vengono valorizzati e fruiti; perché quindi non farlo anche qui da noi? Stava così nascendo il piccolo gruppo che avrebbe provato a realizzare questa idea.
Ci siamo rese conto fin dall’inizio che non sarebbe stata un’impresa facile, anche perché si trattava della nostra prima esperienza, ma questa consapevolezza, anziché scoraggiarci, ci ha ulteriormente stimolate. Non sono mancati tuttavia momenti di ansia e di perplessità; più volte ci siamo chieste; Ce la faremo? E se la gente non venisse? E poi, c’è anche in contemporanea il concerto di Mietta…
I primi contatti li abbiamo presi con l’Assessore alla Cultura Michele Trentadue e, avuto il benestare del Comune, ci siamo attivate, sempre sotto la supervisione di Lillino. Sono iniziate le prime telefonate, gli incontri, la ricerca di notizie storiche e gastronomiche, nel pieno rispetto del luogo che avrebbe ospitato questo evento: volevamo che fosse una festa medievale. Abbiamo allora pensato di preparare una legumata servita in pagnotte, di utilizzare bicchieri di terracotta e stoviglie di legno, di illuminare il castello, la chiesa di S. Felice e il viale d’accesso con fiaccole e torce, senza far mancare, naturalmente, il vino e …le chelumme. Ci sono voluti molti giorni di serio impegno, che però ci hanno anche stimolate e divertite, fino alla mattina del 23, quando tutto era pronto …o quasi.
E poi, è arrivata la sera, con l’ansia e la frenesia degli ultimi ritocchi. Ma intanto cominciavano ad arrivare le prime persone, quasi incredule e incantate dalla suggestione delle fiaccole tremolanti e delle luci che illuminavano le mura del castello. A quel punto, è iniziata la festa, e tutto il luogo ha preso vita e colore tra musiche, canti, balli, costumi e …fumo di arrosto e profumo di legumi.
Grande merito per il supporto organizzativo e scenografico va dato al gruppo “Historia” guidato da Stefano Latorre che, con i suoi accampamenti, i mercatini, le armature, le pietanze medievali, e soprattutto con la rievocazione storica della cerimonia di investitura di un cavaliere e del combattimento tra soldati cristiani e saraceni, ha reso ancora più suggestiva l’atmosfera della serata. Anche la musica del gruppo “Omphalos” è stata coinvolgente, così come le danze della conturbante Betty Lusito. Altro evento importante è stato il recital di poesie ispirate a Balsignano del poeta e scrittore Vito Ventrella. A divertire i bambini, poi. ci hanno pensato Giolillo, Sobbrillo e Fusilla, i giocolieri di strada che li hanno coinvolti in giochi e scherzi divertenti.
Ma la sorpresa più grande, e la più commovente, è stata la presenza e la partecipazione di tanta, tanta gente, che ha mostrato non solo di apprezzare l’iniziativa, ma anche di coglierne il senso storico e culturale.
Certo, non è mancato qualche inconveniente, o qualche difetto organizzativo, ma la nostra soddisfazione e la nostra gioia sono state grandi, anche per la consapevolezza di aver saputo cogliere nei Modugnesi una diffusa esigenza di nuove forme di divertimento e di partecipazione.
Grazie di cuore a tutti: al Sindaco, all’Amministrazione Comunale, ai Vigili Urbani, a Vito Liberio della “Masseria del Barone”, che ci ha fornito (gratis) i tavoli, i fornelli, le pentole e i legumi, ed anche alle persone a noi più vicine che ci hanno sostenuto: generi, figli, mariti e compagni. Ma grazie soprattutto a Raffaele Macina, che ha avuto fiducia in noi e che ci ha dato questa opportunità di metterci alla prova. La mattina seguente, sul nostro cellulare è arrivato un messaggio: “Dopo ieri sera, niente sarà più come prima a Balsignano. Grazie. Lillino” (da Balsignano).

E BALSIGNANO CI HA DATO LA SENSAZIONE DI TROVARCI NELLA STORIA
Bolzano, 10 luglio 2007

Sono parecchi anni ormai che le nostre vacanze estive le passiamo in Puglia, terra ricca di storia e di bellezze naturali. Durante i nostri soggiorni, mia moglie organizza sempre alcune giornate dedicate a visite culturali, e quest’anno, tra le altre mete, c’era anche Balsignano.
Siamo arrivati sul posto verso le 10.30 del 23 giugno. Trovammo il cancello aperto ed alcune persone che stavano lavorando per preparare, ci fu detto, la festa di San Giovanni. 11 sito era ufficialmente chiuso ma, non appena seppero che venivamo da Bolzano, un signore ci fece entrare e ci presentò il prof. Raffaele Macina il quale, con grande cortesia, ci accompagnò in una visita guidata del casale. È stata una bella esperienza. La chiesa di San Felice, le mura possenti del casale, i resti del castello ed il luogo in generale, ci hanno trasmesso la sensazione di trovarci nella storia. È bello sapere che ci sono persone che dedicano il loro tempo alla valorizzazione di ciò che dai secoli scorsi è arrivato fino a noi, ed è auspicabile che nulla vada più perduto e che a ciò che è rimasto sia dato il giusto risalto. Un grazie ancora per la gentilezza che ci è stata riservata e per quello che abbiamo potuto vedere e capire di Balsignano e del suo casale.
Unica nota stonata è non aver potuto partecipare alla festa di San Giovanni. Peccato! Ma l’anno prossimo…
Cordiali saluti a tutti, e, speriamo, a presto.

Manuela, Gabriele ed Enzo Bedin

Una giornata normanno sveva a Modugno

E a Balsignano ritornano i cavalieri normanni e la solenne cerimonia di investitura

Anno XXVIII N. 125,126 Dicembre 2006
Maria Franceschini

Un importante convegno internazionale, quello delle “giornate normanno-sveve”, si è svolto tra Bari e Modugno dal 10 al 13 ottobre, con il patrocinio della Presidenza e dell’Assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia, del Comune di Bari e del Comune di Barletta, e con la partecipazione del Comune di Modugno che, nell’ambito del programma di valorizzazione di Balsignano, si è fatto carico della organizzazione della giornata del 12 ottobre. Si è trattato della diciassettesima edizione di un appuntamento che si rinnova a cadenza biennale dal lontano 1973, organizzato dal Centro di Studi Normanno-Svevi dell’Università di Bari, ente morale fondato nel 1963 con l’intento di promuovere e favorire gli studi sulla storia dell’Italia meridionale nei periodi normanno e svevo sotto tutti gli aspetti, letterario, storico, giuridico, economico, politico, artistico.
I convegni, sempre accompagnati dalla pubblicazione degli Atti delle precedenti “giornate”, hanno, nelle prime sei edizioni, analizzato il periodo normanno-svevo per segmenti cronologici, per poi adottare, negli incontri successivi, un approccio per nuclei tematici.
Le diciassettesime “giornate” hanno messo a fuoco il periodo caratterizzato dalla istituzione del regno normanno, fondato da Ruggero II (1130-1154), che si fece incoronare dall’antipapa Anacleto, cui succedettero Guglielmo I (1154-1166), detto poi “il Malo” anche per aver quasi raso al suolo Bari, Guglielmo II (1166-1189), detto “il Buono”, ed infine, dopo una crisi dinastica, Tancredi di Lecce. Con la morte di quest’ultimo nel 1194, il regno passò all’imperatore Enrico VI di Svevia, figlio di Federico Barbarossa e futuro padre di Federico II, in virtù del suo matrimonio con la normanna Costanza d’Altavilla, figlia di Ruggero II.
II regno normanno, che ha segnato profondamente la storia del Mezzogiorno italiano, è stato indagato nei suoi caratteri distintivi e di identità, con riferimento ai poteri signorili, alle istituzioni feudali ed alle strutture sociali. In particolare, le relazioni presentate da studiosi italiani e stranieri nelle quattro giornate di incontri hanno sviluppato i seguenti argomenti: i modelli anglo-normanni; i modelli meridionali pre-normanni; le prime codificazioni; il lessico feudale; i poteri signorili di vertice; chiesa e feudalesimo; signorie monastiche; signorie locali e mondo rurale; centri demici e dinamiche economico-sociali; città e corona; la cultura di corte; le liturgie del potere nelle testimonianze letterarie e nei segni visivo- oggettuali; il regno ed i mussulmani.
Per favorire la partecipazione al convegno sono state assegnate ben 51 borse di studio, di cui 15 offerte a giovani studiosi europei dallo sponsor ufficiale della manifestazione, il Gruppo Italgest, azienda del Mezzogiorno che si occupa di produzione di energia da fonti rinnovabili.
Altre 10 borse sono state offerte dal Comune di Barletta, 15 dalla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bari, 9 dal Centro di Studi Normanno-Svevi, 2 dal Rotary di Fasano.
Durante il convegno sono state presentate, oltre agli Atti delle sedicesime “giornate”, altre due pubblicazioni: la prima raccoglie gli Atti di un convegno di studio promosso dall’Abbazia barese di Santa Scolastica (Bari, 3-6 dicembre 2005), a cura di Cosimo Damiano Fonseca, dal titolo II monachesimo femminile tra Puglia e Basilicata; la seconda pubblicazione inaugura una nuova collana, i “Quaderni” del Centro di Studi Normanno- Svevi, in cui troveranno spazio monografie e saggi di singoli autori.
Il primo quaderno onora, ad un anno dalla scomparsa, la memoria di Giosuè Musca, insigne medievista, docente nell’Università di Bari e direttore del Centro di Studi Normanno-Svevi dal 1982 al 2002, con la riproposizione di un fortunato saggio già pubblicato nel 1981 e nel 2002, dal titolo Castel del Monte, il reale e l’immaginario.
Nella nota introduttiva Raffaele Licinio, curatore della collana, spiega con parole illuminanti la chiave di lettura di questo saggio: «Musca aveva studiato Castel del Monte negli anni in cui le interpretazioni simboliche e la “teoria dello gnomone” di Aldo Tavolare, che voleva quel castello “un tempio costruito dal sole”, non avevano ancora esaurito la loro utile, se non indispensabile, “spinta propulsiva”, non avevano ancora prodotto le mostruose deformazioni esoterico-neo templari dei nostri giorni». Un pericolo, quello del dilettantismo dilagante nella “lettura” del Medioevo, su cui lo stesso Musca sentì il bisogno di esprimersi in uno dei suoi ultimi scritti: «Accade di posare lo sguardo su scritti (libri o saggi o articoli giornalistici) i cui autori, vantando competenze che non hanno e utilizzando nozioni malamente orecchiate, si avventurano in interpretazioni fantasiose che fanno riferimento a conoscenze dubbie o spericolate o addirittura ermetiche o cabalistiche, senza una adeguata conoscenza delle fonti o avvalendosi di fonti che tali non sono, ma esperimenti letterari o peggio».

La “giornata” modugnese del 12 ottobre 

Il 12 ottobre il convegno si è spostato a Modugno con un ricco calendario di eventi che hanno avuto luogo in mattinata nel Palazzo della Cultura, il pomeriggio nel casale di Balsignano. Le relazioni degli studiosi sono state precedute dal saluto delle autorità. Dopo l’introduzione di Cosimo Damiano Fonseca, accademico dei Lincei, ordinario di Storia medievale nell’Università di Bari e vicepresidente del Centro di Studi Normanno-Svevi, sono intervenuti il Sindaco di Modugno Pino Rana e l’assessore alla Cultura Michele Trentadue, che, dopo aver richiamato alcune vicende storiche del casale di Balsignano, hanno sottolineato l’importanza del sito ed hanno espresso il proposito di impegnarsi nel reperimento di fondi per il restauro e la valorizzazione dello stesso. Ha poi preso la parola Silvio Panaro, presidente della Camera di Commercio Italo-Orientale, per esporre il suo progetto, approvato anche dall’Università di Bari e finalmente prossimo alla realizzazione, di una fiera internazionale mediterraneo-federiciana che dovrebbe coinvolgere circa 200 comuni e varie province. La parola è dunque passata a due storici italiani che hanno affrontato temi specifici riguardanti il genere della letteratura di corte nel regno normanno, di cui si parla qui di seguito.
Dopo le due relazioni, Raffaele Macina, direttore della nostra rivista, ha fatto una comunicazione, con la quale egli ha ricostruito i momenti e le tappe più importanti dell’impegno, ormai quasi trentennale, di Nuovi Orientamenti, prima per imporre all’attenzione il Casale di Balsignano e poi perché fossero avviati i primi interventi di salvaguardia e di recupero. In particolare, egli si è soffermato sull’avvio dei primi interventi curati dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio degli anni Ottanta; sulle diverse e fortunate campagne di scavo; sull’acquisizione di Balsignano nell’anno 2000 al patrimonio comunale.
Infine, Macina ha sottolineato l’importanza regionale e nazionale di Balsignano, affermando che, nell’ambito della valorizzazione di questo importante bene culturale, bisogna richiamare su di esso l’attenzione di un pubblico sempre più vasto; in questo senso – egli ha concluso – la celebrazione a Modugno di una delle “diciassettesime giornate normanno-sveve” costituisce un momento fondamentale, anche per l’apporto di studio e di nuove ricerche che potrà venire dagli autorevoli storici protagonisti del convegno. Subito dopo c’è stato un intervento di Maurizio Triggiani, storico dell’arte medievale, che ha inquadrato Balsignano nella rete dei percorsi viari e del sistema degli insediamenti rurali e, dopo aver presentato le emergenze architettoniche del casale, ha illustrato alcuni dei risultati della più recente campagna di scavo eseguita nel- l’area della Chiesa di S. Maria.
La manifestazione pomeridiana a Balsignano ha riscosso un inaspettato successo di pubblico, costituito, oltre che dagli studiosi e dai congressisti, da un folto gruppo di ragazzi delle scuole elementari e medie di Modugno, accompagnati da genitori ed insegnanti.
Purtroppo non è stato possibile accedere all’area della corte del castello, dove è ancora attivo il cantiere di restauro, ma l’attenzione è stata completamente assorbita dalla “presenza” sul posto di un accampamento con guerrieri normanni.
Infatti per l’occasione l’Associazione culturale “Historia” di Bari ha allestito un accampamento militare normanno e messo in scena la cerimonia di investitura di un cavaliere ed un combattimento tra soldati appiedati. L’Associazione “Historia” si occupa di rievocazioni storiche dal 1998 operando su tutto il territorio nazionale e da qualche anno collabora anche con il Centro di Studi Normanno-Svevi. «Quello che facciamo – ci spiega il presidente dell’associazione Stefano Latorre – è ricostruire il passato e portarlo tra la gente. Svolgiamo un ruolo didattico e contestualmente riusciamo ad attrarre l’attenzione sui siti dove operiamo, con il risultato di farli conoscere e di contribuire alla loro valorizzazione. La ricostruzione del passato che noi operiamo si basa sempre su fonti iconografiche, archeologiche e storiche, anche se con tutti i limiti del caso. A questo punto è necessario aprire una parentesi sulla archeologia sperimentale, che in Inghilterra si è sviluppata già dagli anni Ottanta. Gli Inglesi si sono accorti prima degli altri che la teoria è utile per analizzare le fonti, ma non è sufficiente, nel senso che poi è necessario “provare” le teorie sul campo. Ad esempio, si sono occupati dei trabucchi, hanno ricostruito fedelmente questa macchina da guerra, che ha la caratteristica di non poter essere spostata, ne hanno studiato la gittata, hanno costruito un muro con tecniche medievali per capire quale fosse l’efficacia in base al peso dei proiettili. Ne hanno ricavato una serie di dati che era possibile ottenere solo attraverso la pratica. Lo stesso discorso si può fare per altri oggetti della vita materiale e della tecnologia militare, ad esempio i trattamenti della ceramica, l’utilizzo delle scarpe, il peso della spada, l’uso della lancia, le varie forme degli elmi, e così via. Il nostro contributo vuole essere da un lato di collaborazione con gli studiosi per quanto riguarda la sperimentazione pratica dei risultati delle ricerche, dall’altro di divulgazione immediata degli stessi contenuti ad un pubblico più vasto». Molto interessante è anche il progetto di valorizzazione di Balsignano che Stefano Latorre ha in mente: «Il sito di Balsignano non ha ampie strutture edilizie, ma presenta ugualmente buone potenzialità dovute alla disponibilità di una vasta area all’aperto di proprietà comunale. Coinvolgendo le altre associazioni presenti su Modugno che abbiano interesse a far rivivere il castello, si potrebbe senza grosse difficoltà creare un circuito di turismo didattico e turismo storico-culturale. D’inverno si potrebbero utilizzare gli spazi come sede per laboratori o corsi. La cosa importante in un contenitore culturale di questo tipo, fuori dal centro abitato, è infatti garantire una continuità d’uso, altrimenti non c’è speranza di salvarlo dal degrado. In occasioni particolari potrebbero essere anche organizzati eventi per un pubblico più “casereccio”, per esempio per la festa del santo, per la Pasquetta, e così via». Che Latorre abbia buoni motivi di essere ottimista per il suo progetto lo dimostra il fatto che a Balsignano l’accampamento normanno con i suoi guerrieri sia stato letteralmente “preso d’assalto” dal pubblico incuriosito ed interessato. In particolare, la riproposizione della cerimonia di investitura di un cavaliere normanno è stata seguita dal numeroso pubblico presente in religioso silenzio, così come grande è stato l’interesse per il duello fra due cavalieri che ha concluso la manifestazione.

