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Ed ora come gestire Balsignano?

Alla fine dei lavori, la città non può presentarsi impreparata allo storico appuntamento della consegna del casale
Anno XXXVI N. 158 Giugno 2014
Raffaele Macina

Alla fine di quest’anno è prevista la conclusione dei lavori a Balsignano. Finalmente, giunge alla meta un impegno, avviato da Nuovi Orientamenti nel 1979, quando, fondando la rivista, si decise di “adottare” lo storico casale medievale fortificato. Le foto della prima e dell’ultima pagina di copertina di questo numero ripercorrono i momenti più salienti della lunga opera di salvaguardia e di recupero del complesso: dalla pubblicazione, nel 1980, del primo saggio storico su Balsignano, alla sofferta registrazione degli atti di vandalismo ai danni di preziose opere d’arte (nel 1981, il tentativo di asportare gli affreschi di Santa Lucia e del Santo Vescovo; nel 1982, l’asportazione dell’acquasantiera e la devastazione dell’altare di Santa Maria di Costantinopoli); dal qualificato convegno del 1983, promosso dalla nostra rivista (“Balsignano: quale futuro?”), ai primi interventi di salvaguardia realizzati dalla Soprintendenza ai Beni Monumentali e Architettonici; dalle pressanti sollecitazioni rivolte agli amministratori, alle prime visite guidate degli anni Ottanta; dai nuovi atti di vandalismo dell’agosto del 1988 (quando furono sottratti persino due capitelli alla facciata della Chiesa di San Felice), ai più consistenti interventi di recupero promossi dopo l’acquisizione del complesso al patrimonio del Comune (1999), grazie ai quali è stato possibile ricostruire la seconda torre del castello, recuperare parzialmente la Chiesa di San Felice e di Santa Maria di Costantinopoli, e, soprattutto, assicurare dal 2007 in poi l’agibilità nell’area del casale; infine, dalla realizzazione del nutrito programma di visite guidate per le scuole e per gruppi diversi, provenienti anche da fuori città, alle due “notti medievali” (2007 e 2008), la cui riproposizione viene ancor oggi auspicata da tanti.
Ora, però, bisogna guardare all’immediato futuro e porsi la questione di come debba essere gestito il casale di Balsignano. Per questo, è auspicabile che Modugno avvìi subito una profonda riflessione e un sereno confronto con le sue associazioni, con le sue forze politiche e con le sue istituzioni: sarebbe grave se, una volta ultimati i lavori, l’appuntamento storico della consegna del casale medievale al Comune trovasse la città impreparata e incapace di avviare una seria programmazione nell’utilizzazione di un bene culturale così importante.
A questo proposito, nel nostro libro annuale del 2012 (Balsignano: dal degrado al recupero) abbiamo avanzato la proposta di costituire una Fondazione, che, ovviamente, deve vedere come protagonista prima di tutto il Comune. Rinviando il lettore a quel nostro saggio, qui è opportuno fare riferimento alle ragioni più evidenti che rendono necessaria la costituzione di una Fondazione che provveda alla gestione e alla fruizione pubblica del complesso di Balsignano.

  1. Bisogna liberare la gestione di Balsignano dagli umori mutevoli delle Amministrazioni in carica, che spesso, per interni contrasti politici, non sono in grado di assicurare una programmazione di lunga durata, che è invece necessaria per un bene culturale come Balsignano. D’altra parte, sono in molti ad aver riconosciuto (fra gli altri, lo storico medievista prof. Raffaele Licinio, ed anche lo stesso sindaco Magrone nella nostra recente manifestazione annuale) che il recupero di Balsignano è stato reso possibile soprattutto dal fatto che la nostra associazione ha assicurato per più di 30 anni un continuo impegno non solo di studio e documentazione, ma anche di sensibilizzazione e sollecitazione, intorno alle diverse problematiche poste dal complesso, nei confronti delle istituzioni comunali, provinciali e regionali. E, come si può intuire, le Amministrazioni passano, mentre una Fondazione, se ben organizzata, resta.

  2. Una Fondazione, che preveda al suo interno anche la presenza delle diverse Soprintendenze e di enti di governo sovracomunale, favorirebbe una gestione non municipalistica del complesso di Balsignano, che riveste un’importanza non certo meramente locale all’interno del patrimonio storico-artistico e monumentale della nostra regione.

  3. È fondamentale che, per la gestione e la valorizzazione del sito di Balsignano, si utilizzino al meglio la passione civile e le competenze culturali espresse in tanti anni dalle associazioni che se ne sono occupate e che si recuperi la complessa rete di rapporti già realizzati in questi decenni sia con i centri di ricerca sul Medioevo in Puglia e in Terra di Bari, sia con le associazioni impegnate anche nella ricostruzione e nella rievocazione documentata di eventi storici medievali: obiettivi, questi, che sarebbero in piena sintonia con lo spirito di una Fondazione.

Naturalmente, è prioritario che ogni gestione del prezioso complesso parta dal rispetto della vocazione storica e culturale di Balsignano, che, essendo un unicum nel suo genere, non ammette utilizzazioni arbitrarie e improvvisazioni dilettantesche. Su questo, come abbiamo sempre fatto nel passato, e per quanto le nostre energie ancora ce lo consentiranno, non mancheremo di vigilare

Consulta il libro “Balsignano, dal degrado al recupero” Raffaele Macina, Edizioni Nuovi Orientamenti, 2012 pp. 88

https://www.nuoviorientamenti.it/wp-content/uploads/2015/05/Balsignano.pdf

Balsignano, capitale europea della cultura 2019

Modesta proposta per un turismo sostenibile, considerando che l’antico casale è da secoli indipendente
Anno XXXIV N. 156 Dicembre 2013
«Lettere al direttore»
Carlo Monteschi

Caro direttore,

il tempo gradevole della passata estate ha concesso di goderci al meglio i luoghi della nostra Puglia, anche perché si vive in una regione che ormai fa tendenza dal punto di vista turistico e che vede impegnati tutti, ma proprio tutti – dagli amministratori a vario livello alle Pro Loco , dalle scuole alle associazioni di vario genere, dalle riviste cartacee e on line alle tavole rotonde locali – a “valorizzare i beni del territorio”, che “sono la nostra ricchezza” ed un “volano di sviluppo dell’economia locale”.
E così ho potuto ammirare, fra l’altro, i nostri monumenti più famosi nei cui dintorni stazionavano o si affacciavano folle amebiche con pizzette, panzerotti, focacce, panini, patatine e bibite; assaporare l’odore di fritto e di cucina che promanava da ristoranti e pizzerie all’aperto verso piazze, stradine e porticcioli; godermi piccole balconate panoramiche sul mare occupate da tavolini e banchi frigo; guardare gli slalom fra tavolini, ombrelloni e gazebo di quanti passeggiavano per uno dei tanti lungomare o centri storici; vedere amene spiagge e campagne salentine usate per i rave party. Ho anche cercato di viaggiare nella storia e nella civiltà del nostro territorio attraverso innumerevoli “eventi “e sagre, anche le più improbabili.
Ho visto poco, però, l’ammirazione e la voglia di conoscenza per le cattedrali, i castelli e le chiese, il piacere e la curiosità nel passeggiare per le corti e le stradine dei centri storici, la ricerca di quella piacevole sensazione di profondità e benessere che offre il mare, il meditare sulla nostra civiltà mentre si va per campagne, masserie e muretti a secco. Ho visto poco, insomma, apprezzare i monumenti e i luoghi per quello che sono.
Caro direttore, ho quindi dedotto che, fuori da Balsignano, i “beni culturali e ambientali come ricchezza” sarebbero questo: trasformare tutto in una gigantesca “location” dove consumare e basta. E in questa logica, allora, allargando il discorso, che ben venti città italiane si sono candidate a capitale europea della cultura 2019? Ognuna di queste città ha organizzato eventi e manifestazioni di supporto alla candidatura – qualcuna anche dal risvolto tragicomico, come nel caso di Perugia e Assisi, dove si è rotta, mentre veniva smontata per essere esposta ad una mostra per giunta discutibile, un’opera in gesso del Canova – cioè ha utilizzato fondi pubblici e sponsorizzazioni per ottenere futuri finanziamenti (se va bene). Ma con quale progettualità? Spendere quei finanziamenti per opere che altrimenti non si potrebbero realizzare? Attrarre masse di turisti cui spillare quanti più soldi possibile? Organizzare mostre ed eventi pacchiani?
Di recente, la “rosa” delle città è stata ufficialmente ridotta a sei. Tutte le sei città candidate (come anche quelle escluse) hanno una storia e una cultura antiche… è questo il punto: antiche. Non c’è il presente. Il presente delle nostre città (anche le più illustri, anche le più antiche) porta i segni orribili della mal gestita crescita urbanistica e demografica dei decenni passati. Non si è mai pensato ad una crescita armonica e rispettosa del passato. Sicuramente le sei città ufficialmente candidate organizzeranno nuovi “eventi” e “manifestazioni culturali” al fine di ottenere l’ambito titolo e gli altrettanto ambiti finanziamenti. Ma oltre non si andrà. Come ben sa, caro direttore, Balsignano mantiene la sua indipendenza da secoli, non fa parte dell’Unione Europea, ma geograficamente e storicamente è pienamente in Europa. Ebbene, viste le altre candidature, visto che qui a Balsignano abbiamo saputo conservare egregiamente il nostro passato (dal neolitico a tutta l’età moderna) e manteniamo un invidiabile e armonico equilibrio territoriale, avanzo una modesta proposta: Balsignano capitale europea della cultura 2019!