Le due relazioni della giornata modugnese

Glauco Cantarella, dell’Università di Bologna, ha esposto nella sua relazione (“La cultura di corte”) la tesi che il regno di Sicilia non conosca una cultura curiale articolata e complessa come quella espressa in Inghilterra durante il regno di Enrico II Plantageneto. Fa eccezione il grande Ugo Falcando, in cui si ritrova la summa di ciò che si potrebbe desiderare da un’opera di corte: narrazione politica, pluralità di protagonisti, analisi dei costumi, informazioni sui retroscena, eleganza stilistica, consapevolezza di costruzione, in una parola, coscienza piena di sé. Ma egli costituisce appunto una eccezione. La norma è rappresentata da scrittori quali Malaterra, Alessandro di Telese, Maione. Bisogna prendere atto che la cultura di corte nell’Italia normanna è cultura eminentemente politica. La cultura non ha apparentemente una valenza di carriera, non è cioè intesa come utile a scalare un cursus honorum, sia pure un cursus honorum molto particolare e fondamentalmente secondario come quello dei letterati, quindi non viene praticata: del resto, perché scrivere se quanto viene scritto senza una committenza preventiva non viene preso in considerazione da nessun protettore?
Invece in Inghilterra nel regno del Plantageneto sono molto ampie le possibilità per un letterato che ha seguito gli studi universitari a Parigi, ma anche a Bologna, di trovare il giusto impiego in considerazione delle proprie competenze, anche perché può contare sulla compresenza e concorrenzialità di più gruppi di potere. Questo consente di avvicinare la cultura di corte inglese più a quella comunale italiana che a quella del regno normanno di Sicilia. Quest’ultima è anche dissimile da quella francese e da quella dell’impero del Barbarossa. Insomma, ognuna di esse presenta specificità al di là del fatto che si possa constatare la compresenza di opere che aderiscono allo stesso genere, il genere curiale appunto. La cultura di corte è scrittura di corte e insieme scrittura per la corte, è un universo di autorappresentazione che codifica delle regole nelle quali si autoriconoscono il destinatario, il committente e lo scrittore, vale a dire che costituiscono la trama sulla quale si intesse l’ambiente dorato ed esclusivo (nel senso che esclude coloro che non vi sono stati ammessi) della corte.
Ora, in Sicilia il solo fatto di scrivere manifesta già l’avvenuta cooptazione. Goffredo Malaterra è lo scrittore di corte dell’età di Ruggero I, la sua condizione è frutto della selezione operata preventivamente dal patrono.
La scrittura promuove perché rende compartecipi dell’aura di privilegio dei circoli esclusivi in cui ci si è trovati proiettati con fatica e fortuna, operando una vertiginosa scalata sociale. La scrittura è quindi segno di promozione, ma segnala anche la “naturale”, per così dire, appartenenza al sistema di corte.
E questo anche il caso di Romualdo Salernitano. Egli è un uomo di corte fino alle unghie, un politico consumato capace di passare indenne diverse stagioni. Egli appartiene al sistema della corte siciliana non per le sue competenze retoriche o dialettiche, ma per le sue capacità politiche, egli è esperto conoscitore delle regole superiori della corte.
Per questo il suo lungo racconto delle trattative di Venezia fra papa, imperatore, Regno di Sicilia e Comuni deve essere considerato un documento fortemente rappresentativo della cultura di corte di Guglielmo II. A Romualdo è stato assegnato il ruolo di plenipotenziario del re nella maggiore vicenda politica della sua epoca, lo scisma e le guerre tra papato ed impero. Egli quindi appartiene già alla corte ed è ai suoi pari, i diplomatici della corte, che si rivolge, per avere la loro approvazione e di conseguenza quella del re. Non attraverso l’uso di un procedimento adulatorio, ma attraverso l’impiego del linguaggio politico nel quale il Regno di Sicilia vuole rappresentarsi, all’esterno ed a sé stesso.
Ad esempio, Guglielmo II viene descritto con la qualifica di aiuto e difensore della chiesa, titolo già appartenente alla tradizione imperiale d’occidente, il che significa porlo sullo stesso piano dell’imperatore. Questo e molti altri particolari del racconto riflettono l’intenzione del re di essere riconosciuto come importante interlocutore della chiesa nello scacchiere italiano, al pari dell’imperatore.
Il consenso di Venezia rende ufficiale il nuovo rango a cui assurge il regno. Il Regno di Sicilia, insomma, è entrato a pieno titolo nell’empireo politico, non è più quella entità pericolosa ed illegittima che tutti cercavano di demolire e che combatteva contro tutti. Di più. Il regno viene rappresentato come garante della pace, e può occuparsene perché non è impegnato a combattere i propri sudditi. Insomma, è già formata l’immagine che si avrà del regno di Guglielmo dopo la sua morte, di cui si trova espressione nello stesso Falcando. Romualdo ne è il primo testimone, o forse il primo costruttore? Romualdo prepara preziosi strumenti politici, che non riflettono necessariamente gli accenti reali delle giornate veneziane, ma sono verosimili, e offrono materiale alla discussione ed alla condivisione di corte.

Ovviamente in Romualdo c’è molto altro. La sua scrittura si rivela complessa, sottile e non priva di sorprese. In particolare si vuole accennare al livello dell’intrattenimento, della facetia. La facetia, la regola principe dell’attitudine curiale, componente essenziale della elegantia dell’uomo di corte, non può mancare in un’opera curiale, e difatti qua e là si manifesta, ed in maniera esemplare nella pagina sullo scontro tra i plenipotenziari di Guglielmo II e il doge. Siamo ai livelli del miglior Walter Map e avremmo già dovuto accorgercene da un pezzo se soltanto Romualdo non fosse stato escluso dal novero degli scrittori di corte. Non siamo neppure troppo lontani da Falcando e da Malaterra. C’è tuttavia una differenza importante, quella della contemporaneità agli eventi: queste pagine sono scrittura di corte viva, cultura politica in atto, un’esperienza dopotutto abbastanza rara.
Fulvio Delle Donne, dall’Università di Napoli, ha tenuto la seconda relazione (“Liturgie del potere: le testimonianze letterarie”), puntando l’attenzione sulle descrizioni letterarie delle incoronazioni di Ruggero II, Guglielmo I e Guglielmo II, per cercare di capire da quali particolari della loro liturgia siano stati maggiormente colpiti gli autori. Egli inizia con un testo molto eccentrico del 1230 circa, di Bernardo Tesoriere, che ci racconta come il re di Francia Luigi, spinto dal vento, approdi sulle coste della Sicilia e venga accolto in maniera molto onorevole da Ruggero, ma, prima di ripartire, venga indotto con l’astuzia a porre una corona sul capo di Ruggero, che fino a quel momento è stato signore di Puglia e di Calabria, e che così diviene re.
La descrizione dell’incoronazione di Ruggero II in Bernardo Tesoriere, come nella versione latina del secolo successivo di Francesco Pipino, è condotta in maniera senz’altro fantastica, sconfinando quasi nella novellistica. La narrazione si colloca a distanze geografiche e cronologiche molto ampie e di quell’evento restituisce un’eco lontana, tanto lontana da perdere ogni connessione con la realtà storica. Al narratore non interessa del resto fornire informazioni precise, ma creare immagini suggestive, riproducendo probabilmente l’impressione che doveva aver generato, riverberandosi nel tempo, l’evento dell’incoronazione del re normanno.
Come si sia sviluppata la leggenda (presente anche in altre fonti di ambito franco-inglese) che ad incoronare Ruggero II fosse stato il re di Francia è difficile dirlo, può darsi in connessione con gli accordi che ci furono tra i due a proposito della crociata. Comunque, si può ipotizzare che abbia sortito un proprio effetto anche la notizia che a porre la corona sul capo di Ruggero II non fosse stato un rappresentante della chiesa. Su questo punto bisogna volgere lo sguardo ad altre fonti. Falcone Beneventano, assai critico nei confronti del potere normanno, scrive che chi pose la corona sul capo di Ruggero II fu il principe Roberto di Capua, verso cui però il re si dimostrò ingrato.
L’aneddoto riportato da Bernardo Tesoriere e da Francesco Pipino fornisce una ulteriore caratterizzazione della problematica legittimità dell’incoronazione, raccontando dell’astuzia usata dal normanno. Anche Falcone parla di astuzia a proposito di un sotterfugio escogitato dal sovrano di passaggio per Napoli nel 1140 per fare colpo sulla cittadinanza e dimostrare, quasi con un gioco di prestigio, la propria grandezza. Solo che nel primo caso l’astuzia è rivolta non a stupire, ma ad aggirare l’ostacolo istituzionale che si frappone all’incoronazione, quello della sua legittimità.
Del resto, Ruggero II studiò attentamente la maniera per risolvere il problema della legittimazione del regno anche da un punto di vista teorico, come dimostra un passo di Alessandro di Telese, sostenitore e celebratore del potere normanno, in cui egli spiega come la monarchia si basasse su una antica tradizione regia già praticata in Sicilia. Essa dunque non veniva improvvisamente inventata, ma semplicemente restaurata; non si trattava di sovvertire le istituzioni, ma di riportarsi ad un antico ordine.
Dunque, i racconti del Tesoriere e di Pipino costituiscono senz’altro una spia di come l’incoronazione di Ruggero II potesse essere recepita negli ambienti lontani dalla corte normanna e, per converso, in quelli dei suoi maggiori sostenitori come Alessandro di Telese.
I racconti del Tesoriere e di Pipino si soffermano anche su un altro particolare, che pure costituì il riverbero leggendario di un aspetto che dovette colpire l’immaginario collettivo, ovvero quello della ricchezza di Ruggero IL La liturgia dell’ostentazione della ricchezza e dello sfarzo viene confermata esplicitamente dal racconto della cerimonia di incoronazione fatto da Alessandro di Telese.
Evidentemente l’ostentazione della ricchezza costituiva la principale “insegna di potere” che Ruggero II intendeva mostrare, o almeno quello che dovette essere maggiormente recepito dagli spettatori e che poi si riverberò nel tempo fino a Bernardo Tesoriere ed a Francesco Pipino. Come sembra probabile, il nuovo sovrano intendeva effettuare una dimostrazione di potenza tale da rendere palese che il titolo di re gli spettasse senz’altro. Insomma, ammirazione, stupore e timore, queste furono le impressioni suscitate con lo scopo di sortire la sensazione di eccezionalità connessa con l’idea di un potere destinato a diventare sacro e carismatico. Così come in altre occasioni, per ottenere lo stesso effetto, aveva puntato sulla visibilità esemplare delle punizioni e dei supplizi.
Secondo quanto evinciamo soprattutto dalla descrizione di Alessandro di Telese, Ruggero II ricercò la spettacolarizzazione dell’incoronazione. Prassi diversa sembra che abbiano seguito i suoi successori, o almeno la ricezione dell’evento non fu la stessa.
Romualdo Salernitano, a proposito della incoronazione di Guglielmo I, avvenuta nel 1154, fa una descrizione asciutta e semplice. Non possiamo dire con certezza quali motivi abbiano spinto Romualdo a questa linea narrativa, ma va detto che Guglielmo I tendeva a sottrarsi alla vista dei propri sudditi, mirando ad ammantare di carisma e mistero il suo ruolo, secondo una prassi forse di derivazione bizantina. Ugo Falcando conferma questo tratto dell’inaccessibilità del sovrano. Anche le ricchezze che Ruggero II tendeva ad ostentare divennero qualcosa di privato. Insomma tutto doveva rimanere all’interno della reggia, rinunciando non solo agli aspetti visibili della liturgia del potere, ma anche alla stessa gestione pubblica del potere.
Tuttavia, nel momento della congiura del marzo 1161, anche Guglielmo I fu costretto a modificare la prassi del suo comportamento: la regalità che egli aveva trasformato in invisibile ed inattingibile venne in quell’occasione resa pubblica ed offerta al popolo, come raccontano Romualdo e Ugo Falcando.
La ricerca dell’amore dei sudditi diviene invece la strategia del potere adottata da Guglielmo II. Lo stesso Falcando non tarda a segnalarlo già a partire nel racconto della sua incoronazione nel 1166, in cui descrive la gioia del popolo e la cavalcata del sovrano per le strade della città.
Se Ruggero II ed il suo celebratore Alessandro di Telese, per dare espressione alla carismaticità del potere regio, si erano serviti dell’oro e dell’argento, Guglielmo II e Falcando si servono soltanto della presenza e del- l’aspetto corporeo della sovranità. Simile da questo punto di vista è pure la descrizione fatta da Romualdo Salernitano, che si sofferma soprattutto sulla pubblica compartecipazione della gente alla liturgia del potere, dall’acclamazione dell’assemblea alla letizia festante dei sudditi. La liturgia seguita per l’incoronazione di Guglielmo II dovette essere simile a quella celebrata in occasione dell’incoronazione di Tancredi di Lecce, avvenuta a Palermo nel 1190. Tuttavia essa viene rappresentata con ricchezza di particolari, ma in maniera totalmente capovolta nella descrizione data da Pietro da Eboli. La sacralità della liturgia viene ribaltata come in una rappresentazione carnevalesca, il re viene additato nella sua deformità che lo pone al di sotto degli uomini, proprio nel momento in cui dovrebbe stare al di sopra.
Pietro da Eboli è naturalmente autore raffinato e scaltro e sa usare altri toni per descrivere l’incoronazione di Enrico VI, nel 1191. Enrico VI è pero il signore al quale Pietro da Eboli dedica la sua opera, facendosi interprete di un nuovo modo di rappresentare il potere. Nella caratterizzazione dei sovrani normanni gli autori esaminati si rifacevano ancora a criteri valutativi incentrati soprattutto sugli aspetti visibili e tangibili della fisicità e della corporeità, ma con l’avvento della dinastia sveva i moduli rappresentativi della liturgia del potere tendono a connotare sempre più la regalità con i tratti arcani della ieraticità mistica, secondo gli schemi di una nuova propaganda.

Previsto per il prossimo anno l’agibilità del castello di Balsignano

A colloquio con l’architetto Emilia Pellegrino e con le archeologhe Maria Rosaria De Palo e Paola Piliego sui nuovi ritrovamenti venuti alla luce durante gli attuali lavori di restauro e di scavo. Affiorata all’interno del castello un’abside che fa pensare ad origine ancora più antiche del casale

Anno XXVIII N. 124 Agosto 2006
Maria Franceschini

Da una visita nel cantiere attivo del casale di Balsignano abbiamo potuto rilevare che i lavori, “in corso” ormai da diversi anni, sono giunti, se non alla conclusione, ad un punto in cui si può riconoscere il futuro assetto degli edifici e dello spazio racchiuso nella corte del castello: un traguardo perseguito con costanza e che negli ultimi tempi è sembrato più vicino grazie anche all’intervento finanziario del Comune di Modugno, come ci spiega Emilia Pellegrino, architetto direttore coordinatore della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le Province di Bari e Foggia, progettista e direttore dei lavori di restauro nel casale di Balsignano.

E.P.: «I primi lavori della Soprintendenza a Balsignano, finanziati dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con il programma “Itinerari turistici nel Mezzogiorno” per un importo di 250 milioni di lire, si svolsero tra il 1990 ed il 1991 e compresero il restauro e lo scavo nella chiesa di S. Felice e nell’area esterna ad essa prospiciente, il consolidamento ed il rifacimento delle coperture della chiesa di S. Maria, uno scavo all’interno nell’aula meridionale della stessa chiesa e dei saggi nell’aula settentrionale e nelle adiacenze esterne. Fu inoltre eseguito un paziente lavoro di restauro del tratto di muro di cinta compreso tra l’abside di S. Maria e la provinciale Modugno-Bitritto. Dopo una pausa di qualche anno, a partire dal 1998, abbiamo ripreso i lavori con un pronto intervento di puntellamento del castello, che versava in condizioni assolutamente precarie e di pericolosità, a cui sono seguiti, nel corso degli anni successivi, opere di consolidamento dello stesso castello. Dopo due lotti riservati solo al consolidamento abbiamo cominciato ad operare, nei due lotti più recenti, anche nell’ambito della ricomposizione delle parti crollate. Con l’ultimo lotto, riguardante l’esercizio finanziario 2005, che è andato in appalto la prima settimana di maggio, dovremmo riuscire a completare quasi interamente il restauro del castello: mancherebbero solo le rifiniture e gli impianti, di cui è prevista la predisposizione. Spetterà poi al Comune attuare le procedure per gli allacci di luce, acqua, telefono e quant’altro».

Da dove provengono i fondi con cui sono stati eseguiti i lavori al castello?

E.P.: «I fondi provengono dai programmi ordinari del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che, su proposta della locale Soprintendenza, ha assegnato quasi ogni anno a Balsignano una somma, non cospicua, ma che ci ha consentito una continuità di interventi1. A questi fondi si è aggiunto nel 2005 un finanziamento di 250.000 euro erogato dal Comune di Modugno, che abbiamo destinato esclusivamente ad una serie di interventi previsti per la chiesa di S. Maria: la ripresa delle indagini archeologi- che all’interno ed all’esterno, il restauro delle murature, la musealizzazione dello spazio interno ed esterno. Attualmente sono stati completati gli scavi e stiamo avviando la fase di restauro delle murature e di musealizzazione».

Nel castello, dopo il consolidamento delle murature, l’intervento si è concentrato sulla ricostruzione della torre occidentale, da tempo crollata. A descriverci le tecniche impiegate è l’ingegnere Pietro Ciammarusti dello studio C.N.C. di Bari, consulente progettista e direttore dei lavori per il consolidamento e le nuove strutture.

P. C. : «Le tecniche adottate seguono una tradizione ormai consolidata nella pratica del restauro.
Anzitutto è stata rifatta la volta del primo piano in pietra e malta di calce, impiegando i conci provenienti dagli stessi crolli e seguendo le tracce della volta originaria. Anche per la ricostruzione del muro di facciata sono state utilizzate le stesse pietre recuperate dal crollo, assottigliate ed inglobate verso l’interno in una paretina sottile in calcestruzzo sorretta a sua volta da una intelaiatura in acciaio. Lo spessore totale della nuova tamponatura è così ridotto ad una ventina di centimetri. Se all’interno la riconoscibilità della parte di nuova costruzione è immediata per l’uso di materiali moderni, all’esterno l’impiego dei conci di pietra originari poteva indurre a fraintendimenti, così abbiamo scelto di arretrare il piano della parete realizzata ex novo rispetto a quello delle murature preesistenti, consentendo la piena leggibilità del fuori piombo che ha subito la struttura prima del crollo. Circa le bucature da aprire sulla nuova parete, necessarie a dare luce ed aria agli ambienti, dal momento che non si conosceva la localizzazione delle aperture originarie e che di conseguenza qualunque soluzione sarebbe risultata arbitraria, si è preferito scegliere un segno netto costituito da una geometria di asole verticali, lunghe e strette, da chiudere con lastre trasparenti in materiale sintetico o in cristallo. Possiamo immaginare l’effetto suggestivo, di “lanterna”, che avrà questo lato del castello di sera quando sarà illuminato dall’interno. Infine, la copertura della torre è stata realizzata con un solaio piano in acciaio posto al di sopra della porzione di volta esistente, la quale, essendo priva dell’altra metà spingente, è stata sostenuta con dei sistemi di tiranti nascosti».

L’architetto Pellegrino ribadisce le ragioni delle scelte effettuate.

E.P.: «Abbiamo voluto utilizzare per la parte di nuova costruzione lo stesso materiale, la pietra, per evitare un contrasto troppo brusco, sgradevole, con il resto del l’edificio, caratterizzato dall’uso di pietra a vista, ma l’abbiamo trattata in maniera diversa, per rendere l’intervento distinguibile. Al centro dell’ambiente al primo piano della torre campeggia un arco diruto appartenente ad una precedente configurazione. Abbiamo rinvenuto anche altri tratti di muratura, ma purtroppo dalle poche tracce esistenti non era possibile fare ipotesi più precise sulle fasi edilizie, così ci siamo astenuti da qualsiasi tentativo di ricostruzione ed abbiamo operato in una direzione che potremmo definire di musealizzazione della parte crollata. Devo dire che siamo stati molto combattuti sul tipo di intervento da effettuare in questa zona: fino all’ultimo abbiamo avuto la tentazione di lasciarla scoperta, con una sistemazione “a rudere”, perché temevamo che questa ricostruzione avrebbe tolto al monumento gran parte della sua suggestione. D’altronde bisogna tener presente che il problema principale è quello della conservazione di ciò che è giunto fino a noi. Da qui la decisione di coprire e chiudere, nella maniera meno invasiva possibile».

Tra le altre novità che abbiamo ritrovato nel castello ne segnaliamo due. La prima è che sono state restaurate delle scalette che consentiranno il collegamento tra i due livelli dal Pintemo. La seconda è che il fortunato esito di una campagna di scavo nell’ ambiente centrale del piano terra ha convinto i progettisti a lasciare visibili le testimonianze venute alla luce ed a rendere praticabile l’area mediante una passerella. Chiediamo alla dottoressa Maria Rosaria Depalo, archeologa della Soprintendenza archeologica, responsabile degli scavi nel castello, di illustrarci i ritrovamenti.

M.R.D.: «Gli scavi si sono svolti di pari passo con le opere di restauro e consolidamento delle fondazioni del castello. Abbiamo scavato all’interno ed anche all’esterno, a ridosso delle murature del castello, dal lato della corte. Negli ambienti al piano terra sono state ritrovate strutture murarie che si riferiscono a fasi del casale precedenti a quelle attualmente visibili. L’interpretazione delle strutture rinvenute è piuttosto complessa e mi ri servo di studiarle ancora e raccordarle alle vicende storiche del sito.
Posso solo anticipare che, come è noto, il casale ha avuto una lunga storia, fatta di distruzioni e di ricostruzioni. Le strutture murarie possono essere messe in relazione con alcuni grossi eventi distruttivi attestati dai documenti: vi sono infatti consistenti tracce di crolli con livelli di incendio molto significativi. In particolare, all’interno dell’ambiente centrale del piano terra è venuto alla luce un grosso muro che ha subito un evento di crollo fortemente drammatico, forse causato da un terremoto, in quanto presenta una rotazione molto accentuata. È suggestiva questa lettura di muri, crolli, di fatti distruttivi e di ricostruzioni, che documenta le vicende storiche che hanno interessato il casale. È stata anche rinvenuta una muratura a forma di emiciclo, che sembrerebbe potersi interpretare come un’abside: quindi probabilmente un ulteriore edificio di culto insisteva nell’area del castello. Per determinare le datazioni di tali strutture sarà indispensabile relazionarle allo studio dei materiali ceramici. È stata infatti ritrovata una notevole quantità di ceramica di epoca medievale, da interpretare come vasellame d’uso degli abitanti del casale, sia ceramica di uso domestico, povera, nuda, acroma, che vasellame più pregiato da mensa, ceramica decorata, quindi, invetriata, monocroma e policroma, e smaltata, databile tra il XII ed il XIV secolo».

I lavori al castello consentiranno finalmente al suo interno lo svolgimento di nuove funzioni. A proposito della destinazione futura, quali attività giudica compatibili con l’edificio?

E.P.: «Abbiamo certamente pensato ad un riutilizzo perché solo questo può garantire la conservazione del bene e, al tempo stesso, che non vadano vanificati i lavori di restauro. Comunque non ci siamo addentrati fino alla determinazione di una funzione specifica: spetterà al Comune, che è il proprietario, definire meglio come vorrà utilizzarlo e reggere, insieme alle Associazioni culturali che già operano per la valorizzazione di Balsignano, il peso di questo utilizzo, fare in modo che questo spazio diventi vivo, vigilare affinché non si verifichino più, come purtroppo accade continuamente, atti di vandalismo e di depredamento. Gli ambienti non sono molto grandi, ma saranno senz’altro possibili funzioni di tipo culturale e museale, ad esempio, allestimento di piccole mostre e di un museo del monumento stesso, della sua storia, del suo restauro, piccole manifestazioni ed incontri».

Riguardo la chiesa di S. Maria, ha parlato nella premessa di musealizzazione dello spazio interno ed esterno. In che cosa consisterà?

E.P.: «In sostanza, mentre nell’aula settentrionale verrà ripristinato il piano di calpestio, in quella meridionale, cioè l’aula absidata, verrà realizzato un percorso di visita con una passerella che, attraversando una porta ora murata, proseguirà all’esterno, scavalcando l’area oggetto dell’ultimo scavo. Ci sembrava interessante infatti lasciare in vista all’interno, oltre alle tombe ritrovate, il banco roccioso affiorante, la cui conformazione, in ripida discesa verso la lama, spiega le vicissitudini costruttive dell’edificio religioso».

Sono previsti restauri degli affreschi?