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Caro Monteschi, condivido la sua proposta, tanto più che per il 2014 si prevede che i lavori di restauro e gli interventi di varia natura su Balsignano siano ultimati. Certo, bisognerà capire cosa ne vorranno fare. C’è da augurarsi che vorranno consultare te e quanti si sono sempre impegnati perché l’antico casale potesse “conservare egregiamente il nostro passato”. (R. M.)

Adelasia e Giovanni da Balsignano

Una struggente storia d’amore ambientata nella Balsignano medievale

Anno XXXIV N.152 Ottobre 2012
Raffaele Macina
Devo al sig. Vito Sciannimanico la conoscenza di questa bella e struggente storia d’amore di due giovani, lei figlia del feudatario di Balsignano, lui figlio, forse, del suo massaro o comunque di gente di rango inferiore. Quando l’ho ascoltata mi è parso subito di essere davanti a una sorta di “Giulietta e Romeo” in versione balsignanese. Sino alla prima metà del Novecento, la tragica storia dei due giovani era ancora tramandata oralmente fra i Modugnesi e soprattutto fra quelli che possedevano un appezzamento di terreno nella contrada di Balsignano. 
È il caso, appunto, di Sciannimanico, proprietario di un fondo rustico di famiglia nei pressi del casale medievale, che ci tiene a sottolineare di aver appreso la storia dalla viva voce di suo nonno, il quale, a sua volta, l’aveva ascoltata dal padre: insomma, si tratta dì una narrazione che ci riporta indietro nel tempo, almeno alla fine del Settecento o agli inizi dell’Ottocento.
Non è stato difficile individuare nel racconto di Sciannimanico alcune importanti allusioni alle vicende storiche di Balsignano: il signore del casale che non pagava i censi annuali; il riferimento alla pittura toscana; i rapporti fra Balsignano e quella pittura. Sono state, forse, proprio queste allusioni a catturare la mia attenzione (e un po’ anche la mia fantasia, insieme a quella delle mie due nipotine), tanto che ho cominciato a contestualizzare storicamente la storia d’amore dei due giovani, ad arricchirla di particolari, a dare nomi e volti più precisi ai protagonisti. È nata, così, questa versione di “Adelasia e Giovanni da Balsignano”, che, se conserva l’ossatura del racconto di Sciannimanico, è una rivisitazione personale della struggente storia d’amore dei due giovani.

Questo nuovo racconto leggendario si aggiunge ad altri due, da noi già pubblicati nel passato - "U Sindeche de Valzegnane" (N. 4/5 1982, p. 10) e "La beffa del tesoro" (N. 3 1983, pp. 18-19) - che testimoniano come l’antico casale fosse un importante punto di riferimento anche per la cultura popolare della città. (R.M.)

Un tempo viveva a Balsignano la bella Adelasia, figlia di Fiammetta de Montefuscolo e di Roberto della Marra, signore e capitano dell’antico casale. Adelasia, dopo un’infanzia trascorsa in modo spensierato e sereno nei vicoli e fra le case di Balsignano, confondendosi in mille giochi con i suoi coetanei anche di umile origine, era giunta alla giovane età e, come il suo nome preannunciava, si distingueva per una grande nobiltà d’animo. Quanto il padre era borioso e dispotico verso i Balsignanesi, ormai rassegnati ai suoi soprusi e ai suoi maltrattamenti, tanto lei era dolce, amorevole e solidale verso tutti. Se Roberto rincorreva piaceri e disegni per procurarsi in qualsiasi modo il denaro necessario a sostenere la sua vita smodata, Adelasia, presa com’era dall’amore per l’arte e per la natura, rivolgeva tutto il suo interesse alle piccole cose, nelle quali ritrovava sempre sollecitazioni al bello e alla serenità d’animo, tanto minacciata dal clima che regnava nella casa patema. Insomma, Adelasia, che aveva perduto la madre in tenera età, non sembrava affatto la figlia di Roberto della Marra. Ogni mattina ella si impegnava in lunghe passeggiate per le campagne e per i boschi, che allora erano folti e numerosi in quella contrada. I contadini, che attendevano il suo passaggio, non appena il suo armonioso profilo si delineava da lontano, lasciavano il lavoro, raccoglievano qualche primizia e le andavano incontro offrendogliela amorevolmente. Se i Balsignanesi non furono mai protagonisti di atti di ribellione verso il loro signore e lo sopportarono con fiera rassegnazione, non fu per paura di eventuali punizioni e ritorsioni, ma per l’affetto nei confronti di Adelasia, la cui sola presenza suscitava in loro sentimenti di pace e propositi che trascendevano la loro dura realtà quotidiana. Un giorno, però, accadde qualcosa di particolare, destinato a cambiare radicalmente la vita di Adelasia e la storia di Balsignano. Come ogni mattina, ella aveva cominciato da un pezzo la sua passeggiata per i campi ed era già vicina al grande bosco che allora ricopriva il letto e i costoni di un lungo tratto di lama Lamasinata. Si inoltrò per lo stretto sentiero che, fra una vegetazione fìtta e secolare, scorreva sul ciglio del costone destro e, dopo qualche centinaio di metri si fermò, come faceva ogni volta, perché proprio lì si apriva davanti agli occhi un quadretto della natura, che lei non si stancava mai di contemplare.
Ai piedi del costone, la fitta vegetazione scemava e, in quel punto, nel letto della lama si formava una radura quasi circolare, in cui la natura celebrava il trionfo dei suoi colori e dei suoi odori: ciuffi di ciclamini si accompagnavano a veri e propri bouquet di margheritine; qua e là svettava il papavero che si alternava con un fiore bianco, che i bambini chiamavano ombrello; manti soffici di pratoline e tappeti di camomilla indicavano il tratto da percorrere per giungere ad un piccolo stagno che, ai piedi dell’altro costone, contribuiva a rendere ancora più idilliaco quel luogo. Lì il silenzio, cui faceva da compagno il canto dell’usignolo, si esprimeva in tutta la sua realtà e sospingeva il passante alla contemplazione.
Anche quella mattina Adelasia dapprima diede uno sguardo d’insieme alla radura e poi, come sempre, si soffermò a contemplare i particolari di ogni angolo. Poneva in questo suo compito giornaliero molta cura, poiché veniva rasserenata dall’osservare che tutto fosse rimasto come il giorno precedente. Quella quiete e quel senso di sospensione del tempo erano diventati per lei una sorta di unguento necessario per addolcire i momenti tristi da trascorrere in casa.
Stava quasi terminando la sua minuziosa contemplazione, quando dietro un cespuglio, lì a ridosso dello stagno, intravide la sagoma di un uomo, fermo e in piedi. Aprì bene gli occhi, si mise la mano alla fronte per poter scrutare meglio, ma non riuscì a cogliere alcun elemento utile a capire chi fosse quell’uomo e cosa stesse facendo lì nel “suo” angolo.
Fece qualche metro e, come sempre, ma questa volta con più lena del solito, guadagnò il piccolo sentiero scosceso che portava nella radura. Ora, quanto più si inoltrava, tanto più la sagoma indefinita cominciò ad acquistare contorni precisi. Dapprima capì che quella era la sagoma di un uomo di giovane età, il cui abbigliamento ricercato era inusuale fra i contadini di Balsignano; poi notò che aveva lo sguardo fisso verso qualcosa che gli era di fronte; infine, quando arrivò a metà della radura, il delinearsi di un cavalletto sul quale era poggiata una grande tela sciolse finalmente il mistero: si trattava di un pittore. «Un pittore qui a Balsignano?» si chiese Adelasia. «E chi l’ha chiamato? E da dove viene? E cosa sta dipingendo nel “mio” luogo?» Tutta presa da questi interrogativi, allungò il passo, si avvicinò allo stagno e, giunta ad una decina di metri dal cavalletto, si fermò dietro ad un secolare pino mediterraneo, tese il collo e aguzzò la vista per scoprire che cosa quel pittore stesse dipingendo. Purtroppo, il cavalletto era interamente circondato dal cespuglio che, formando lì un semicerchio assai folto, impediva la vista della tela. Per di più, il giovane, tutto intento nella sua opera, non aveva sollevato neppure per un istante gli occhi dalla sua creatura. Adelasia, per segnalare la sua presenza, fece un leggero colpo di tosse. Il pittore sobbalzò, si girò di scatto e, riconoscendo subito la giovane donna, che pure era quasi interamente coperta dal pino, afferrò un panno e coprì la tela; poi, dominato da un profondo turbamento, restò lì immobile con lo sguardo quasi smarrito. «Ma tu, tu sei Giovanni di maestro Leone» disse Adelasia, avvicinandosi a lui. La sua voce, alquanto tremula, non esprimeva soltanto sorpresa, ma anche quella gioia controllata che si prova quando dopo lungo tempo si rivede una persona alla quale si è uniti dall’affetto maturato nell’infanzia. Lui, figlio di un maestro d’ascia, lei, discendente dello storico casato dei Della Marra, erano amici di gioco nella loro comune infanzia, anzi erano gli amici. «Ma come mai sei qui? Maestro Leone mi ha sempre detto che sei a Siena in una grande bottega di frescanti» disse Adelasia, rompendo quel silenzio fatto di impaccio che si era impadronito dei due giovani dopo essersi salutati.
«Ricordi quando vennero qui i frescanti per dipingere nell’abside della chiesa di Santa Maria di Costantinopoli quel meraviglioso “Cristo in Maestà”, che viene fuori da una mandorla, e poi tutte le altre figure di angeli, apostoli e santi?» rispose lui. «E come dimenticarlo! Quando incominciarono ad affrescare, stavamo insieme incantati sotto i palchetti e invano i pittori ci dicevano di allontanarci, di andare via: eravamo completamente rapiti dalla genesi e dal graduale delinearsi della figura su quell’intonaco bianco e ancora fresco. Poi, purtroppo, morì mia madre, e a me non fu più concesso di uscire liberamente. Mio padre mi diceva che non ero più una bambina e mi impose di frequentare solo ambienti e persone compatibili col nostro rango.» «Tu, allora, forse non sai che io finii col diventare il garzone dei frescanti: facevo di tutto pur di stare lì a vederli all’opera mentre erano impegnati al massimo delle loro capacità e delle loro risorse, poiché un errore o un segno maldestro avrebbe pregiudicato il tutto se rintonaco si fosse asciugato. Quando i lavori furono ultimati, mi chiesero se li volessi seguire, e a me sembrò di toccare il cielo con un dito. Ora sono anch’io un frescante e faccio parte della bottega di Duccio Sanese» «Come mai sei qui? La tua bottega ha avuto una commissione da queste parti?»
«No, no, qui ormai nessuno pensa ad un affresco. Sono qui per aiutare mio padre, ormai vecchio, nei lavori della mietitura, poi ripartirò subito». I due giovani si immersero nei ricordi della loro infanzia, ricordarono gli amici comuni, ricordarono soprattutto i giochi innocenti che li impegnavano per le viuzze e le piazzette di Balsignano. Adelasia, disponendosi al sorriso, cominciò a ricordare il loro gioco preferito: quello del serpente. Prendevano un panno scuro e piuttosto lungo, lo attorcigliavano in modo che sembrasse un serpente e, dopo averlo legato per la coda con lo spago, lo posavano seminascosto al centro di un crocicchio. Intanto, loro due, al riparo dell’angolo di una casetta, non appena vedevano arrivare qualcuno, agitavano lo spago facendo assumere al panno scuro i movimenti di un vero serpente. La sorpresa e lo spavento dell’ignaro passante erano assicurati, così come assicurate erano anche le colorite invettive. Ne ricordarono alcune, e risero molto. Ora i due sembravano aver ritrovato la familiarità e la vicinanza della loro infanzia, tanto che fu naturale per Adelasia chiedergli che cosa stesse dipingendo. Giovanni, però, si irrigidì subito e, pur non manifestando un esplicito diniego, rispose vagamente e disse che si trattava di cosa di poco conto. L’indisponibilità del giovane a rendere partecipe dell’opera la sua antica compagna di gioco raffreddò alquanto quell’inizio di recuperata familiarità, e a tutti e due non restò che salutarsi. Giunta al castello, Adelasia notò che anche quel giorno suo padre era impegnato in colloqui con rappresentanti di conti e baroni della Terra di Bari. Inutilmente, anche questa volta chiese quale fosse il motivo del continuo andirivieni di dignitari, giudici e notai. La risposta di Roberto della Marra era sempre la stessa: problemi di giurisdizione feudale. Non fu facile per Giovanni e Adelasia superare la notte: tutti e due si rimproveravano di aver troncato sul nascere quell’atmosfera delicata e di grande impatto emotivo che si ha quando due persone, già unite da tanti momenti vissuti insieme da bambini, si ritrovano per la prima volta dopo molti anni. Quante volte, rigirandosi nel letto, Giovanni si rimproverò di aver gettato quel panno sulla tela. Certo, questo lo avrebbe messo a nudo, ma, almeno, non sarebbe stato lui a interrompere bruscamente l’incanto di quell’incontro. Adelasia, mordendosi le labbra, non finiva di chiedersi come mai proprio lei, sempre discreta e riservata, avesse fatto quella colpevole domanda. Tutti e due attendevano con ansia l’alba, proponendosi in qualche modo di cercarsi e di riprendere i loro ricordi dal punto in cui li avevano interrotti. Come sempre, ma prima del solito, la mattina del nuovo giorno Adelasia incominciò la sua quotidiana passeggiata. In verità, la sua andatura questa volta era spedita, i suoi occhi non si soffermavano su cose e persone che incontrava e il suo saluto ai contadini, se non mancava di cortesia, era piuttosto sbrigativo. Insomma, si capiva che aveva una meta ben precisa da raggiungere quanto prima possibile. Giunse sul ciglio della radura col cuore che le arrivava in gola: era stata assalita per tutto il tragitto dal dubbio di ritrovarsi lì sola. Fissò subito il cespuglio e intravide il cavalletto che reggeva la tela. Il suo passo ora divenne veloce. Più si avvicinava e più l’immagine del dipinto appariva maggiormente definita: dapprima avvistò una immagine sacra indistinta, poi intravide il volto di una Madonna, infine scorse il profilo di una Santa Maria di Costantinopoli. Quando si fermò a pochi metri dalla tela ebbe quasi un sussulto: i lineamenti di quella Madonna richiamavano quelli del suo viso. Si avvicinò ancora di più, si fermò, fissò intensamente l’immagine e non ebbe più dubbi: quel volto ritratto a forma di Madonna era il suo volto.
Si guardò intorno e vide seduto su un masso a ridosso dello stagno Giovanni, che, incrociando i suoi occhi, le disse: «Capisci ora perché ieri ho coperto la tela? Ti piace? L’ho completato questa notte.»
Lei non rispose. Pensava a quel suo viso ritratto così fedelmente, alla dolcezza, alla serenità e a quella atmosfera sospesa che esso emanava; pensava anche che Giovanni aveva sempre conservato in qualche angolo dell’anima la sua immagine, evidentemente l’immagine della sua madonna. Si avvicinò a lui, gli allungò la mano e lo aiutò ad alzarsi.
I due giovani, da sempre presi l’uno dall’altro, camminarono e camminarono, dicendosi tutto, progettando il loro futuro. Fu bella ed innocente quella mattinata per loro, ma fu terribile il ritorno alla realtà.
Dopo essersi salutati, dichiarandosi una infinità di volte fedeltà eterna, Adelasia non era ancora giunta al castello, quando due servi, spuntati in lontananza da un viottolo, agitando le mani e, chiamandola più volte, la invitarono a fermarsi: portavano l’ordine del padre di presentarsi subito al suo cospetto. «È assai strano che lui mi cerchi. Chissà cosa ha da dirmi.» disse fra sé.
Un dubbio, però, si impadronì di lei mentre si affrettava a raggiungere il castello: pensò al patrimonio di famiglia, composto prevalentemente dalla dote della madre, andato perduto per la vita dissoluta del padre; ricordò l’ingiunzione del camerario di Bari che ordinava di pagare i censi annuali, evasi da tanto tempo, alla lontana abbazia di Aversa, proprietaria del feudo di Balsignano; rivide lo sguardo del tutto particolare che i rappresentanti di diversi baroni e conti della Terra di Bari le rivolgevano quando la incrociavano per i corridoi, per le scale o nella corte interna del castello.
«Che l’ordine di presentarmi al suo cospetto abbia a che fare con tutto questo?» si chiede va, mentre bussava alla porta dello studio del padre.
«Sì, sì, entra e siediti là» disse con voce metallica Roberto della Marra, continuando a leggere il documento che aveva sullo scrittoio.
L’espressione severa più del solito, i folti sopraccigli increspati e la fronte sensibilmente corrugata del padre non lasciavano presagire nulla di buono e rafforzarono il dubbio che aveva tormentato Adelasia mentre raggiungeva il castello.
«Ecco» soggiunse lui, indicando il documento dello scrittoio «ho firmato il contratto del tuo matrimonio. Benedetto Arcamone, signore dei casali di Loseto, Ceglie e Bitritto, ha accettato tutte le mie richieste. Dovrai sposarlo alla fine di questa estate»
«No, no» gridò per la prima volta davanti al padre Adelasia, chiudendosi poi in uno stato di disperazione indescrivibile.
«Sapevo già della tua reazione. A partire da questo momento e sino al giorno del matrimonio sarai relegata nella torre di isolamento del castello». Poi chiamò due guardie e ordinò di accompagnare la figlia lì sulla torre, di vigilare notte e giorno e di non permettere ad alcuno di avvicinarsi.
Benedetto Arcamone, a dispetto del suo nome, si distingueva per il carattere violento e volgare; vedovo da qualche tempo e già molto avanti negli anni, aveva l’unico pregio, ma solo per Roberto della Marra, di disporre di un grande patrimonio. Di lui si dicevano cose tristi e non mancava chi giurasse che avesse fatto morire la moglie di crepacuore.
Contadini e servi, dopo aver ostentato formale rispetto davanti a lui, si scambiavano subito dopo complici sorrisi alle sue spalle e il loro pensiero puntualmente andava all’impresa che lo aveva reso ridicolo in tutto il Regno: Arcamone, chiassoso millantatore di vittorie in duelli e tornei, posto a capo della difesa di un importante castello della Terra di Bari, non si accorse neppure dell’entrata degli assalitori che lo imprigionarono mentre era ubriaco fradicio. La sua famiglia dovette pagare un consistente riscatto per ottenere la sua liberazione.
Intanto, nei giorni successivi inutilmente Giovanni attese l’arrivo di Adelasia lì in quella radura. Cercò di ottenere qualche notizia, ma nessuno fu in grado di dirgli qualcosa. E così, terminati i lavori della mietitura, partì, raccomandando agli anziani genitori di tenerlo informato su ogni novità che si verificasse a Balsignano.
La madre, che aveva osservato più volte la Madonna dipinta e aveva colto fin dall’inizio l’espressione trasognata del figlio, salutandolo al momento della partenza gli sussurò: «Non ti preoccupare, appena sapremo qualcosa di Adelasia, in qualche modo ti informeremo». La prima domenica di settembre fu assai animata a Balsignano: l’araldo ufficiale di Roberto della Marra, cavalcando un cavallo bardato secondo le grandi occasioni, girava per le viuzze del casale annunziando il matrimonio di Adelasia. Fermandosi ad ogni crocicchio e attendendo che si radunasse la folla, srotolando lentamente una pergamena, con tono solenne annunziava ad alta voce: «Gente di Balsignano, il nobile Roberto della Marra, nostro signore e capitano, vi informa che l’ultima domenica di questo mese verrà celebrato il matrimonio fra sua figlia, madonna Adelasia, e Benedetto Arcamone, signore dei casali di Loseto, Ceglie e Bitritto. Quel giorno saranno sospesi tutti i lavori e le case dovranno essere abbellite da drappi e coperte ricamate».
Quella stessa mattina, il padre di Giovanni si recò al porto di Bari, dal quale al tramonto di ogni domenica partiva una nave per Pisa e pregò il capitano, al quale si era rivolto anche nel passato, di far giungere a suo figlio Giovanni la notizia del matrimonio di madonna Adelasia.
Arrivò così la data fatidica. In ogni angolo della corte interna di Balsignano v’erano damigelle, nobildonne, giovani cavalieri, conti e baroni; fuori, ai due lati del viale che congiungeva il castello alla chiesa di San Felice, dove si sarebbe dovuto celebrare il matrimonio, i Balsignanesi si accalcavano, cercando di guadagnare la prima posizione per guardare da vicino la sposa.
Fra squilli di trombe e rulli di tamburi fu aperta la porta della corte interna del castello di Balsignano e il corteo nuziale cominciò a muoversi.
Alle vistose espressioni di soddisfazione del Della Marra e di Arcamone si opponeva la profonda mestizia di Adelasia che procedeva con gli occhi bassi, quasi stesse dirigendosi verso il patibolo. La folla, anch’essa triste e silenziosa, era tutta con lei e partecipava visibilmente alla sua tragedia. Nel punto in cui il viale era ricoperto da un noce secolare, Adelasia, rispondendo ad uno di quegli impulsi inspiegabili, sollevò lo sguardo e i suoi occhi si incrociarono con quelli di Giovanni, presente anche lui fra la folla ammutolita.
Fu un attimo: liberandosi del braccio del padre, Adelasia cominciò a correre con tutta la sua disperazione, gettando via il copricapo bianco, i monili e pezzi del vestito nuziale. Tutti restarono lì come paralizzati e quasi incapaci di fare qualcosa.
Solo Giovanni capì e cercò di raggiungerla, facendosi strada disperatamente fra la folla. Purtroppo, non gli riuscì di fermarla: Adelasia, giunta con una velocità sorprendente sul ciglio della lama, si gettò giù nel fiume. Giovanni, che pensava quasi di poterla afferrare, la seguì e i due corpi scomparvero nelle acque che proprio in quel punto erano più profonde, violente e particolarmente limacciose.
Tutti si portarono lì sulla lama e si sporgevano pericolosamente nella speranza di poter vedere affiorare i due giovani. Solo Roberto della Marra e Benedetto Arcamone restarono lì fermi sul viale a discutere animatamente.
Nessuno può dire con certezza se i due giovani siano morti o se si siano salvati, poiché i loro corpi non furono mai trovati, nonostante nei giorni seguenti tutto il fiume fosse stato scandagliato minuziosamente sino alla foce. Quel che è certo, invece, è che una sorta di maledizione cadde sull’antico casale: le vessazioni di Roberto della Marra si moltiplicarono, pessimi raccolti si susseguirono per diverse annate, un velo di tristezza si impadronì dei Balsignanesi, che così sempre più numerosi abbandonarono l’antico casale. Quasi a custodia del castello, delle chiese e delle case restò solo un vecchio saggio, che narrava ai passanti la tragedia di Adelasia e di Giovanni. Alla fine del racconto egli profettizzava immancabilmente: «Giorno verrà in cui l’interesse per le opere d’arte del casale e la commozione per la tragedia dei due giovani sveglieranno i cuori degli abitanti di Modugno: solo allora si dileguerà quel sortilegio malefico che avvolge Balsignano». Verso la fine dei suoi giorni quel saggio ebbe quasi una conferma della sua profezia: alcuni bambini, giocando fra le rovine del villaggio, entrarono nella casa che fu dei genitori di Giovanni, trovarono una grande tela raffigurante la Madonna e, mirandola con religioso silenzio, la portarono nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, depositandola sull’altare principale.