E.P.: «Non sono previsti per il momento. Purtroppo, essendo l’importo a disposizione limitato, abbiamo dovuto fare delle scelte ed abbiamo privilegiato i lavori necessari ad avere un quadro più completo della situazione, dando la precedenza ad interventi che consentissero subito la fruibilità della chiesa. I completamenti, il restauro degli affreschi ed altri interventi localizzati si potranno sempre fare in seguito».

Rivolgiamo ora la nostra attenzione all’ampio scavo effettuato nell’ area esterna antistante il corpo di fabbrica absidato, laddove, in base alle conclusioni tratte nella campagna di indagini condotta nel 1991, doveva localizzarsi la navata di un più vasto ed antico edificio di culto. Chiediamo alla dottoressa Paola Piliego, archeologa, responsabile degli scavi nella chiesa di S. Maria sotto la direzione della Soprintendenza archeologica, di descriverci le strutture rinvenute.
Dobbiamo premettere che la complessità dei ritrovamenti ha richiesto l’intervento di altri collaboratori. In particolare, il rilievo e la mappatura delle superfici murarie della chiesa di S. Maria sono state effettuate dallo studio dell’ingegner Sabino Mazzacane con la consulenza del dottor Maurizio Triggiani, con lo scopo di realizzare una stratigrafia delle murature. Il rilievo del casale è stato eseguito dall’architetto Paolo Perfido dell’Università di Bari.

P.P.: «Gli studi sugli esiti degli scavi non sono ancora stati completati, quindi è possibile dare solo delle anticipazioni. Abbiamo iniziato lo scavo a settembre dell’anno scorso all’interno dell’ambiente absidato, dove sono emerse delle tombe, poi si è scavato nell’aula settentrionale, dove erano stati effettuati solo saggi, ed anche qui sono venute alla luce delle sepolture, attualmente ancora sottoposte ad analisi. Infine si è passati all’area esterna, dove nel 1991 i saggi avevano interessato le pareti est e sud. Qui è stato individuato un muro che corre parallelo alla parete sud, quella articolata da arcate con resti di affreschi, per intenderci. Tale muro, che era stato originariamente interpretato come unico, è invece composto da due muri affiancati e reca un frammento leggibile di affresco. Dello spazio delimitato dalla parete sud e dal muro rinvenuto abbiamo trovato il livello della pavimentazione. Successivamente si è deciso di ampliare lo scavo più possibile verso ovest per cercare di capire meglio l’organizzazione di questo ambiente ed individuare le fasi di utilizzazione dell’edificio, che si annunciavano più numerose di quanto poteva prevedersi. È venuto così alla luce un muro di chiusura dell’ambiente, costruito però in una fase successiva. Vale a dire che lo spazio della navata originariamente si estendeva ancora di più verso ovest e che questo muro lo ha tagliato non permettendo più l’accesso all’esterno. Un altro muro parallelo al precedente è affiorato più avanti, ma lo scavo è stato interrotto. Insomma, la chiesa doveva proseguire verso occidente. Nell’area esterna all’ambiente principale abbiamo individuato anche alcune sepolture».

Rimane ancora valida l’ipotesi che questo ambiente fosse la navata della chiesa più antica?

P.P.: «Potrebbe essere, probabilmente si riconduceva al corpo absidato, al cui interno sembrano potersi localizzare le parti più antiche. Ma tutto questo al momento è solo una ipotesi. Di sicuro le fasi costruttive dell’edificio furono diverse e questo avvicendarsi di strutture nel tempo rende più difficile l’interpretazione. L’indagine stratigrafica in corso ci permetterà di capire meglio la successione degli eventi, ma certamente nuovi dati potrebbero venire da ulteriori scavi condotti sia nella zona occidentale che verso sud, oltre il muro di cinta».

Infine chiediamo all’architetto Pellegrino se si possono prevedere dei tempi per l’ultimazione dei lavori.

E.P.: «Per il completamento dei lavori del lotto finanziato dal Comune bisognerà aspettare qualche mese, all’incirca fino al novembre 2006. La chiesa non sarà pienamente funzionale, ma sarà probabilmente visitabile. La cospicua entità dei ritrovamenti archeologici ci ha infatti costretti a modificare il quadro progettuale ed abbiamo dovuto sottrarre alcune operazioni per dare spazio agli scavi. Sarà quindi necessario un lotto di completamento definitivo. Per il castello ci vorrà almeno un altro anno, ma anche qui, come ho già detto, saranno in seguito ancora necessari lavori di rifinitura e gli impianti. Ci stiamo attivando con il Comune affinché possa trovare delle ulteriori risorse economiche per portare a compimento l’opera di restauro del casale, utilizzando eventualmente fondi regionali. Lo stanziamento della somma di 250.000 euro è stato meritorio, ma non è sufficiente perché il casale è molto grande, c’è il muro di cinta e tutto lo spazio all’interno di esso. Purtroppo il Ministero, al momento, possiede delle risorse limitate: noi andiamo avanti con queste piccole somme della programmazione annuale, ma finora non abbiamo avuto un grosso importo che ci permettesse di dare un impulso a realizzare un intervento completo. Andiamo avanti, ma sempre, come dire, con le briciole».

Nuove fonti per la storia di Balsignano

Quella che è stata sempre ritenuta la Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, collocata all’interno del Casale, in realtà, era dedicata alla Madonna di Balsignano

Anno XXVI N.114 Settembre 2004
Claudia De Liso e Maria Franchini

Nel Medioevo la chiesa sita all’interno della corte del castello di Balsignano era intitolata a S. Maria di Costantinopoli, secondo quanto sostenuto da Giuseppe Ceci in base alla lettura di un documento del 12291.
In tempi più recenti, nelle fonti databili dalla fine del Seicento, così come nella tradizione popolare, la chiesa viene indicata come S. Maria di Balsignano, mentre un’altra cappella situata nelle vicinanze assume il titolo di S. Maria di Costantinopoli.
Nel diario della visita pastorale di Monsignor Carlo Loffredo a Modugno, dell’aprile del 1695, sono menzionate tra le chiese situate fuori dell’abitato di Modugno la cappella di S. Maria di Costantinopoli dell’Arciprete Maffei e la cappella di Balsignano2. Più dettagliate informazioni si ricavano da un documento contenente le risposte ad un questionario ordinato dall’Arcivescovo di Bari nel 1774. Tra le chiese dislocate nel territorio di Modugno sono nominate la cappella di S. Maria di Costantinopoli e la cappella di S. Maria di Balsignano; inoltre si legge che: «La cappella di S. Maria di Costantinopoli da Signori Dominichiello n’è cappellano D. Rocco Domini- chiello. La Cappella di S. Maria di Balsignano ha il titolo di Arcipretura in persona del Sign.re D. Giovanni Ciaula»3. I Dominichiello quindi possedevano la cappella di S. Maria di Costantinopoli.
Da un atto rogato dal notaio Pietro Massari di Modugno nel 1760 si evince che un giardino di proprietà del notaio Dominichiello era situato proprio di fronte al fondo murato di Balsignano4.
Resti di una cappella sono tuttora esistenti a nord- ovest del lotto triangolare di terreno adiacente all’attuale ingresso al casale. Tale striscia di terra un tempo era parte integrante del fondo posto sull’altro lato della strada provinciale e rimase isolata proprio a seguito della sistemazione della Modugno-Bitritto avvenuta negli anni 1959-60.
Sulla suddetta cappella sono ancora leggibili tre epigrafi. Quella scolpita sull’architrave della finestra del fianco sud-occidentale riporta il nome del committente e l’intitolazione del luogo sacro, consentendo di identificare questa cappella come la S. Maria di Costantinopoli ricordata nei documenti:

VIRGINIS AD LAUDEM
N. DOMINICHIELLO EREXIT.

Sull’architrave del portale della facciata nord-ovest un’altra epigrafe reca la data del 1759, ricordando probabilmente un intervento di ristrutturazione o ricostruzione della cappella, dal momento che la prima menzione della stessa risale, come si è visto, alla fine del Seicento:

SACRA GERENTI GRATIS
HIC MANDVCARE LICEBIT A. D. 17595.

Una terza epigrafe è posta sullo stesso portale, forse incompleta sul lato destro:
FERMATI MESSAGGIER
BEATA NON SIA IL DIR DIO TI SALVI MARIA.

I registri della visita pastorale di Monsignor Baldassarre Mormile a Modugno del 1815 riportano che l’Arcivescovo: «Visitavit Aediculas S. Luciae, B. M. V.s Costantinopolitanae de Familia Caterina, et B. M. V.s vulgo de Balsignano de Famiria Ruggi, et comen- dationis elogio donavit»6. Evidentemente la famiglia Catilina era succeduta nella proprietà del fondo ai Do- minichiello.
Ancora nel 1844 il Garruba ricordava che, tra le cappelle rurali dell’agro modugnese, vi era S. Maria di Balsignano, di padronato dell’antica ed estinta famiglia Ruggi d’Aragona, e S. Maria di Costantinopoli in Balsignano, di padronato della famiglia Catilina7. Una ulteriore conferma viene fornita da una fonte iconografica, ovvero una planimetria rappresentante il progetto di sistemazione della strada da Modugno a Bitritto redatta dall’ingegnere Giuseppe Revest nel 1877, che fotografa l’assetto delle proprietà nella zona:
la cappella è disegnata nell’attuale posizione ed è situata nel fondo appartenente agli eredi Catilina8. Riguardo la chiesa di S. Maria di Balsignano, le testimonianze raccolte, seppure frammentarie, consentono di farsi un’dea delle manifestazioni legate al culto in essa praticato, a partire dal Settecento fino alla seconda metà del Novecento.
Il primo proprietario di cui si ha notizia, Vito Nicola Faenza, lasciava in eredità nel 1760 una chiesa corredata di «campana, calice, camisa, messale, tovaglia apparata di rose con candelieri, ed altri simili addetti per servizio»9 ed imponeva agli eredi la celebrazione, nella stessa chiesa, di messe nelle domeniche di maggio10.
Nel 1825 il proprietario Benedetto Ruggi d’Aragona vendeva il fondo di Balsignano ai coniugi Alfonsi a condizione che essi continuassero a far celebrare nella chiesa una messa breve per ciascuna domenica del mese di maggio «in onore e gloria della Vergine Santissima sotto il titolo delle Grazie»11, da un sacerdote confessore del comune di Modugno che avrebbe dovuto somministare il sacramento dell’Eucarestia a tutti i fedeli che vi fossero convenuti «come era praticato dal signor Ruggi d’Aragona»12.1 coniugi acquirenti ed i loro eredi avrebbero dovuto versare uri elemosina al prete e riservargli per l’intera giornata il dovuto trattamento. Infine sarebbe stata cura dei nuovi proprietari dotare la chiesa della cera e delle suppellettili occorrenti, nonché provvedere alla manutenzione della stessa e della sacrestia13.
Secondo le notizie riportate da Nicola Trentadue junior, all’interno della chiesa era conservata un’effigie della Vergine oggetto di profonda venerazione. Si trattava di un dipinto di Maria sotto il titolo del Soccorso, di stile bizantino, che sembrava rimontare «al decimoterzo secolo dell’era cristiana»14. Il Trentadue narra che, secondo la tradizione, il dipinto era stato raccolto mentre era trasportato dalle acque del torrente che scorreva nella lama adiacente al casale e collocato nella vicina chiesa. I modugnesi riconoscevano a questa effigie molti miracoli ed in particolare «il miracolo della piova in tempo di siccità»15 in seguito a quanto era avvenuto nel 1828. In quell’anno, mentre Modugno era afflitta da una persistente siccità, si trovava a predicare la parola divina il missionario Antonio Masciari. «Al mirare egri lo stato doloroso dei Modugnesi, i quali, per aver ripetute volte inutilmente implorata coi lori voti la Divina clemenza, cominciavano a temere che fosse per arrivare una estrema penuria di viveri, la mattina dei 24 aprile pronunciò un energico e commovente discorso, con cui dimostrò che: “nei casi estremi non avvi altro rifugio che ricorrere alla protezione della Madre di Dio”, e quindi suggerì di prendersi da Balsignano il quadro della Vergine sotto il titolo del Soccorso, che colà si venera, e recarsi per tutta la città a fine di placare lo sdegno di Dio. Ed oh! L’efficacia dell’intercessione di Maria. Nel dì 26, ultima Domenica detto mese, non appena la processione, dopo avere girato il paese, traeva nella Chiesa fra i cantici interrotti da singulti e pianti, il cielo che nel corso di dieci mesi si era fatto di bronzo, ad un tratto si covre di nubi, e versa sul paese una dolce acquerugiola, che bastò a ravvivare le inaridite campagne, e rallegrare gli animi dei nostri concittadini, i quali attoniti dalla vista di sì prodigioso manifesto, per azioni di grazia resero fiumane di lagrime di tenerezza, e di consolazione»16.
Come ricorda Nicola Milano, un simile avvenimento si verificò anche nell’’anno 1908. Quando però fu riportato a Balsignano, il quadro, a causa di alcuni ceri lasciati accesi in chiesa, bruciò assieme all’altare ligneo. La popolazione modugnese ne fece realizzare nello stesso anno una copia17.
Ulteriori riferimenti al dipinto della Madonna ed all’altare si trovano nei diari della visita pastorale di Monsignor Ernesto Mazzella in Modugno dell’aprile del 1888: «Cappella in campagna di S. Maria di Balsignano. Si ritiene questa cappella di data antichissima, e che sia una delle superstiti dell’antica Modugno che era edificata in questa località. Essa trovasi racchiusa in una cinta di muro in fabbrica, in mezzo al quale vedesi pure ruderi di un antico monumento che ritienesi essere la chiesa principale di quei tempi. Ha un altare di legno inamovibile in stato molto depreziato, ed un antico dipinto della Madonna della Grazia che ha alcuni voti. Le pareti sono ornate di affreschi depreziati, che vuoisi siano di pennello greco; e il necessario pel servizio divino si rinvenne in condizione soddisfacente»18. La chiesa dovette rimanere in uno stato di abbandono per un certo periodo dal momento che il quadro, copia dell’antica effigie, fu conservato nella Chiesa Matrice fino al 1943, quando venne donato dall’arciprete Federico Alligni al nuovo proprietario di Balsignano, Tommaso Lacalamita19. Quest’ultimo si adoperò per restaurare la chiesa ed ottenerne la riapertura al culto, come attesta un documento di cui si riportano alcuni passi: «Il sottoscritto Tommaso Lacalamita.. .poiché domenica 13 Maggio 1945 ricorre la tradizionale festa della Madonna di Balsignano, chiede innanzitutto a codesta Curia Rev.ma il permesso per benedire la cappella e per la celebrazione di S. Messa ogni qualvolta occorrerà. In secondo luogo, volendo il sottoscritto riportare con pompa sul posto il quadro della Vergine domanda il nullaosta per la processione che percorrerà il seguente itinerario: Chiesa Madre – Via Carmine – P. Garibaldi – Corso Umberto 1° – Corso Cavour – Via Conte Stella – Via Piave – Contrada Balsignano»20.
Nel 1970 Nicola Milano scriveva che ogni anno nella seconda domenica di maggio si svolgeva ancora a Balsignano una sagra campestre in onore della Vergine21.
Dalla prima testimonianza del 1229, la chiesa di S. Maria di Balsignano è rimasta aperta al culto fino alla seconda metà del Novecento, cioè per un arco di tempo di più di settecento anni, anche se non si può escludere, anzi è probabile, che in alcuni periodi la frequentazione del luogo sacro abbia subito interruzioni.
L’abbandono degli ultimi anni ha portato alla dispersione di tutti gli arredi liturgici, al furto della pila dell’acqua santa e della lastra in pietra con croce greca scolpita a rilievo che la sormontava22, al tentativo di furto dell’altare ricostruito dopo l’incendio del 1908 e degli affreschi meglio conservati di S. Lucia e del Santo Vescovo, mentre un degrado irreversibile colpisce gli affreschi che rivestono le pareti del più antico presbiterio. D’altro canto, gli scavi ed alcuni interventi di restauro, effettuati a partire dagli anni Novanta, potrebbero costituire i primi segnali di una rinnovata attenzione e l’avvio di una nuova fase di rivitalizzazione della chiesa.