Balsignano: cerniera fra la città e la sua storia

Il progetto di recupero fa del casale medievale il punto unificante
di un grande parco extraurbano

Anno XXXII N. 145 Dicembre 2010
Lello Nuzzi

A circa tre chilometri da Modugno, sulla provinciale per Bitritto, sorge il casale medievale di Balsignano, rara e preziosa testimonianza di quei villaggi che, in Terra di Bari, tra il X e XI secolo si trasformarono in centri fortificati. Posto tra due lame, in posizione dominante, alla confluenza di lame torrenziali, attualmente risulta delimitato da una parte consistente delle mura perimetrali con aperture a feritoia, in precarie condizioni, che proteggevano il vecchio centro abitato, oggi compieta- mente scomparso. È possibile però vedere e visitare gli edifici più rappresentativi come il castello, le chiese di S. Felice e S. Maria di Balsignano (e non di Costantinopoli, come si evince da recenti studi). Il casale fu distrutto una prima volta da una scorreria saracena nel 988; subito ricostruito, fu donato nel 1092, dal duca normanno Ruggero all’abbazia benedettina di S. Lorenzo di Aversa. Fu nuovamente devastato e distrutto nel XVI secolo dalle truppe francesi e spagnole, che si contendevano l’egemonia nell’Italia meridionale.

Il complesso di Balsignano ha successivamente vissuto un lungo periodo di incuria a cui il disinteresse generale lo aveva condannato.

Sicuramente tale situazione avrà avuto come causa principale il progressivo e continuo abbandono dell’attività rurale, col conseguente inurbamento, che ha comportato il crescente inutilizzo del complesso. Ciò ha reso la manutenzione delle costruzioni inutile e troppo onerosa per i relativi proprietari che si sono avvicendati negli anni provocando, di conseguenza, il pessimo stato di conservazione delle strutture. A questo vanno poi aggiunti i vari atti di vandalismo e di depredazione. Di certo, i nostri lettori ricorderanno gli innumerevoli articoli e iniziative che la nostra rivista ha rivolto all’annoso problema del recupero del casale fortificato di Balsignano, nel tentativo di sensibilizzare soprattutto i politici e quanti avrebbero potuto recitare un ruolo nella risoluzione del problema. Va comunque detto che l’eccezionale importanza del complesso ha portato negli ultimi venti anni la Soprintendenza per i beni Architettonici e per il paesaggio delle province di Bari, BAT e Foggia, ad attuare, anche se con importi limitati, una costante azione di restauro, con interventi finanziati dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

È solo da dieci anni a questa parte che il Comune, anche e soprattutto per la continua stimolazione della nostra rivista, ha intrapreso finalmente con maggiore decisione e determinazione quelle iniziative che potranno consentire a Balsignano di diventare una vera risorsa per il territorio con un restauro e quindi un recupero globale delle strutture esistenti per una totale fruibilità dei luoghi. Questo percorso ha avuto un inizio ben preciso con l’acquisizione al demanio comunale dell’intero complesso nell’anno 2000. Ciò ha permesso di ottenere finanziamenti pubblici più cospicui. A questo ha fatto seguito un maggiore impegno da parte dell’Amministrazione comunale nel reperire risorse finanziarie per attuare un intervento di restauro globale al Casale.

GLI INTERVENTI DELLA SOPRINTENDENZA

Gli interventi eseguiti dalla Soprintendenza hanno interessato, di volta in volta, una o più strutture e quasi sempre, almeno fino ad ora, hanno avuto carattere di urgenza per salvaguardare una chiesa da un irrimediabile degrado o ricostruire e mettere in sicurezza parti cadenti del castello.
Ma andiamo con ordine e vediamo quali sono stati gli interventi realizzati e in che cosa sono consistiti:

1989: fu eseguito un pronto intervento per il consolidamento strutturale della chiesa di S. Felice, per un importo di 50 milioni;

1991 : i lavori consistettero in interventi di restauro e di scavo nella chiesa di S. Felice e nell’area esterna, oltre che di consolidamento e di rifacimento delle coperture della chiesa di S. Maria con scavi e saggi all’interno e nelle adiacenze esterne della chiesa. Fu anche eseguito un paziente lavoro di restauro di un tratto di muro. L’importo di spesa per tali lavori, di 280 milioni, fu finanziato dall’Agensud nell’ambito del programma “Itinerari turistico-culturali nel Mezzogiorno”.

Dal saggio impiantato nell’area esterna antistante la navata destra, in corrispondenza della serie di archetti affrescati, emersero alcune strutture murarie che confermerebbero l’ipotesi dell’esistenza di un edificio di culto più antico.

  • 1998: fu avviato il recupero del castello che versava in condizioni così disastrose da costituire, per i numerosi crolli, un reale pericolo alla sicurezza. Non di minore gravità il rischio di perdere altre importanti porzioni del monumento. I lavori consistettero in opere di puntellamento e di consolidamento dei muri mediante iniezioni di idonee miscele.

  • 2002: proseguimento delle opere di consolidamento del castello sempre per scongiurare il pericolo di ulteriori crolli. Fu predisposto un ponteggio esterno che ha avuto la funzione anche di presidio delle murature pericolanti. Una volta messa in sicurezza la struttura, sono state rimosse le macerie interne e il materiale di crollo, che è stato vagliato e selezionato per eventuale reimpiego.
  • 2004: sempre con finanziamento della Soprintendenza, si è provveduto al consolidamento delle strutture murarie risparmiate dal crollo, limitando le ricostruzioni a quelle porzioni più degradate. “L’idea guida per l’ipotesi di ricostruzione è stata quella di lasciare le strutture murarie nella condizione pressoché uguale a quella generatasi dopo il crollo, ricostruendo il parametro esterno della muratura del prospetto sud, solo per la parte strettamente necessaria del piano terra, e lasciando tutte le altre porzioni invariate, opportunamente consolidate, con ciò ottenendo un risultato di area archeologica al coperto. Infatti, sia per rendere fruibile il bene, recuperando gli originari spazi, sia per salvaguardarne la conservazione, si è ritenuto necessario prevedere la realizzazione di solai di copertura per i due livelli della torre ovest e nel vano intermedio tra le due torri ed il tamponamento del prospetto sud”.

Contemporaneamente, con finanziamento comunale, si è intervenuti nuovamente sulla chiesa di Santa Maria, sia con indagini archeologiche che con la revisione delle superfìci lapidee esterne, delle coperture, dei pluviali, degli infìssi. Considerati i dislivelli esistenti tra i vari ambienti e l’esterno, sono state realizzate delle passerelle di collegamento in legno e metallo.

GLI INTERVENTI DEL COMUNE
Le iniziative intraprese dall’Amministrazione comunale, al fine di reperire risorse finanziarie per attuare un intervento globale di restauro e valorizzazione di Balsignano, hanno avuto la seguente scansione temporale:

2001: adesione al progetto PIS – n.12 – Itinerario Normanno Svevo Angioino.

2000-2006: Polo di Bari-Taranto. È stato proposto l’intervento di restauro del complesso per un importo complessivo di € 774.685,34, di cui € 258.228,45 a carico del Comune.
Considerata la peculiarità degli interventi e l’alto grado di professionalità richiesta, il Comune ha affidato alla Soprintendenza la progettazione definitiva, la direzione dei lavori, la contabilità e il collaudo. Questa ha affidato l’incarico all’arch. Emilia Pellegrino, fun- zionaria della stessa Soprintendenza.

2009: al fine di reperire nuovi fondi, il Comune ha partecipato al “Programma Stralcio Area Vasta – Fondi P.O. FESR 2007-2013, Asse IV, Linea di intervento 4.2”, presentando una scheda con l’intervento generale di “Realizzazione del Parco di Balsignano”, che racchiude e valorizza le varie componenti del sito e cioè quella archeologica, naturalistica, architettonica e paesaggistica.

Con delibera della Giunta Regionale n. 2686 del 28 dicembre 2009, il Comune di Modugno è stato ammesso al finanziamento dell’opera per un importo complessivo di € 1.450.000, con una quota di cofinanziamento a carico del Comune di € 340.000.

La somma sopra indicata è così ripartita tra le voci più importanti:

  • opere murarie e di restauro: € 680.801,51;

  • restauro dipinti murali: € 91.978,16;
  • impianti tecnologici: € 283.073,89;
  • costi per l’attuazione dei piani di sicurezza: € 90.172,99;
  • musealizzazione, pannelli didattici, materiale bi bliografico e divulgativo: € 90.000,00.

LA FILOSOFIA DEL PROGETTO

Questo progetto ha come responsabile unico del procedimento l’ing. Petraroli, mentre Parch. Dinoia è coordinatore per la sicurezza, entrambi dell’ufficio tecnico del Comune. Il coordinamento generale e la progettazione e direzione dei lavori sono stati affidati dalla Soprintendenza all’arch. Pellegrino. Le restauratrici sono V. Sorrentino e M.P. Zambrini.
L’Assessore ai Lavori Pubblici in carica è l’ing. Antonello Corriero.
L’idea guida che ha orientato la progettista “nell’intervento pilota del recupero del sito medievale di Balsignano, nella prospettiva a medio-lungo termine, è quella di realizzare un eco- museo territoriale del patrimonio diffuso metropolitano, che raccordi in una rete/circuito le campagne e le città, a partire da importanti capisaldi monumentali rurali”. Il territorio di Balsignano ha in sé elementi di notevole pregio architettonico, naturalistico e paesaggistico. La presenza anche di altre zone di grande interesse, come il villaggio neolitico e gli insediamenti rupestri, i trulli e i palmenti legati alla dimensione rupestre, la lama Lamasinata e il boschetto per la componente paesaggistica, tutto a pochissima distanza, può far diventare Balsignano il fulcro di un più ampio progetto di parco extraurbano, nel quale fare confluire le diverse valenze che il sito esprime. Quindi, il parco può diventare l’elemento unificante dei diversi aspetti di interesse (architettonico, archeologico, ambientale) che saranno posti in relazione attraverso una rete di percorsi (piste ciclabili, percorsi a cavallo, itinerari pedonali, ecc.) per fornire la massima fruibilità della zona. Tutto ciò potrà essere una valida occasione per stimolare l’iniziativa privata a operare in maniera sinergica coll’intervento pubblico. Ma, come sempre accade, bisognerà fare delle scelte, imposte dalle disponibilità economiche. La somma utilizzabile, pur rilevante, risulta inadeguata alla completa realizzazione del parco e quindi bisognerà focalizzare l’intervento su un lotto ben preciso, che possa essere portato a compimento e reso subito fruibile.

Verranno così restaurati i tre edifici (Chiesa di S. Felice, Chiesa di Santa Maria e il castello); quindi bisognerà realizzare quelle opere indispensabili a rendere funzionante il casale, come primo nucleo del parco, attraverso il consolidamento e il restauro dell’intero perimetro della cinta muraria, la sistemazione delle aree esterne racchiuse all’interno della cinta, e la costruzione di un piccolo locale destinato ad ospitare il servizio di accoglienza, i servizi igienici e le dotazioni tecnologiche.
L’organizzazione degli spazi esterni compresi tra la corte interna e la cerchia muraria di delimitazione del casale ha cercato di mediare tra l’esigenza di conservare il più possibile l’assetto agricolo attuale e, quindi, di non snaturare i luoghi così come oggi li vediamo, e quella di avere la massima fruibilità del sito, con una più agevole visione delle emergenze e un comodo sistema di percorsi, per collegare le varie costruzioni. Attualmente, quest’area è coperta prevalentemente da ulivi, piantati in filari stretti, per un maggior sfruttamento del terreno, dagli ultimi proprietari. L’idea che media queste due esigenze contrastanti è quella di espiantare un numero limitato di alberi, che insistono in luoghi strategici, e reimpiantarli in zone più diradate.
Il sentiero più panoramico correrà lungo il lato in temo delle mura, consentendo di percorrere l’intero perimetro. Se sarà possibile, dopo il consolidamento delle mura, saranno creati punti di osservazione sopraelevati, per consentire l’affaccio sulla lama. Per quanto riguarda i sentieri che uniranno le emergenze presenti all’interno della cinta muraria, la progettista ha pensato ad una consistenza in terra battuta, per non costringere eccessivamente il visitatore all’interno di angusti spazi, ma per invitarlo quasi a girare liberamente all’interno di tutta la superficie utile. Ovviamente, diversa la consistenza della viabilità tra l’ingresso del casale e la corte, al fine di permettere l’accesso ai mezzi della manutenzione o al trasporto di attrezzature, in caso di eventi. Nella progettazione sono state tenute presenti alcune osservazioni formulate dalla Lega Ambiente. Sono stati pertanto previsti dei percorsi che rendano più agevole la visita e sono state ampliate e rese più vivibili alcune aree a ridosso dei monumenti, per agevolare lo svolgimento di attività ludiche, spettacoli di giocolieri, tornei medioevali, fiere, ecc. Non è stato ritenuto opportuno, come suggerito dalla Lega Ambiente, l’impiego di pannelli fotovoltaici per il forte impatto sui monumenti. Però, per contenere i consumi, si provvederà a scegliere apparecchi illuminanti a risparmio energetico. Non è esclusa la possibilità, in fase di redazione del progetto esecutivo, di installare sui locali adibiti a servizi una guaina fotovoltaica, dopo averne valutate la fattibilità e la convenienza, vista la limitata superficie disponibile.
Sempre nell’intento di limitare l’impatto, sono stati concentrati in un unico blocco, posto all’ingresso, i servizi indispensabili alla funzionalità del Casale, come la biglietteria, il bookshop e i servizi igienici. Ovviamente sarà predisposta l’illuminazione di tutti i percorsi e gli spazi esterni, improntata, questa, alla massima sobrietà.
Per rendere meno facile lo scavalcamento del muro esterno, nel tratto sud-est, si è pensato di predisporre dalla parte interna del muro una barriera vegetale costituita da una rete metallica e da arbusti rampicanti tipici della flora mediterranea. I lavori previsti terranno ovviamente conto del reale stato delle costruzioni e degli interventi già operati precedentemente. Alla luce di quanto sopra descritto, i lavori saranno orientati a portare a compimento gli interventi precedenti, rendendo pienamente fruibili gli edifici. Si tratterà, quindi, di realizzare opere di finitura e di dotazioni impiantistiche.

A conclusione delle opere di restauro delle strutture architettoniche, si dovrà provvedere a rendere fruibile il complesso: si produrranno supporti didattici (pannelli esplicativi, cartelli, audioguide da installare in loco) e materiale da consultazione e divulgazione (pubblicazioni, pieghevoli, guida alla visita). Previsto anche il restauro completo degli affreschi e degli intonaci originali presenti nelle due chiese del casale. A noi non resta che augurarci che i lavori inizino presto e vengano portati a termine nei tempi previsti, per poter finalmente far rivivere il casale di Balsignano in maniera dignitosa e, nello stesso tempo, poter regalare ai cittadini modugnesi un parco medioevale immerso nel verde, illudendosi, almeno per la durata di una passeggiata o di una visita, di vivere in una città quasi normale che si occupa dei suoi beni ambientali e culturali. Ciò permetterà di ritrovare il piacere di camminare a contatto con la natura, immaginando momenti di vita quotidiana vissuti in un borgo medioevale alle porte di Modugno e dimenticando, per poco, la centrale, l’inceneritore e tutte le fonti d’inquinamento asfissianti, a cui un ineluttabile (?) destino sembra proprio che ci abbia condannati.