Note

1 G. CECI, Balsignano, in “Japigia”, III, 1932, e ristampa anastatica a cura di “Nuovi Orientamenti”, Modugno 1988, pp. 47-66.
2 Biblioteca Nazionale “Sagarriga Visconti Volpe” di Bari, Archivio D’Addosio, fase. 3/7.
3 Archivio Capitolare di Modugno, Sacre Visite, Risposta delli Primiceri e de’ Provveditori e clero della Maggior Chiesa della Città di Modugno alle notizie generali ordinate per informazione di Monsignor Arcivescovo circa lo Stato Ecclesiastico e circa le anime della Città Suddetta, 1774.
4 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not. Pietro Massari, prot. a. 1760, c. 444v.
5 Traduzione: “Qui sarà possibile mangiare gratuitamente a chi compie i riti sacri”, cioè al sacerdote che celebra la Messa.
6 Archivio della Curia Metropolitana di Bari, Visite Pastorali, Santa visita di mons. Baldassarre Mormile a Modugno, 1815. La traduzione del passo è: «Visitò i sacelli di S. Lucia, della Beata Maria Vergine di Costantinopoli della famiglia Catilina, e della Beata Maria Vergine volgarmente detta di Balsignano della famiglia Ruggi, ed ebbe parole di lode».
7M. GARRUBA, Serie critica de’ Sacri Pastori baresi, Tipografia Fratelli Cannone, Bari 1844, p. 843, n. 15.
8 Archivio di Stato di Bari, Comune di Modugno, Progetto di sistemazione della strada obbligatoria nel tratto compreso dall’abitato di Modugno verso Bitritto, Giuseppe Revest ingegnere, 1877, cart, n. 403.
9Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not. Pietro Massari, prot. a. 1760, c. 445r-v.
10 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not. Sabino Romita, prot. a. 1760, c. 52v.
“Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not. Ludovico Bongo, prot. a. 1825, c. 706v.
12 Ibidem.
uIvi, cc. 706v-707r.
14 N. TRENTADUE JUNIOR, Cenno storico sul culto della Vergine Addolorata patrona della città di Modugno, Tipografia Cannone, Bari 1876, n. 8.
15 Ibidem.
16 N. TRENTADUE JUNIOR, Cenno storico sul culto della Vergine Addolorata patrona della città di Modugno, Tipografia Cannone, Bari 1876, n. 22; sull’argomento, e in particolare sulle credenze e sulle tradizioni popolari in merito alla pioggia miracolosa, v. R. Macina, Usìndeche de Valzegnene, in “Nuovi Orientamenti”, N. 4-5/1982, p. 10.
17 N. MILANO, Modugno. Memorie storiche, Arti Grafiche Ragusa, Bari, 1970, p. 148.
18 Archivio della Curia Metropolitana di Bari, Visite Pastorali, Santa visita di mons. Ernesto Mazzetta in Modugno, 1888.
19 N. MILANO, op. cit., p. 148.
20 Archivio della Curia Metropolitana di Bari, Luoghi della diocesi, Modugno, fase. n. 175.
21N. MILANO, op. cit., p. 148.
22 N. MILANO, Le chiese della diocesi di Bari. Note storiche ed artistiche, Edizioni Levante, Bari 1982, p. 435; una cronaca dettagliata sui furti perpetuati a Balsignano è presente in Atti del convegno “Balsignano: quale futuro?”, in “Nuovi Orientamenti”, N. 1-2/1983, inserto centrale; sull’argomento v. anche R. Macina, Nuovo tentativo di furto a Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, N. 4/1988; S. Corriero, Ancora un furto a Balsignano, Nuovi Orientamenti, N. 3/1989, p. 9.

Nuove fonti per la storia di Balsignano

Due documenti inediti sul passaggio di Balsignano da casale fortificato a fondo murato
Parte 1 di 2

Pubblichiamo questo primo intervento di due giovani studiose (Claudia De Liso, laureata in Conservazione dei Beni Culturali, e Maria Marchini, laureanda in Architettura), che da alcuni anni, anche per nostra sollecitazione, sono impegnate in una ricerca sistematica sulle fonti e sulla storia di Balsignano. Questo primo intervento ha un indubbio interesse scientifico per la segnalazione di due atti inediti del notaio Giacomo Filippuccio di Bari che sono importanti per capire l’evoluzione di Balsignano da casale fortificato a fondo murato. (R.M.)

L’esistenza del borgo di Balsignano era già nota agli studiosi dell’Ottocento. Il Garruba citò tra i documenti trascritti dal Muratori il diploma del 1092 con cui il duca Ruggiero donava Balsignano al monastero benedettino di S. Lorenzo di Aversa ed il successivo diploma di conferma del 11021; individuò tra le monete coniate a Brindisi da Carlo I d’Angiò, pubblicate nel catalogo di Forges-Davanzati, quella su cui poteva leggersi «Balesinianum Unc. I tar. XIII» ; infine riportò i nomi di alcuni feudatari desumendoli dagli studi del Paglia su Giovinazzo e dal dizionario del Giustiniani all’articolo “Acquaviva”2.
La storia di Balsignano tuttavia fu ricostruita in maniera sistematica dallo studioso Giuseppe Ceci,3 che condusse una approfondita indagine archivistica a Napoli tra le carte dei “Monasteri Soppressi”, tra i “Fascicoli Angioini” ed i “Registri Angioini”, ricavandone una discreta quantità di notizie riguardanti il periodo tra dalla fine del Duecento e la fine del Trecento, da quando cioè i Benedettini di Aversa non amministrarono più direttamente il loro possedimento e lo cedettero a censo; riportò i nomi dei feudatari ed alcune vicende del borgo; dall’importo pagato dalla comunità per la sovvenzione generale (colletta) dedusse il numero degli abitanti. Altre notizie, più frammentarie, si riferivano al Cinquecento ed attestavano il declino del centro abitato a quell’epoca, e la rovina delle sue strutture fisiche. Un importante documento scoperto dal Ceci a Napoli è un atto del maggio 1229 contenente i nomi e le precise ubicazioni delle due chiese di S. Maria di Costantonopoli e di S. Felice, identificate con le due chiese oggi super stiti di Balsignano. A Bari, tra le pergamene di S. Nicola, il Ceci individuò un istrumento del maggio 962 riferito a beni situati in loco Basiliniano: è la più antica fonte scritta riguardante la contrada.
Recentemente la cronologia relativa al casale è stata ampliata attraverso altre fonti: gli scavi archeologici, eseguiti finora solo su una minima parte del suolo dell’antico insediamento, hanno rivelato, in prossimità della chiesa di S. Felice, la presenza di un sepolcreto e di un edificio di culto databili ai secoli VIII-IX d.C., testimoniando una frequentazione del luogo in epoche precedenti4.
Il nostro contributo, frutto di una ricerca svolta presso l’Archivio di Stato di Bari, l’Archivio Notarile di Bari, l’Archivio Capitolare di Modugno e l’Archivio della Soprintendenza ai Beni Ambientali ed Architettonici della Puglia, mira a ricostruire quella parte di storia del sito che vede il suo antico ruolo di centro abitato difeso da mura trasfigurarsi in quello di fondo murato, cioè di proprietà privata di un individuo. In particolare, la maggior parte dei documenti che abbiamo raccolto fornisce il quadro completo dei passaggi di proprietà dal 1752, anno in cui venne redatto il Catasto Onciario di Modugno, al 2000, anno in cui il terreno contenente le vestigia del casale di Balsignano è stato acquisito al patrimonio della città di Modugno.
Altri documenti da noi trovati vanno ad aggiungere qualche tassello al mosaico della più antica storia del borgo. Di questi ci occupiamo nel presente articolo ripercorrendo, alla luce delle nostre indagini, quanto già riferito dal Ceci sulle vicende del casale di Balsignano nel Cinquecento5.
Tra i fascicoli del “Fondo d’Addosio” presso la Biblioteca Nazionale di Bari è conservata una nota di appunto dal titolo “Balsignano” che riporta in sintesi il contenuto di due atti, rogati dal notaio Francesco Giacomo Filippuccio di Bari, riguardanti il casale6. Tali atti sono conservati presso l’Archivio di Stato di Bari.
Il primo7, datato 19 febbraio 1529, è un atto di procura, con cui Bessarione di Biella, monaco del monastero dei SS. Severino e Sossio di Napoli, dell’ordine dei Benedettini della Congregazione Cassi- nese alias di S. Giustina di Padova, come legittimo procuratore di Marco di Pontramoli8, abate del suddetto monastero e del monastero di S. Lorenzo di Aversa, con ampia potestà di prendere possesso del castello di Balsignano e di esigerne redditi e proventi, nomina sostituti procuratori, con la stessa potestà, Giovanni de Erminzano («Hermizano»)9 ed un tale Angelillo10 di Modugno.
Venne così ripristinata una situazione di legalità, dopo che, con una sentenza del Sacro Regio Consiglio del 24 marzo 1528, sanzionata dal viceré del Regno di Napoli, ed eseguita il febbraio dell’anno seguente, la badia di S. Lorenzo aveva espulso i fratelli Eligio, Giovan Vincenzo, Raffaele e Alfonso della Marra, che avevano illecitamente occupato il territorio di Balsignano11.
Nel secondo atto del notaio Filippuccio12, datato 23 novembre 153113, il nobile Giovanni de Erminzano, sostituto procuratore del suddetto monaco Bessarione di Biella, loca e concede in enfiteusi per ventinove anni ad Angelo de Re Basilio, cittadino di Ce- glie ed abitante in Modugno, un aratro e mezzo di terra non coltivata e con macchia, con alberi di diverso genere, sito in territorio di Balsignano, confinante con la terra dei Montanari di Modugno, con la pescara di S. Leonardo e con altri confini, per l’annuo censo di due tari in carlini d’argento da pagare alla festa della Natività a partire dall’anno seguente.
Nel documento del 1528, secondo quanto riportò il Ceci, si parla del castello e del casale come già dirupati. Lo stato di abbandono e di rovina di quei luoghi spiega perché nel 1536 la badia avesse espresso il proposito, non seguito, di una vendita del territorio di Balsignano, che ormai rendeva soli 50 ducati all’anno14. Nel 1552 tuttavia il casale fu concesso in affitto a Camillo Dottula di Bari per 170 ducati15.
Nel 1561 fu compilato un inventario di tutte le terre e fabbriche rurali che componevano la tenuta di Balsignano con i confini, i nomi dei coloni, quasi tutti abitanti di Modugno, e le cifre dei censi annuali16. Tra le proprietà elencate compare un giardino con alcuni alberi, tra cui un noce, situato in località detta Balsignano, confinante con la pescara di S. Leonardo o di Galeazzo Plummarola, con il mandorleto di Bartolomeo Montanari di Modugno, con le mura del casale di Balsignano e con altri confini. Questo giardino è posseduto indebitamente da un tale Angelo, abitante di Ceglie e cittadino di Modugno, in quanto la sua pretesa di averlo avuto in concessione dal monastero di S. Lorenzo per l’annuo censo di tari quattro e grana otto risulta, per il procuratore del suddetto monastero, nulla e non rispondente a diritto.
Nel 1565 fu emesso un bando per una concessione perpetua dell’intero territorio mercè un canone annuo17. La vendita del casale di Balsignano avvenne però solo nel 1606, con atto recante la data del 22 ottobre rogato dal notaio Ottavio Petino di Aversa 18. Dalla lettura del documento si apprende che i monaci di Aversa possiedono il luogo edificato, 0 meglio diruto, con alcuni alberi da frutta, circondato da mura, un tempo volgarmente detto casale di Balsignano, confinante con i beni di Domenico Preschi, con i beni di Modugno, con la via pubblica per la quale si va da Modugno a Bitritto, con un’altra via antica per la quale si va a Bari e con altri confini. I monaci vendono tale proprietà al signor Giovanni de Surdo di Modugno per il prezzo convenuto di duecento ducati. Le condizioni elencate di seguito nell’at- to, non completamente leggibile, contengono il riferimento ad un censo annuo di dieci ducati affiancabile in qualsiasi momento dal compratore o dai suoi eredi o successori mediante versamento dell’intera cifra.
Tale peso non fu mai estinto. Infatti, nel Catasto onciario di Modugno del 1752 si rileva che il proprietario del fondo di Balsignano, Vito Nicola Faenza, sacerdote del Capitolo della chiesa madre di Modugno, pagava ai benedettini di Aversa una quota annuale di 33 once e 10 tari, che viene messa in relazione ad una somma di duecento ducati e ad un censo annuale di dieci ducati19.
Dalla consultazione del suddetto Catasto si desume inoltre che a quell’epoca l’abbazia di Aversa era ancora in possesso di terre, sia in località Balsignano che in altre contrade di Modugno. Più precisamente, essa risulta proprietaria di nove aratra di terra con alberi d’olivo siti nel luogo detto Balsignano, confinanti con i beni degli eredi di Saverio Vitucci e con i beni di Michele Pantaleo, per una rendita di trenta once, oltre che di sette aratra di terreno con alberi siti nel luogo detto macchia Simone, di sei aratra di terreno con alberi d’olivo situati nel luogo detto le Tacche, di due aratra di terreno con alberi d’olivo siti nel luogo detto Procito, per una rendita totale di 88 once e 20 tari20.
Nei Catastini di Modugno del periodo compreso tra il 1765 e il 1804 si ritrovano le stesse proprietà21.
I nove aratra di terreno appartenenti all’abbazia di Aversa siti in Balsignano, pervenuti al demanio dello Stato dall’asse ecclesiastico, furono venduti a privati nel 1867, come attestano due fascicoli relativi alla vendita all’asta rispettivamente di aratro uno e di aratra otto di terre in località Balsignano identificati, in base ai dati catastali ed ai confini, con i possedimenti dell’abbazia22.