Balsignano ora può tornare a vivere

Approvato il progetto complessivo di recupero del casale che
può contare su un cospicuo finanziamento

Anno XXXII N. 143 Luglio 2010
Raffaele Macina

Quello che negli anni Ottanta sembrava un sogno, ora può trasformarsi in realtà e il Casale medievale di Balsignano può ritornare a vivere: nella seduta del 22 giugno, il consiglio comunale ha approvato all’unanimità il “Progetto di recupero del sito medievale – Borgo di Balsignano – importo € 1.450.000”. Al momento della votazione erano presenti in aula 22 consiglieri; assente giustificato il sindaco Rana, che, col direttore generale, Serafino Bruno, l’addetto stampa, Nicola Mangialardi, e il consigliere comunale Maurizio Zefilippo (UDC), era impegnato in Canada nell’ambito del programma di interscambio che il Comune intrattiene con la colonia modugnese di Toronto. I finanziamenti derivano in maggior parte dai Piani Strategici (€ 1.110.000, già deliberati dalla Regione Puglia il 28-12-2009), e in minor parte da fondi di bilancio comunale (€ 340.000), per i quali è prevista l’accensione di un mutuo. II progetto, che punta a rendere fruibile tutto il casale, e, in particolare, a rendere agibili la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli e il castello, è stato redatto dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio. La redazione del progetto è dell’arch. Emilia Pellegrino che, avendo seguito ormai da decenni la lunga e tormentata vicenda di Balsignano, ha elaborato un significativo piano di intervento che si caratterizza per realismo e proiezione del bene in un programma più complessivo che nel futuro potrà e dovrà interessare un’area ancora più vasta. Infatti, sono previsti da un lato gli interventi più urgenti e necessari per il recupero di opere assai compromesse nel loro stato (innanzitutto, gli affreschi della Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, che speriamo possano essere tutti recuperati; la cinta muraria, in alcune parti invasa dalla vegetazione, per cui non si notano neppure le torri di avvistamento); dall’altro, oltre agli impianti elettrici, idrici, fognari e sanitari, è prevista una sistemazione interessante di tutta l’area “agricola” che proietta il Casale di Balsignano in un progetto molto più generale. D’altra parte, è la stessa Pellegrino, nella sua relazione di presentazione del progetto, ad affermare che l’intervento sul Casale di Balsignano, inserito nel Programma 2 del Piano Strategico MTB (Città Storica) che coinvolge Bari e i Comuni dell’area metropolitana, “avvia la strategia complessiva del Piano che insiste sulle strutture urbane e territoriali, per rinnovare i caratteri consolidati del sistema insediativo di questa parte significativa della Puglia centrale […], nella prospettiva di lungo periodo per realizzare un effettivo ed equilibrato policentrismo”.

LA NATURA E IL SIGNIFICATO DEI PIANI STRATEGICI

I Piani Strategici, introdotti in Puglia dalla prima Giunta Vendola, costituiscono lo strumento più importante per mettere in rete i Comuni di un’area vasta (area metropolitana) e si caratterizzano per la loro visione complessiva del territorio, ispirata ai principi di sviluppo sostenibile. Molte regioni e città europee hanno chiamato Piano Strategico un insieme di interventi e di procedure finalizzati alla progettazione e al governo di processi di forte trasformazione. Ciò è avvenuto sia in aree con forti esigenze di riconversione per la crisi irreversibile di certe attività economiche (industria di base e portuale) quali Amburgo in Germania, Birmingham, Liverpool e Manchester in Inghilterra, sia in città dinamiche con problemi di prestigio e competizione internazionale quali Lione, Barcellona, Amsterdam e Torino. Secondo gli attuali orientamenti dell’urbanistica e dellprogrammazione del territorio, i Piani Strategici sono destinati ad avere un ruolo sempre più incisivo nelle politiche dei Comuni che, per la riduzione dei trasferimenti statali, da soli non possono neppure più assicurare una serie di servizi. Riportiamo qui di seguito una illuminante definizione dei Piani Strategici di un importante studioso. I Piani Strategici sono “approcci di pianificazione che si riferiscono all’area vasta: che aspirano a definire grandi indirizzi di sviluppo (economico, sociale e ambientale) di un territorio integrato (urbano/periurano/rurale) e a renderne le dinamiche insediative più coerenti con i principi dello sviluppo sostenibile (competitività/solidarietà/cura dell’ambiente) attraverso modelli di governance capaci di costruire un’idea di cittadinanza metropolitana certamente rispettosa delle identità locali, ma più cooperante e lungimirante”. (Gibelli M. C., Flessibilità e regole nella pianificazione strategica, in Pugliese T. e A. Spaziante, Pianificazione strategica per le città: riflessioni dalle pratiche, F. Angeli, Milano 2003, p. 62).

Nuovi Orientamenti non è più disponibile a rinnovare la convenzione su Balsignano

Anno XXXII N.1,2 Febbraio 2010  
Raffaele Macina

La decisione che noi di «Nuovi Orientamenti» abbiamo assunto di non essere più disponibili al rinnovo della convenzione per la valorizzazione del Casale di Balsignano è una di quelle decisioni sofferte, a cui si approda quando ormai ci si convince che non ci sia più nulla da fare. Tutto o quasi tutto in questi anni non è andato nel senso da noi auspicato. Per riferirci ad un solo esempio, si consideri che per il 2009 era prevista l’agibilità del castello, cosa che, per il momento, è assai lontana. Ma in questi anni si è perduta l’occasione storica che il Comune di Modugno divenisse proprietario di un’area archeologica e storico-architettonica vasta e importante che gli consentisse dì programmare su di essa interventi di sicuro interesse pubblico. Il Comune di Modugno, infatti, dopo aver finanziato negli anni Novanta alcuna campagna di scavo sul villaggio neolitico, ha perduto (o ha voluto perdere) la possibilità di acquistare il relativo terreno che, messo in vendita dal precedente proprietario (Tommaso Pastore) e acquistato da un nuovo proprietario (l’avv. Paolo Colavecchio), è rimasto in mani private, cosa che infuturo potrebbe condizionare la natura dei progetti di sistemazione di tutta l’area. Eppure, era stato sempre detto dai rappresentanti della Soprintendenza Archeologica che il primo passo da fare doveva necessariamente essere quello dell’acquisizione al patrimonio pubblico del terreno del villaggio neolitico. Non sappiamo quali progetti stiano maturando nel Palazzo, visto che per Balsignano è arrivato un finanziamento di 1 milione e duecentomila euro. Crediamo, però, che nessuno degli amministratori possa ragionevolmente pensare che a Balsignano e dintorni sia lecito intervenire con decisioni più o meno segrete. Per l’importanza che ha il Casale di Balsignano e l’intera zona che, oltre al villaggio neolitico, ha forse al suo interno anche un insediamento dell’età del bronzo, ogni intervento dovrà essere preceduto da adeguate e pubbliche informazioni. La posta in gioco per la città è assai alta, per cui è necessario che vi sìa la consapevole partecipazione dei cittadini e delle associazioni che hanno mostrato in questi ultimi anni di avere a cuore le sorti del territorio di Modugno.
Riportiamo qui di seguito la lettera da noi inviata l’8 gennaio al Sindaco, per la quale non abbiamo ricevuto ancora neppure un formale cenno di riscontro.

Signor Sindaco,

l’11 gennaio prossimo scadono i termini della convenzione sottoscritta fra il Comune di Modugno e la nostra Associazione per la valorizzazione del Casale di Balsignano. Purtroppo, siamo costretti a dichiarare la nostra indisponibilità al rinnovo della convenzione in oggetto, poiché tutto il nostro impegno (visite guidate, attività didattica nelle scuole, ricerca storica e documentaria, giornate medievali, Notte di Balsignano, ecc.) finisce coll’essere vanificato.

Nel passato, come ti è noto, abbiamo segnalato più volte la necessità che il Comune di Modugno assicuri periodicamente almeno alcuni interventi minimi (aratura, riparazione dei muri a secco di recinzione del Casale, eliminazione delle erbacce a ridosso delle mura medievali, rimozione dei cumuli di immondizia dalla stradella antistante il Casale, ecc.). Probabilmente, sai anche che, talvolta, in occasione di visite guidate richieste da gruppi di studiosi o di associazioni provenienti da diverse parti della regione e persino dell’Italia, per rendere possibile la visita, abbiamo provveduto noi materialmente ad estirpare le erbacce dalla corte interna del castello, dallo spiazzale antistante la Chiesa di San Felice e da altre parti.
Il Casale di Balsignano oggi versa in condizioni piuttosto critiche per la mancanza di ogni intervento da parte della tua Amministrazione negli ultimi 4 anni.

Ci sospinge alla decisione di non rinnovare la convenzione in oggetto anche l’impossibilità di elaborare e concordare con la tua Amministrazione una programmazione almeno annuale delle attività culturali di valorizzazione del Casale di Balsignano. Sai che, in mancanza di impegni da parte della tua Amministrazione, nel 2009 non è stato possibile realizzare a giugno la terza edizione della “Notte di Balsignano”, che tanta partecipazione ed entusiasmo aveva suscitato nei due anni precedenti; ma soprattutto, per l’assenza di tempestivi atti deliberativi della tua Amministrazione, non è stato possibile realizzare il significativo progetto “Il sistema castellare in Puglia, con particolare riferimento ai castelli di Balsignano, Sannicandro e Gioia del Colle”, che aveva ottenuto un giudizio positivo dagli organi regionali.

In ultimo, registriamo che vi sono stati diversi incontri fra la tua Amministrazione e soggetti vari, durante i quali si è discusso del progetto complessivo di sistemazione di tutta l’area di Balsignano che potrebbe contare su cospicui finanziamenti previsti dai Patti Territoriali. Ebbene, noi non siamo stati né invitati a quegli incontri, né in qualche modo siamo stati interpellati per esprimere la nostra opinione sul futuro di Balsignano. La cosa ci meraviglia, perché riteniamo che per l’impegno espresso su Balsignano per oltre un trentennio, noi di Nuovi Orientamenti avremmo potuto avanzare in quegli incontri qualche proposta degna di essere presa in considerazione.

Va da sè che «Nuovi Orientamenti» continuerà ad interessarsi di Balsignano e, come ha sempre fatto, vigilerà perché non ci siano interventi che alterino la natura e il significato di un complesso storico-architettonico che è un unicum in Italia.

Un’altra opportunità perduta per Balsignano

Anno XXXI N.140,141 Dicembre 2009
Raffaele Macina

La lunga serie di opportunità perdute per il casale di Balsignano si è ulteriormente arricchita di un nuovo caso: per inadempienza del Comune di Modugno, quest’anno non è stato possibile realizzare un progetto, giudicato positivamente dalla Regione Puglia, che avrebbe inaugurato un circuito normanno-svevo intercomunale, del quale proprio il castello di Balsignano sarebbe stato il motore.
L’elaborazione del progetto aveva richiesto molto lavoro sia dal punto di vista organizzativo, sia dal punto di vista della ricerca e della innovazione didattica.
Alla fine di novembre del 2008 scadeva il bando regionale per accedere da parte dei Comuni ai finanziamenti regionali previsti dal “Programma delle Attività Culturali per il biennio 2007/2009”. D’intesa col Sindaco e con l’Assessore alla Cultura pro tempore, venne deciso che il Comune di Modugno avrebbe partecipato al bando, per cui noi di “Nuovi Orientamenti” fummo sollecitati a predisporre un progetto.
Da una lettura approfondita del bando si intuì subito che la Regione intendeva da un lato scoraggiare interventi di tipo municipalistico, dall’altro favorire la costruzione di reti intercomunali, allargate ad enti di ricerca.
Ci mettemmo subito all’opera, e riuscimmo a costruire un’intesa coi Comuni di Sannicandro e di Gioia del Colle e ad ottenere l’attenzione di enti di ricerca e di sorveglianza sui beni culturali (Centro Studi Normanno-Svevi, cattedra di Storia Medievale dell’Università di Bari, Soprintendenza ai Beni Architettonici e al Paesaggio).
Nacque, così, un interessante progetto che, in sintonia con le problematiche attuali della ricerca storica, portava il significativo titolo “Il sistema castellare in Puglia e il ruolo, al suo interno, dei castelli di Balsignano, Sannicandro e Gioia del Colle”.

Il progetto, di cui peraltro proprio Modugno venne dichiarato Comune capofila, prevedeva una serie di interessanti iniziative:

organizzare visite guidate nei tre castelli con una collaborazione permanente, soprattutto dei Comuni di Modugno e Sannicandro;
coinvolgere le scuole sia mettendo a disposizione di alunni e docenti il materiale bibliografico sui tre siti, sia offrendo incontri con studiosi, sia ancora predisponendo a Balsignano un “laboratorio didattico-archeo- logico” su una superficie di 30 mq circa, che, secondo le tecniche più recenti dell’archeologia, è fonte di una esperienza entusiasmante per gli studenti;
realizzare un sito internet e programmare “visite guidate virtuali” per i tre castelli;
promuovere un convegno, con relativa pubblicazione degli atti, che elaborasse un quadro d’insieme sull’attuale stato della ricerca e del recupero del casale di Balsignano e del castello di Sannicandro.
Nella primavera del 2009, il progetto superò il vaglio di una commissione di esperti e studiosi e ottenne il finanziamento regionale di € 5.000, che avrebbe dovuto coprire il 50% dei costi. A questo punto sarebbero dovuti intervenire i Comuni di Modugno e Sannicandro, che, con 2.500 euro pro capite, avrebbero dovuto coprire il restante 50% della spesa.
Ma fra le tante emergenze che i nostri amministratori si programmano, certamente non c’è posto per Balsignano, per cui la delibera dell’Amministrazione Comunale di Modugno, con grande contrarietà del Comune di Sannicandro, è arrivata soltanto ad ottobre inoltrato, quando cioè non vi era più il tempo materiale per realizzare il progetto, visto che per la Regione il termine ultimo per la presentazione della rendicontazione delle spese è quello del 31 dicembre.
Ora, al di là dell’entità, piuttosto modesta, del finanziamento regionale, è opportuno tener conto di due elementi:
il progetto di Modugno, al contrario di quelli di altre città che hanno beni culturali molto importanti e molto noti, aveva superato il vaglio della commissione regionale;
solitamente, quando un Comune entra in una graduatoria regionale, poi, negli anni successivi, ci resta e riesce anche a spuntare finanziamenti più consistenti.
Soprattutto per questo, tutti coloro che hanno lavorato al progetto “Il sistema castellare in Puglia e il ruolo, al suo interno, dei castelli di Balsignano, Sannicandro e Gioia del Colle” hanno provato un senso di rabbia e di scoramento. Se si tiene conto poi che, per inadempienze del Comune, quest’anno non è stato possibile realizzare neppure la terza edizione della “Notte di Balsignano” e che da diversi anni non vi è alcun intervento di recupero e salvaguardia del sito, non è difficile immaginare che, a dispetto di tutti i programmi elettorali, l’antico casale ha scarse possibilità di ritornare a vivere nell’immediato futuro.

La Fidapa di Modugno in visita a Balsignano tra stupore e realtà

Anno XXX N.136,137 Dicembre 2008
Rosa Nitti, [già] presidente FIDAPA

Lo stupore è il sentimento che ha provato la maggior parte del grappo della FIDAPA, domenica 5 ottobre, durante la visita a Balsignano guidata dal professore Raffaele Macina, appassionato di storia e di cultura locale e che fortemente ha voluto e vuole far rivivere una pagina di storia.
La realtà è stata più grande di ciò che molti si aspettavano, non avendo mai visto il Casale. Un “grande ammasso di pietre”, visto dall’esterno, che nasconde dei veri gioielli. Che dire della chiesa di San Felice con quella cupola arabeggiante e quel portale interessante dal punto di vista degli elementi decorativi che si ripetono poi in tutta la facciata.
La visita della corte interna del «castelluzzo», magnificamente guidata dal professore, ha riportato tutti indietro nel tempo, forse quando la stessa era animata dalla gente del borgo o quando i Modugnesi si riunivano lì per i festeggiamenti di S. Maria di Costantinopoli.
La chiesetta dedicata a Santa Maria di Costantinopoli, posta sul lato sinistro della corte, ha colpito tutti per gli affreschi molto pregevoli che essa contiene ancora.
Un casale, quello di Balsignano, assai interessante dal punto di vista archeologico e storico, che va assolutamente recuperato e portato all’antico splendore e il cui valore storico-artistico-architettonico va trasmesso a tutti i cittadini modugnesi che non possono non essere fieri di avere sul proprio territorio testimonianze di così alto valore.

Nuove fonti per la storia di Balsignano

È alla fine dell’Ottocento che il casale medievale incomincia ad essere conosciuto fra gli studiosi