Note

1 M. GARRUBA, Serie critica de’ Sacri Pastori baresi, Tipografia Fratelli Cannone, Bari 1844, p. 95.
2 M. GARRUBA, op. cit., p. 930.
3 G. CECI, Balsignano, in “Japigia”, III, 1932, pp. 47-66.
4 G. LAVERMICOCCA, Modugno (Bari), Balsignano, in “Taras. Rivista di archeologia”, Editrice Scorpione, Taranto, X, 2,1990, pp. 425-427, tav. CCXVI,i-2.
5 Ringraziamo vivamente la dott.ssa Beatrice Viganotti del- TArchivio di Stato di Bari per l’aiuto offerto nella lettura ed interpretazione dei manoscritti del Cinquecento e del Seicento, e per i consigli utili alla stesura del presente articolo.
6 Biblioteca Nazionale “Sagarriga Visconti Volpe” di Bari, Archivio d’Addosio, fase. 10/47.
7 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Bari, Not. Francesco Giacomo de Filippuccio, prot. aa. 1527-29, c. 66 r-v (antica numerazione).
8 II nome non è integralmente leggibile, perché il foglio del manoscritto presenta delle lacune, ma così viene riportato nella sintesi del d’Addosio.
9 Gli Erminzano giunsero a Bari da Milano negli anni della signoria di Isabella Sforza. Il Petroni (G. PETRONI, Della storia di Bari dagli antichi tempi sino all’anno 1856, ristampa anastatica dell’edizione di Napoli del 1857-58, Forni Editore, Bologna 1971, voi. I, p. 540) cita un Antonio Ermizano. Il Tateo (Storia di Bari nell’Antico Regime, a cura di F. Tateo, Editori Laterza, Roma-Bari 1991, voi. I, p. 182) scrive che alla metà del Cinquecento il “nobil messere” Giovanni riuscì ad evitare la scomparsa del proprio casato dando in sposa la figlia Giulia ad Annibaie Gallo, di origini napoletane, ed imponendo la fusione dei due cognomi nei discendenti, condizione che presupponeva la trasmissione a Giulia di una fetta cospicua dei beni paterni. Le vicende degli Erminzano sono documentate da un libro di famiglia depositato presso l’Archivio della basilica nicolaiana.
10 Anche qui il nome non è leggibile per intero; questo secondo procuratore non è stato citato dal d’Addosio.
11 G. CECI, Balsignano, inserto a “Nuovi Orientamenti”, anno X, n. 5-6, settembre-dicembre 1988, p. 8.
12 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Bari, Not. Francesco Giacomo de Filippuccio, prot. aa. 1530-32, c. 46 r-v (antica numerazione).
13 L’anno scritto sul documento è il 1532, ma poiché il notaio usava datare in base allo stile bizantino, abbiamo riportato la data al computo moderno.
14 G. CECI, op. cit., p. 10, n. 1.
15 Ibidem.
16 Ibidem. Questo documento presenta un grande interesse ai fini della ricostruzione dell’assetto del territorio e della toponomastica a quell’epoca.
17 Ibidem.
18 Archivio di Stato di Caserta, Atti notarili di Aversa, Not. Ottavio Petino, prot. aa. 1606-1608, cc. 48V -51V.
19 Archivio di Stato di Bari, Catasti onciari, Modugno, 1752, cc. 528V -529V.
20 Ivi, cc. 772V -773V.
22 Archivio di Stato di Bari, Catastini, Modugno, 1765-1784, 1795-1798,1799-1801,1802-1804.
23 Archivio di Stato di Bari, Asse Ecclesiastico, busta 100, fase. 7156; ivi, busta 101, fase. 7195.

Nuove fonti per la storia di Balsignano

Due documenti inediti sul passaggio di Balsignano da casale fortificato a fondo murato
Parte 2 di 2

Anno XXVI N.113 Luglio 2004 
Claudia De Liso e Maria Franchini

Come preannunciato nel precedente intervento1, dalla consultazione del Catasto Onciario di Modugno si rileva che proprietario del fondo di Balsignano nel 1752 era Vito Nicola Faenza, sacerdote del Capitolo della chiesa madre di detta città, di 60 anni2.
Egli era iscritto al catasto nella categoria degli ecclesiastici cittadini come proprietario, tra gli altri beni3, di 10 aratra di terreno con alberi d’olivo e da frutta nel luogo detto Macchia Finestra, o meglio di Balsignano, confinante con i beni del convento di S. Pietro Martire e di Nicola Domenico Tisci, e di «sei aratra di giardino murato con diversi frutti con torre e chiesa nel luogo detto Balsignano, giusta li beni del Reverendissimo Capitolo, e via publica circumcirca»4, quest’ultimo per una rendita stimata di 66 once e 20 tari. Tra i numerosi pesi a suo carico, due sono rilevanti per la presente indagine: il censo annuo di 10 ducati per il capitale di 200 ducati dovuto ai monaci di S. Lorenzo di Aversa su Balsignano, come stabilito nell’atto di vendita del 16065, e la somma annuale di 69 ducati per un capitale di 1250 ducati dovuto ad una certa Teresa Gaudiosi in Napoli, come stabilito in uno strumento del notaio Filippo Dominichiello di Modugno nel 1752.
Tra gli atti del notaio Sabino Romita di Modugno si ritrova l’apertura del testamento di Vito Nicola Faenza6. Dalla lettura dello stesso si evince che il giorno 29 del mese di giugno dell’anno 1760 il suddetto notaio si era recato a Balsignano su richiesta di Vito Nicola, che era giacente infermo in un letto «nel suo casino in una camera allo quarto di basso»7. Lì il sacerdote morente, ma in possesso delle proprie facoltà mentali e di parola, gli aveva consegnato il suo testamento.
Il 30 giugno Francesca Faenza, sorella del defunto, e le figlie Giovanna e Benedetta Petrobelli avevano richiesto l’apertura del testamento, che si era svolta nella loro casa presso la piazza di Modugno. Il testatore nominava le tre donne eredi di tutti i suoi beni mobili e stabili.
Egli tuttavia dichiarava di aver promesso ad un’altra nipote, Giovanna Faenza, figlia di Giacomo suo fratel lo, al tempo del suo matrimonio con Antonio Ruggì d’Aragona, la somma di 300 ducati, da ottenere sui suoi beni a condizione che lei ed i suoi figli «non molesta- ranno, né daranno fastidio»8 ai suoi eredi per il recupero del denaro. Lasciava inoltre alla suddetta Giovanna Faenza ed alla sorella Domenica un terreno di 9 aratra di estensione posto nel territorio di Modugno, nel luogo detto la Macchia di Balsignano, da vendere per estinguere il conto della dote della signora Teresa Gaudiosi, moglie di Giacomo Faenza loro padre; qualora il ricavato della vendita non fosse stato sufficiente ad estinguere tale conto, le due sorelle avrebbero dovuto sborsare del proprio in quanto eredi e figlie di Giacomo Faenza, secondo le disposizioni contenute in un atto di divisione stipulato dal notaio Filippo Dominichiello.
Infine, il testatore esprimeva la volontà che le eredi impiegassero una rendita di 30 ducati annui nella celebrazione di messe per la sua anima «nelle domeniche di maggio di ciascuno anno nella chiesa della Gloriosissima Vergine detta di Balsignano»9. Qualora poi avessero voluto alienare «il corpo della torre e giardino di Balsignano»10, le donne avrebbero dovuto preferire come compratore il signor Francesco Fragassi, esecutore testamentario.
Nonostante l’invito del sacerdote a non “recare molestia”, tra le eredi Francesca Faenza, Giovanna e Benedetta Petrobelli da un lato e Giovanna Faenza dall’altro si era «armata una fiera lite, tanto di un gran dispendio, quanto di un grandissimo rancore, ed odio fra esse loro scambievolmente concepito», come riporta un atto rogato a distanza di pochi mesi, l’11 agosto 1760, dal notaio Pietro Massari di Modugno11. Lo strumento fa riferimento ad un precedente accordo scritto per mano del notaio Filippo Dominichiello il 4 giugno 1751, nel quale si disponeva che «il corpo consistente la chiesa, casino, giardeno, con altre sue adiacenze chiamato Balsignano come antica della casa Faenza»12 dovesse passare sempre «dalla casa Faenza discendente da essa Donna Giovanna, e sua sorella Donna Domenica»13 . Questo passaggio sarebbe dovuto avvenire secondo modalità descritte in dettaglio: alla morte di Vito Nicola, dal valore del complesso di Balsignano si sarebbero dovuti detrarre i 200 ducati dovuti all’abbazia di Aversa ed i 300 ducati promessi a Giovanna Faenza per la dote, cioè in totale 500 ducati, e la cifra restante avrebbe dovuto essere corrisposta da Giovanna agli eredi14 del sacerdote entro otto anni alla ragione del 4%. Nel caso in cui Giovanna non avesse versato questo capitale, al decadere degli otto anni avrebbe perso il diritto di possesso del bene a favore degli eredi di Vito Nicola, ma avrebbe dovuto ricevere da questi i 300 ducati della sua dote.
Proseguendo nella lettura dell’atto del notaio Massari si apprende che, ignorando le suddette disposizioni, Francesca Faenza, Giovanna e Benedetta Petrobelli, alla morte di Vito Nicola, avevano preteso il possesso di Balsignano, tanto che Giovanna Faenza aveva dovuto ricorrere alla Regia Udienza di Trani per vedere riconosciuti i suoi diritti su quella proprietà.
Dopo la sentenza del tribunale, erano state finalmente eseguite le prescrizioni contenute nell’accordo del Dominichiello. Erano stati nominati quattro periti, due per parte, per stimare il valore del bene. Per conto di Francesca Faenza e delle figlie Giovanna e Benedetta Petrobelli erano stati incaricati Sigismondo Paterno «mastro muratore di Bari» ed Andrea Longo «misuratore, ed esperto di campagna» della città di Modugno; per parte di Giovanna Faenza erano stati eletti Vito Antonio Buccomino o Bucconcino (la scrittura dà adito a diverse interpretazioni) «mastro muratore» e Paolo «messere publico apprezzato- re, ed esperto di campagna della città di Giovinazzo».
Si era proceduto «da detti mastri fabricatori, alla misura, ed apprezzo tanto della chiesa, sacrestia, torre, piscine d’acqua, ed altro, secondo la di loro perizia, e coscienza l’anno quello stimato, e valutato per ducati quattrocento cinquanta», quindi si era proceduto alla misura del giardino, che si era ritrovato essere di «aratra quattro ordini sederi, e viti trentasei» ed era stato valutato «docati trecento trentotto grana trederi, e cavalli quattro, a ragione di ducati settantadue e meza l’aratro», infine sei alberi d’olivo esistenti in una «cortaglia» esterna sulla strada Bari-Bitritto erano stati stimati 5 ducati, per un valore dell’intero bene di 793 ducati, 13 grana e 4 cavalli15.
Tenuto conto di tutte queste premesse, nell’atto del Massari fu stabilito che Giovanna Faenza avrebbe dovuto corrispondere alle Petrobelli la cifra di 293 ducati, 13 grana e 4 cavalli allo scadere degli otto anni (cioè il valore stimato per il corpo di Balsignano meno i 500 ducati di cui sopra) e fino ad allora otto annualità ciascuna di 11 ducati, 72 grana e 4 cavalli (per la ragione del 4% di cui sopra). Restava inteso che «il suddetto corpo di giardeno con sua torre, chiesa corredi, che sono la suddetta campana, calice, camisa, messale, tovaglia apparata di rose con candelieri, ed altri simili addetti per servizio di detta chiesa, e non altro cortaglia di fuori, e detti alberi sei d’olive»16 era ceduto a beneficio di Giovanna Faenza, che si impegnava a versare i 10 ducati dovuti all’abbazia di Aversa ogni anno nel mese di dicembre.
Dal catasto onciario è possibile raccogliere qualche notizia in più su Giovanna Faenza. La donna, di 35 anni, appartenente ad una famiglia nobile modugnese, era sposata con Antonio Ruggi d’Aragona, di 44 anni, patrizio della città di Salerno e Trani17, iscritto al catasto nella categoria dei forestieri18. I coniugi abitavano in Modugno in una casa «palazzata» nella strada del Carmine ed avevano quattro figli: Nicola Saverio, Vito Michele, Vincenzo Emanuele, rispettivamente di 12,10 e 2 anni, e Adriana Teresa, di 9 anni, già nel monastero di S. Giorgio a Salerno. Una nota aggiunta qualche tempo dopo al margine della stessa partita catastale precisava che Antonio Ruggì era deceduto e che Nicola Saverio era divenuto capofamiglia19.
Il testamento di Antonio Ruggì era stato raccolto per mano del notaio Pietro Massari di Modugno l’8 giugno del 175320. Il testatore aveva nominato suo erede universale il figlio primogenito Nicola Saverio ed usufruttuaria la consorte Giovanna Faenza; aveva inoltre definito la linea di discendenza in caso di morte di Nicola Saverio senza figli legittimi e naturali.
Nel catastino del 1765 gli «aratra 6 di giardino murato con chiesa, e casino a Balsignano»21, fruttanti una rendita di 66 once e 20 tari, insieme ad un sottano e ad alcuni crediti, apparivano intestati ad Emanuele Ruggi d’Aragona, con la precisazione che nel catastino del 1761 erano in testa di Nicola Saverio ed in testa di un certo Nicola Lo Bianco . Purtroppo il catastino del 1761 è andato perduto e, allo stato attuale delle ricerche, non sono state ritrovate fonti notarili utili a chiarire quali eventi avessero condotto Emanuele a divenire erede della porzione del patrimonio familiare comprendente il fondo di Balsignano.
Dallo stesso catastino del 1765 e da quelli del 1781 e 178423 si rileva che l’abbazia di S. Lorenzo di Aversa riceveva il censo di 10 ducati dagli eredi di Vito Faenza. Il catastino del 1795-96 riporta che i possessori degli «aratra sei di giardeno con chiesa, e casino a Balsignano»24 erano i fratelli Emanuele e Vito de Ruggi d’Aragona, che ne ricavavano una rendita stimata di 66 once, per metà circa (33 once e 10 tari) ceduta all’abbazia di Aversa, come si evidenzia nel computo dei pesi dei due fratelli e come viene confermato nell’elenco delle esigenze della suddetta abbazia25. Nei catastini degli anni successivi la situazione patrimoniale dei due fratelli de Ruggi si presenta la stessa26.
Nelle prime operazioni fondiarie del 1809, propedeutiche alla formazione del cosiddetto catasto provvisorio, Emanuele Ruggi d’Aragona27, «gentiluomo» di Modugno, risulta unico proprietario di una «cocevola», dell’estensione di 4 aratra, di una casa d’abitazione e di una chiesa, con una rendita imponibile di once 66 12 2/3 [28].
Il 6 febbraio dell’anno 1813 Emanuele Ruggi d’Aragona dettava al notaio Vito Carlo Romita il suo testamento29, in cui istituiva come eredi la sua consorte Cristina Cesena nell’usufrutto, e suo fratello Benedetto Ruggi d’Aragona, ex benedettino, e le sue sorelle Maria Luigi Ruggi e Maria Michele Ruggi, religiose coriste nel monastero di Santa Croce, in proprietà di tutti i suoi beni mobili e stabili, crediti, esigenze, con i pesi annessi, ed ancora dei mobili e di tutto ciò che si trovava nella sua casa di abitazione e nel suo «casino, e giardeno murato di diversi frutti con chiesa, in queste pertinenze loco detto Balsignano»30.
Alla morte di Emanuele, che avvenne il 13 marzo 1813, era sorta una lite tra Cristina Cesena, Benedetto Ruggi d’Aragona, Maria Michele Ruggi e Maria Luigi Ruggi, per cui si era fatto ricorso al tribunale di prima istanza e quindi al tribunale civile di Trani, come riferisce l’atto di concordia rogato dal notaio Ludovico Longo di Modugno in data 6 dicembre 182531. Oggetto della contesa era la ripartizione dei beni lasciati in eredità, costituiti da «un predio rustico messo in queste pertinenze, nel luogo detto Balsignano, della estensione di aratri quattro circa, murato, di natura giardino, con diversi frutti, con casino di più camere soprane, sottani, chiesa, sacrestia, e largo avanti il casino, pozzi d’acqua, ed altri membri a detto comprensorio di fabbriche annessi, confinante alla strada che da Modugno mena a Bitritto, al fondo rustico di questo Reverendissimo Capitolo, e al pubblico cammino che conduce a Bitetto»32 e da una serie di cospicui capitali.
Con lo strumento di concordia del Longo fu stabilito che l’intero usufrutto e l’intera proprietà del predio a Balsignano, con tutte le dipendenze ed adiacenze, doveva restare ad esclusivo beneficio di Benedetto Ruggi, che era tenuto ad adempiere ai pesi su di esso gravanti. Entro lo stesso anno 1825 il sacerdote avrebbe venduto il fondo di Balsignano.
Si concludeva così il periodo durante il quale Balsignano era appartenuto alla illustre famiglia modugnese dei Faenza ed alla famiglia di antica nobiltà dei Ruggi d’Aragona, con cui i Faenza si erano imparentati grazie ad una unione matrimoniale.

Note
1 C. DE LISO, M. FRANCHINI, Nuove fonti per la storia di Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, n. Ili, dicembre 2003, pp. 20-
nella categoria degli ecclesiastici cittadini Vito Nicola Faenza compare nel catasto onciario nell’elenco dei beneficiati (cc. 747y-748v), sia per il titolo di S. Maria della Croce, cappella extramoenia tra le pertinenze di Modugno, Bari e Bitonto, che per un altro titolo non meglio precisato, ricavandone una rendita di 80 once.
4 Ivi, c. 529r.
5 Archivio di Stato di Caserta, Atti notarili di Aversa, Not. Ottavio Petino, prot. aa. 1606-1608, cc. 48v -51v.
6 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not. Sabino Romita, prot. a. 1760, cc. 49r-54r.
7 Ivi, c. 50r.
8 Ivi, c. 5 lv.
9 Ivi, c. 52v.
10 Ibidem.
11 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not. Pietro Massari, prot. a. 1760, cc. 441r-448v. La citazione è contenuta nella carta 443v.
12 Ivi, c. 442r.
13 Ivi, c. 442v.
14 Le eredi designate da Vito Nicola furono la sorella Francesca Faenza e le figlie di questa, Giovanna e Benedetta Petrobelli.
15 Ivi, c. 444y. I sei alberi di olivo erano situati in uno slargo esterno alle mura, dirimpetto al giardino di proprietà del notaio Dominichiello.
16 Ivi, c. 445r-v.
171 Faenza erano entrati a far parte della nobiltà modugnese già nel 1569 ed erano una delle famiglie più in vista della città. La famiglia Ruggi d’Aragona proveniva da Salerno ed era ritenuta d’origine normanna.
18 Si erano sposati probabilmente nel 1740, come si deduce da alcuni atti del notaio Pietro Massari di quell’anno riguardanti i due coniugi, in cui si parla del matrimonio come avvenuto da poco tempo. Pare che lo stesso notaio avesse redatto i capitoli matrimoniali dei due promessi sposi.
19 Archivio di Stato di Bari, Catasti onciari, Modugno, 1752, c. 464r-v.
20 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not. Pietro Massari, prot. a. 1753, cc. 133r-138r.
21 Archivio di Stato di Bari, Catastini, Modugno, 1765-1784; a. 1765, c. 23r-v.
22 II signor Nicola Nando Lo Bianco compare tra i presenti come marito di Giovanna Faenza nel sopraccitato atto del notaio Pietro Massari, prot. a. 1753, c. 441v.
23 Archivio di Stato di Bari, Catastini, Modugno, 1765-1784; a. 1765, c. 189r; a. 1781, c. 149v; a. 1784, c. 150v.
24 Archivio di Stato di Bari, Catastini, Modugno, 1795-1798; a. 1795-96, c. 19r.
25 Ivi\ a. 1795-96, c. 139r.
26 Archivio di Stato di Bari, Catastini, Modugno, 1799-1801,1802- 1804; a. 1799, c. 17r; a. 1800, c. 15v; a. 1801, c. 17v; a. 1802, c. 16r; a. 1803, c. 12r; a. 1804, c. 13r.
27 Emanuele Ruggi d’Aragona fu sindaco di Modugno dall’aprile 1794 al 31 agosto 1798, come è riportato nella serie cronologica dei sindaci di Modugno in N. MILANO, Modugno. Memorie storiche, Arti Grafiche Ragusa, Bari 1970, p. 591».
28 Archivio di Stato di Bari, Direzione delle contribuzioni dirette. Prime operazioni fondiarie, I parte, a. 1809, Modugno, busta 28, fase. 354, n. d’ordine 786.
29 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not, Vito Carlo Romita, prot. a. 1813, cc. 4r-8v.
30 Ivi, c. 5v.
31 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not. Ludovico Longo, prot. a. 1825, cc. 669r-678v.
32 Ivi, cc. 670v-671r.

LE FAMIGLIE NOBILI DI MODUGNO AGGREGATE AL SEDILE
I Faenza erano entrati a far parte della nobiltà modugnese nel 1569. La loro arma era bandata d’argento e di rosso. Si riportano le seguenti notizie da B. C. GONZAGA, Memorie delle famiglie nobili delle Province Meridionali d’Italia, Forni Editore, Bologna 1965 (ristampa anastatica della edizione di Napoli del 1875), voi. IV, pp. 41- 43: «Nel 1569 il Sedile dei nobili di Modugno era composto delle famiglie Belprato, de Bisanziis, Capitaneo, Capitelli, Cornale, Stella, e Ventura, le quali con conclusione del 15 di agosto di quell’anno vi aggregarono le famiglie Bizzoco, Calò, Cella, Ciolamare, Faenza, Gonnella, de Laurentiis, Maffei, Monacelli, Nipote, Pascale, de Rossi, Scarli, Taglione, e Vergine. Nel 1646 vi aggregarono la Cazzani, e più tardi la Fortunati e la Pepe; ma nel 1745 di tutte queste famiglie non rimanevano che unicamente quelle di Capitaneo, Faenza, Fortunati, Maffei, Pepe, de Rossi, Scarli e Stella, e poiché il loro numero era troppo ristretto, la Real Camera di Santa Chiara, dopo una lunga ed aspra lite, con decreto del 30 di agosto 1760 aggregò al Sedile dei nobili per ciò che riguardava il solo governo della città le famiglie Bianco, Caccabo, Grande, Pieschi, Pinto, Ruccia, Santoro, Scura, Valerio e Violillo».

Si riportano le seguenti notizie da V. SPRETI, Enciclopedia Storico – Nobiliare Italiana, 6 voli., Milano 1932, voi. V, pp. 871-872: «RUGGÌ D’ARAGONA. ARMA: Di rosso alla banda d’argento caricata di un gatto di nero passante. Alias: Di rosso alla banda d’argento caricata da un leone al naturale ed accompagnata da due rose d’oro. Famiglia antica della nobiltà di Salerno, ritenuta d’origine normanna e reputata, da alcuni autori, del sangue dei Guiscardi, come riporta il Candida. Un ramo dei Ruggio si stabilì in Francia, e si disse Rouge». Una diramazione della famiglia si era trasferita a Trani ed era stata aggregata al patriziato di questa città il 10 luglio 1747. «Ascritta, alla abolizione dei Sedili, al Registro delle Piazze Chiuse. La famiglia è iscritta nell’Elenco Ufficiale Italiano del 1922 col titolo di patrizio di Trani (m.), per i discendenti da Emanuele, ascritto al Registro delle Piazze Chiuse».

Entro un anno la fruizione del Castello di Balsignano?

Anno XXVI N. 112 Aprile 2004
Claudia De Liso

Balsignano sarà finalmente oggetto di interventi volti al recupero del sito, resi possibili dai finanziamenti stanziati dal Comune di Modugno e dalla Soprintendenza regionale per i Beni Architettonici e per il Paesaggio. Abbiamo rivolto alcune domande all’assessore alla PI. e ai beni culturali di Modugno, Michele Trentadue, che ha fatto il punto sul progetto che interesserà il casale. Già nel 2001, Balsignano era stato inserito nel progetto PIS (Progetto Integrato di Intervento) “Itinerario normanno-svevo-angioino”. Ora il Comune ha stipulato una convenzione con la Soprintendenza per un finanziamento di € 258.228,45 a carico dei PIS-POR Puglia 2000-2006, che andranno a sommarsi ad una somma di € 516.456,90 a carico dell’amministrazione comunale di Modugno. Il Comune ha dato incarico alla stessa Soprintendenza per la progettazione degli interventi, sulla base di un progetto preliminare già approvato, e per la realizzazione e gestione dei lavori. Non l’intero sito ne sarà oggetto; questa somma infatti verrà impiegata per il recupero del castello, lasciando per il momento fuori dall’intervento le due chiese di S. Maria di Costantinopoli e di S. Felice. Il castello, che è stato interessato recentemente da ulteriori lavori di restauro, verrà completamente recuperato e sarà reso fruibile al pubblico. Per favorirne la fruizione, oltre che la conservazione, sarà necessario definire una nuova destinazione d’uso, non ancora precisamente stabilita; tra le possibilità accreditate dall’assessore il castello potrebbe essere la nuova sede di un’associazione culturale come “Nuovi Orientamenti”, che del sito si è sempre occupata, o si potrebbe organizzare un tavolo di concertazione. Qualunque sia la nuova destinazione d’uso del castello, il fine è quello di renderlo nuova mente vivo garantendogli così un ruolo attivo di produzione culturale, senza del quale probabilmente cadrebbe nuovamente in uno stato di abbandono e di degrado. Si vuole così recuperare il luogo, favorendo la sua valorizzazione entro un contesto territoriale che ne trarrà un valore aggiunto, facendo del casale di Balsignano un polo di interesse per la collettività. Si dovrebbero in futuro proseguire inoltre quelle attività di collaborazione con le scuole che si sono dimostrate positive negli scorsi anni per i ragazzi che hanno svolto diverse attività culturali attraverso i laboratori didattici. Questi finanziamenti costituiscono quindi un primo importante passo per il reale recupero del casale medievale di Balsignano. La bellezza e la storicità del sito hanno imposto negli ultimi anni una sempre maggior attenzione e la necessità di riappropriarsi dei valori culturali di cui è portatore. Tutta l’area meriterebbe di essere valorizzata nei suoi molteplici poli d’interesse, per la presenza, oltre al castello, della chiesa di S. Maria di Costantinopoli con i suoi affreschi medievali, della chiesa di S. Felice, splendida testimonianza delle chiese a sala cupolata e ancora a poche centinaia di metri per la presenza del sito neolitico (che si trova su un suolo di proprietà privata) e per l’aspetto naturale del territorio con le sue lame. Si tratta di una prospettiva che va al di là dei lavori previsti e possibili con gli attuali finanziamenti, ma Michele Trentadue crede possibile l’elaborazione di futuri progetti che recuperino tutto il sito con la creazione, se sarà possibile, in un futuro prossimo, di un parco archeologico e culturale.

Nuove fonti per la storia di Balsignano

Due documenti inediti sul passaggio di Balsignano da casale fortificato a fondo murato
Parte 1 di 2

Anno XXV N.111 Dicembre 2003
Claudia De Liso e Maria Franchini

Pubblichiamo questo primo intervento di due giovani studiose (Claudia De Liso, laureata in Conservazione dei Beni Culturali, e Maria Marchini, laureanda in Architettura), che da alcuni anni, anche per nostra sollecitazione, sono impegnate in una ricerca sistematica sulle fonti e sulla storia di Balsignano. Questo primo intervento ha un indubbio interesse scientifico per la segnalazione di due atti inediti del notaio Giacomo Filippuccio di Bari che sono importanti per capire l’evoluzione di Balsignano da casale fortificato a fondo murato. (R.M.)

L’esistenza del borgo di Balsignano era già nota agli studiosi dell’Ottocento. Il Garruba citò tra i documenti trascritti dal Muratori il diploma del 1092 con cui il duca Ruggiero donava Balsignano al monastero benedettino di S. Lorenzo di Aversa ed il successivo diploma di conferma del 11021; individuò tra le monete coniate a Brindisi da Carlo I d’Angiò, pubblicate nel catalogo di Forges – Davanzati, quella su cui poteva leggersi «Balesinianum Unc. I tar. XIII»; infine riportò i nomi di alcuni feudatari desumendoli dagli studi del Paglia su Giovinazzo e dal dizionario del Giustiniani all’articolo “Acquaviva”2.

           

La storia di Balsignano tuttavia fu ricostruita in maniera sistematica dallo studioso Giuseppe Ceci,3 che condusse una approfondita indagine archivistica a Napoli tra le carte dei “Monasteri Soppressi”, tra i “Fascicoli Angioini” ed i “Registri Angioini”, ricavandone una discreta quantità di notizie riguardanti il periodo tra dalla fine del Duecento e la fine del Trecento, da quando cioè i Benedettini di Aversa non amministrarono più direttamente il loro possedimento e lo cedettero a censo; riportò i nomi dei feudatari ed alcune vicende del borgo; dall’importo pagato dalla comunità per la sovvenzione generale (colletta) dedusse il numero degli abitanti. Altre notizie, più frammentarie, si riferivano al Cinquecento ed attestavano il declino del centro abitato a quell’epoca, e la rovina delle sue strutture fisiche. Un importante documento scoperto dal Ceci a Napoli è un atto del maggio 1229 contenente i nomi e le precise ubicazioni delle due chiese di S. Maria di Costantinopoli e di S. Felice, identificate con le due chiese oggi superstiti di Balsignano. A Bari, tra le pergamene di S. Nicola, il Ceci individuò un istrumento del maggio 962 riferito a beni situati in loco Basiliniano: è la più antica fonte scritta riguardante la contrada.

Recentemente la cronologia relativa al casale è stata ampliata attraverso altre fonti: gli scavi archeologici, eseguiti finora solo su una minima parte del suolo dell’antico insediamento, hanno rivelato, in prossimità della chiesa di S. Felice, la presenza di un sepolcreto e di un edificio di culto databili ai secoli VIII-IX d.C., testimoniando una frequentazione del luogo in epoche precedenti4.

           

Il nostro contributo, frutto di una ricerca svolta presso l’Archivio di Stato di Bari, l’Archivio Notarile di Bari, l’Archivio Capitolare di Modugno e l’Archivio della Soprintendenza ai Beni Ambientali ed Architettonici della Puglia, mira a ricostruire quella parte di storia del sito che vede il suo antico ruolo di centro abitato difeso da mura trasfigurarsi in quello di fondo murato, cioè di proprietà privata di un individuo. In particolare, la maggior parte dei documenti che abbiamo raccolto fornisce il quadro completo dei passaggi di proprietà dal 1752, anno in cui venne redatto il Catasto Onciario di Modugno, al 2000, anno in cui il terreno contenente le vestigia del casale di Balsignano è stato acquisito al patrimonio della città di Modugno.

           

Altri documenti da noi trovati vanno ad aggiungere qualche tassello al mosaico della più antica storia del borgo. Di questi ci occupiamo nel presente articolo ripercorrendo, alla luce delle nostre indagini, quanto già riferito dal Ceci sulle vicende del casale di Balsignano nel Cinquecento5.

           

Tra i fascicoli del “Fondo d’Addosio” presso la Biblioteca Nazionale di Bari è conservata una nota di appunto dal titolo “Balsignano” che riporta in sintesi il contenuto di due atti, rogati dal notaio Francesco Giacomo Filippuccio di Bari, riguardanti il casale6. Tali atti sono conservati presso l’Archivio di Stato di Bari.

           

Il primo7, datato 19 febbraio 1529, è un atto di procura, con cui Bessarione di Biella, monaco del monastero dei SS. Severino e Sossio di Napoli, dell’ordine dei Benedettini della Congregazione Cassinese alias di S. Giustina di Padova, come legittimo procuratore di Marco di Pontramoli8, abate del suddetto monastero e del monastero di S. Lorenzo di Aversa, con ampia potestà di prendere possesso del castello di Balsignano e di esigerne redditi e proventi, nomina sostituti procuratori, con la stessa potestà, Giovanni de Erminzano («Hermizano»)9 ed un tale Angelillo10 di Modugno.

Venne così ripristinata una situazione di legalità, dopo che, con una sentenza del Sacro Regio Consiglio del 24 marzo 1528, sanzionata dal viceré del Regno di Napoli, ed eseguita il febbraio dell’anno seguente, la badia di S. Lorenzo aveva espulso i fratelli Eligio, Giovan Vincenzo, Raffaele e Alfonso della Marra, che avevano illecitamente occupato il territorio di Balsignano11.

           

Nel secondo atto del notaio Filippuccio12, datato 23 novembre 153113, il nobile Giovanni de Erminzano, sostituto procuratore del suddetto monaco Bessarione di Biella, loca e concede in enfiteusi per ventinove anni ad Angelo de Re Basilio, cittadino di Ceglie ed abitante in Modugno, un aratro e mezzo di terra non coltivata e con macchia, con alberi di diverso genere, sito in territorio di Balsignano, confinante con la terra dei Montanari di Modugno, con la pescara di S. Leonardo e con altri confini, per l’annuo censo di due tari in carlini d’argento da pagare alla festa della Natività a partire dall’anno seguente.

           

Nel documento del 1528, secondo quanto riportò il Ceci, si parla del castello e del casale come già dirupati. Lo stato di abbandono e di rovina di quei luoghi spiega perché nel 1536 la badia avesse espresso il proposito, non seguito, di una vendita del territorio di Balsignano, che ormai rendeva soli 50 ducati all’anno14. Nel 1552 tuttavia il casale fu concesso in affitto a Camillo Dottula di Bari per 170 ducati15.

           

Nel 1561 fu compilato un inventario di tutte le terre e fabbriche rurali che componevano la tenuta di Balsignano con i confini, i nomi dei coloni, quasi tutti abitanti di Modugno, e le cifre dei censi annuali16. Tra le proprietà elencate compare un giardino con alcuni alberi, tra cui un noce, situato in località detta Balsignano, confinante con la pescara di S. Leonardo o di Galeazzo Plummarola, con il mandorleto di Bartolomeo Montanari di Modugno, con le mura del casale di Balsignano e con altri confini. Questo giardino è posseduto indebitamente da un tale Angelo, abitante di Ceglie e cittadino di Modugno, in quanto la sua pretesa di averlo avuto in concessione dal monastero di S. Lorenzo per l’annuo censo di tari quattro e grana otto risulta, per il procuratore del suddetto monastero, nulla e non rispondente a diritto.

           

Nel 1565 fu emesso un bando per una concessione perpetua dell’intero territorio mercè un canone annuo17. La vendita del casale di Balsignano avvenne però solo nel 1606, con atto recante la data del 22 ottobre rogato dal notaio Ottavio Petino di Aversa 18. Dalla lettura del documento si apprende che i monaci di Aversa possiedono il luogo edificato, 0 meglio diruto, con alcuni alberi da frutta, circondato da mura, un tempo volgarmente detto casale di Balsignano, confinante con i beni di Domenico Preschi, con i beni di Modugno, con la via pubblica per la quale si va da Modugno a Bitritto, con un’altra via antica per la quale si va a Bari e con altri confini. I monaci vendono tale proprietà al signor Giovanni de Surdo di Modugno per il prezzo convenuto di duecento ducati. Le condizioni elencate di seguito nell’atto, non completamente leggibile, contengono il riferimento ad un censo annuo di dieci ducati affiancabile in qualsiasi momento dal compratore o dai suoi eredi o successori mediante versamento dell’intera cifra.

           

Tale peso non fu mai estinto. Infatti, nel Catasto onciario di Modugno del 1752 si rileva che il proprietario del fondo di Balsignano, Vito Nicola Faenza, sacerdote del Capitolo della chiesa madre di Modugno, pagava ai benedettini di Aversa una quota annuale di 33 once e 10 tarì, che viene messa in relazione ad una somma di duecento ducati e ad un censo annuale di dieci ducati19.

           

Dalla consultazione del suddetto Catasto si desume inoltre che a quell’epoca l’abbazia di Aversa era ancora in possesso di terre, sia in località Balsignano che in altre contrade di Modugno. Più precisamente, essa risulta proprietaria di nove aratra di terra con alberi d’olivo siti nel luogo detto Balsignano, confinanti con i beni degli eredi di Saverio Vitucci e con i beni di Michele Pantaleo, per una rendita di trenta once, oltre che di sette aratra di terreno con alberi siti nel luogo detto macchia Simone, di sei aratra di terreno con alberi d’olivo situati nel luogo detto le Tacche, di due aratra di terreno con alberi d’olivo siti nel luogo detto Procito, per una rendita totale di 88 once e 20 tari20.

           

Nei Catastini di Modugno del periodo compreso tra il 1765 e il 1804 si ritrovano le stesse proprietà21.

I nove aratra di terreno appartenenti all’abbazia di Aversa siti in Balsignano, pervenuti al demanio dello Stato dall’asse ecclesiastico, furono venduti a privati nel 1867, come attestano due fascicoli relativi alla vendita all’asta rispettivamente di aratro uno e di aratra otto di terre in località Balsignano identificati, in base ai dati catastali ed ai confini, con i possedimenti dell’abbazia22.

Note

1 M. GARRUBA, Serie critica de’ Sacri Pastori baresi, Tipografia Fratelli Cannone, Bari 1844, p. 95.
2 M. GARRUBA, op. cit., p. 930.
3 G. CECI, Balsignano, in “Japigia”, III, 1932, pp. 47-66.
4 G. LAVERMICOCCA, Modugno (Bari), Balsignano, in “Taras. Rivista di archeologia”, Editrice Scorpione, Taranto, X, 2,1990, pp. 425-427, tav. CCXVI,i-2.
5 Ringraziamo vivamente la dott.ssa Beatrice Viganotti dell’Archivio di Stato di Bari per l’aiuto offerto nella lettura ed interpretazione dei manoscritti del Cinquecento e del Seicento, e per i consigli utili alla stesura del presente articolo.
6 Biblioteca Nazionale “Sagarriga Visconti Volpe” di Bari, Archivio d’Addosio, fase. 10/47.
7 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Bari, Not. Francesco Giacomo de Filippuccio, prot. aa. 1527-29, c. 66 r-v (antica numerazione).
8 II nome non è integralmente leggibile, perché il foglio del manoscritto presenta delle lacune, ma così viene riportato nella sintesi del d’Addosio.
9 Gli Erminzano giunsero a Bari da Milano negli anni della signoria di Isabella Sforza. Il Petroni (G. PETRONI, Della storia di Bari dagli antichi tempi sino all’anno 1856, ristampa anastatica dell’edizione di Napoli del 1857-58, Forni Editore, Bologna 1971, voi. I, p. 540) cita un Antonio Ermizano. Il Tateo (Storia di Bari nell’Antico Regime, a cura di F. Tateo, Editori Laterza, Roma-Bari 1991, voi. I, p. 182) scrive che alla metà del Cinquecento il “nobil messere” Giovanni riuscì ad evitare la scomparsa del proprio casato dando in sposa la figlia Giulia ad Annibaie Gallo, di origini napoletane, ed imponendo la fusione dei due cognomi nei discendenti, condizione che presupponeva la trasmissione a Giulia di una fetta cospicua dei beni paterni. Le vicende degli Erminzano sono documentate da un libro di famiglia depositato presso l’Archivio della basilica nicolaiana.
10 Anche qui il nome non è leggibile per intero; questo secondo procuratore non è stato citato dal d’Addosio.
11 G. CECI, Balsignano, inserto a “Nuovi Orientamenti”, anno X, n. 5-6, settembre-dicembre 1988, p. 8.
12 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Bari, Not. Francesco Giacomo de Filippuccio, prot. aa. 1530-32, c. 46 r-v (antica numerazione).
13 L’anno scritto sul documento è il 1532, ma poiché il notaio usava datare in base allo stile bizantino, abbiamo riportato la data al computo moderno.
14 G. CECI, op. cit., p. 10, n. 1.
15 Ibidem.
16 Ibidem. Questo documento presenta un grande interesse ai fini della ricostruzione dell’assetto del territorio e della toponomastica a quell’epoca.
17 Ibidem.
18 Archivio di Stato di Caserta, Atti notarili di Aversa, Not. Ottavio Petino, prot. aa. 1606-1608, cc. 48V -51V.
19 Archivio di Stato di Bari, Catasti onciari, Modugno, 1752, cc. 528V -529V.
20 Ivi, cc. 772V -773V.
22 Archivio di Stato di Bari, Catastini, Modugno, 1765-1784, 1795-1798,1799-1801,1802-1804.
23 Archivio di Stato di Bari, Asse Ecclesiastico, busta 100, fase. 7156; ivi, busta 101, fase. 7195.

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