Anno XXX N. 133,134 Marzo 2008
Claudia De Liso, Maria Franchini

Nel 1892 Romualdo Moscioni, fotografo viterbese con studio a Roma, venuto in Puglia su incarico del Ministero della Pubblica Istruzione, produsse un album dal titolo Apulia Monumentale composto da 235 fotografie relative a monumenti architettonici di Terra di Bari e delle province limitrofe5.
Tra questi, egli ritrasse anche il lato meridionale della chiesa all’epoca denominata S. Pietro a Balsignano, oltre all’affresco con S. Lucia ed il Santo Vescovo situato nella vicina chiesa di S. Maria. Si tratta della più antica documentazione fotografica esistente riguardante Balsignano. Essa consente di farsi un’idea dello stato della facciata meridionale della chiesa di S. Pietro prima dei restauri degli anni 1929-30. La parte realizzata in pietra squadrata consisteva nelle cinque campate scandite da lesene ancora oggi visibili, priva delle due lesene alle estremità. Ne risultava una composizione sostanzialmente simmetrica rispetto al portale, simmetria posta ancora più in rilievo dalla presenza, a destra ed a sinistra della muratura in blocchi regolari ed a filo con essa, di due bassi muretti o cataste di pietrame, che dissimulavano da un lato l’abside e dall’altro i resti di un avancorpo. La facciata in conci lavorati si interrompeva verso l’alto con il filare a denti di sega, non essendo visibili tracce della cornice. Il tetto mostrava il nucleo interno in scapoli di pietra, mentre il tamburo e la cupola erano già nelle condizioni in cui si possono osservare oggi.
L’opera di Moscioni contribuì non poco a far conoscere i resti dell’antico casale di Balsignano, di cui si era persa memoria poiché ormai, da trecento anni, il borgo era divenuto un fondo rustico con casino nel territorio di Modugno. Essa inoltre segnò la prima tappa della presa di coscienza da parte delle istituzioni dell’importanza storica e del valore artistico del complesso.
Era il periodo in cui lo stato unitario stava faticosamente costruendo le basi di un sistema di tutela dei beni culturali attraverso la produzione di un inventario degli stessi beni5. Il tempio di S. Pietro a Balsignano non sfuggì alla ricognizione. Il De Bellis, nella sua opera sugli uomini illustri di Modugno, scrisse: «L’ispettore governativo delle antichità e belle arti, l’architetto sig. Giacomo Boni, nel visitare Balsignano, ha trovato il tempietto molto pregevole e per la sua antichità e per la sua bella forma, quindi l’ha proposto al Governo per farlo annoverare fra i monumenti nazionali»6. Difatti, la chiesa entrò a far parte dell’elenco di monumenti di interesse nazionale esistenti nella provincia di Bari. Successivamente, nel 1911, fu assoggettata al vincolo con legge n. 364 del 20 giugno 1909.
A cavallo tra i due secoli, alcuni modugnesi cultori di storia locale, il sacerdote Nicola Trentadue Junior e l’avvocato Vito Faenza, condussero indagini storiche sull’antico casale di Balsignano, andando ad integrare le poche notizie già riportate dal Garruba.
A quell’epoca era vivo l’interesse per i monumenti medievali della Puglia e numerosi studiosi-viaggiatori, anche stranieri, percorrevano il nostro territorio alla ricerca delle sue bellezze storico-artistiche. Uno di essi, Émile Bertaux, autore di un’opera in lingua francese sull’arte nell’Italia meridionale, descrisse proprio il S. Pietro, considerandolo un importante esempio di chiesa a cupola: «La cappella isolata di San Pietro, presso la frazione di Balsignano, è probabilmente contemporanea a Santa Margherita a Bisceglie, alla quale assomiglia strettamente per la regolarità del suo apparecchio, per la costruzione segnata da arcate a pieno centro e per i pennacchi della sua cupola. Questa cappella, sprovvista di transetto, non è che una semplice navata voltata a botte e sormontata da una cupola. La parete esterna è molto sobriamente ornata di archetti; la porta è inquadrata da un semplice nastro decorato a denti di sega; il tamburo della cupola, di forma ottagonale, è forato da due oculi molto stretti. La cappella di San Pietro, come la piccola chiesa di Santa Margherita, è una libera imitazione di un modello bizantino. Queste chiese in miniatura, rimarchevoli per l’eleganza delle proporzioni e l’esattezza dell’apparato, potrebbero dare ancora dei modelli d’eccellenza per delle chiese di campagna». Dopo il Bertaux altri studiosi rivolsero la loro attenzione al complesso monumentale: Antonino Vinaccia13 e, in particolare, Giuseppe Ceci14, il quale disvelò numerosi documenti riguardanti il casale di Balsignano, la maggior parte dei quali conservati presso l’Archivio di Stato di Napoli, alcuni pubblicati nel Codice Diplomatico Barese. Unendo queste fonti diplomatiche ad antiche testimonianze storiche, come la Cronaca di Domenico da Gravina, egli operò la ricostruzione di un ampio periodo di vita del borgo, dal X al XVI secolo. Il suo scritto rimane ancora oggi una pietra miliare degli studi storici su Balsignano, anche perché molte fonti da lui consultate andarono perdute durante il bombardamento che nel 1943 distrusse parte delle carte dell’Archivio di Stato di Napoli. I preziosi resti del passato medievale della Puglia furono presentati ad un vasto pubblico in occasione di due esposizioni di notevole rilevanza. L’Esposizione Nazionale di Torino del 1898 festeggiava il cinquantenario dello Statuto del Regno concesso da Carlo Alberto. Nell’ambito della manifestazione, fu allestita una mostra medievale pugliese contenente una imponente collezione di 72 calchi in gesso che riproducevano le sculture ornamentali delle chiese e dei castelli della Terra di Bari dal secolo XI al XIV secolo ed un ricco apparato di 127 fotografie raccolte in un album con un’aggiornata bibliografia.
L’Esposizione Internazionale del 1911, realizzata in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia, coinvolgeva le città che erano state capitali, Torino, Firenze e Roma, con diverse manifestazioni. A Roma si svolsero tre mostre, una a carattere artistico, l’unica di respiro internazionale, una storica e l’altra etnografica, quest’ultima consistente in una presentazione delle diverse regioni italiane. Nel padiglione pugliese, progettato dall’architetto Angelo Pantaleo, ispettore della Soprintendenza ai monumenti di Bari, vennero illustrate le emergenze architettoniche ed artistiche regionali attraverso calchi, copie, reperti archeologici e riproduzioni fotografiche15 .
In quell’occasione si potè ammirare una riproduzione dell’affresco del Santo vescovo conservato nella chiesa di S. Maria di Balsignano. Nelle pagine della guida alla mostra dedicate alle sale di arte bizantina fu inserita la foto della copia dell’affresco con la didascalia «Pittura di S. Nicola». Nel testo della guida si legge: «In questa sala (fig. 34) sono riprodotte dall’avv. Giuseppe Pastina alcune delle pitture murali pugliesi, e precisa- mente quelle che sono chiamate Basiliane e sono classificate di scuola Bizantina» e più avanti: «Di Balsignano presso Modugno è stato riprodotto un S. Nicola di fattura mirabile, in cui la evoluta composizione del disegno (poiché pare un dipinto quattrocentesco) e la studiata parsimonia del colore sono in grave contrasto con gli ornamenti delle vesti e dei paramenti sacerdotali». Dopo l’individuazione e lo studio del monumento arrivò la stagione dei restauri.
Nel 1929 il soprintendente alle Opere d’Antichità e d’Arte delle Puglie Quintino Quagliati visitò con il professor Gino Chierici, membro del Consiglio Supremo d’Antichità e Belle Arti, il tempio di S. Pietro a Balsignano. L’11 dicembre inviò al Ministero della Pubblica Istruzione un telegramma che lasciava trapelare la preoccupazione per lo stato in cui versava la chiesa: «Riscontrate gravissime condizioni statiche monumento-urge provvedere-chiedo assegno lire diecimila lavori immediati». Il 21 dicembre il Ministero assegnò la somma richiesta.
Un importante documento relativo ai restauri eseguiti in quegli anni è una lettera recante la data del 7 agosto 1930 scritta dall’architetto incaricato dei lavori, Luigi Concari, ed indirizzata al Soprintendente, accompagnata da una fotografia attualmente conservata nell’Archivio fotografico della Soprintendenza di Bari. L’oggetto della lettera era il restauro dell’abside della chiesa di S. Pietro. L’architetto Concari proponeva una revisione della linea d’intervento precedentemente concordata, consistente nella demolizione dell’abside tranne che nella parte centrale sino alla finestra e nel raccordo di questa parte con le pareti laterali della chiesa attraverso una nuova muratura.
L’esigenza di una variante al progetto era maturata alla luce di quanto si era potuto rilevare solo dopo lo sbancamento del cumulo di pietre che ricopriva l’abside all’esterno: «Il muro absidale esterno dalle fondazioni in linea semicircolare, e nel primo rialzo con una semplice cornice di basamento (perfettamente uguale a quella che si riscontrò nel lato sud della chiesetta) passa
a linea pentagonale, di cui esiste una alzata di circa m. 1, in ottime condizioni, con relative legature agli angoli delle pareti laterali». Si trattava a suo parere di un importante rinvenimento, che forniva nuovi elementi per la ricostruzione già programmata della parte absidale. La linea d’intervento proposta escludeva la demolizione interna dell’abside, poiché le sue condizioni statiche erano giudicate ottime, tranne che per uno strapiombo di 2 cm verso l’esterno che avrebbe potuto essere contraffortato dalla suddetta ricostruzione esterna del muro. Il legamento con le pareti laterali sarebbe stato ottenuto con il rifacimento della sola risega angolare alle estremità. L’architetto concludeva la lettera con un riepilogo della proposta d’intervento, restando comunque in attesa di indicazioni da parte del Soprintendente: «Così si avrà l’esterno dell’abside (che attualmente non esiste) completamente di nuova ricostruzione, l’interno com’è attualmente in opera, senza nessuna manomissione, e i legamenti tra l’abside e la nave di nuova costruzione, sulle primitive tracce preesistenti e visibili».
Nell’aprile del 1931 un contributo di £ 4.000 per i lavori di restauro della chiesa venne elargito dall’Ente fascista per la tutela dei monumenti in Terra di Bari, per mezzo del professor Michele Gervasio, all’epoca direttore del Museo Archeologico Provinciale.
I restauri furono eseguiti (non si sa se totalmente o in parte) da Francesco Napoletano, costruttore edile di Bisceglie, che poteva vantare nel proprio curriculum lavori alla basilica di S. Nicola di Bari, a Castel del Monte e alla chiesa di Ognissanti a Trani.
In una lettera del 1953, inviata dalla Soprintendenza ad una studiosa che stava effettuando una ricerca sui restauri del S. Pietro a Balsignano sotto la direzione di Quagliati, sono riportate notizie desunte dagli atti contabili dell’Economato relativi all’esercizio finanziario 1929- 30. Da questi risulterebbe che i lavori furono eseguiti dal 24 novembre 1929 al 18 gennaio 1930 con un impiego medio di 14 operai alla settimana per una spesa complessiva lorda di £ 8.376,60. Fra gli atti si troverebbero sei fatture quietanziate dalla ditta Francesco Napoletano per la fornitura ed il trasporto del seguente materiale: 20 carretti di pietra da taglio cantoni grezzi proveniente dalle cave di Giovinazzo, 7,55 quintali di cemento e 53 quintali di pozzolana, per una spesa complessiva di £ 1.623. Difficile capire perché in questo documento non venga fatto cenno della lettera dell’architetto Concari, né è possibile dare una spiegazione delle discrepanze sul periodo in cui si svolsero i lavori rilevabili tra le diverse fonti citate.
Di sicuro i restauri non dovevano aver interessato l’intero corpo dell’edificio se già nel 1938 l’avvocato Nicola Capitaneo, regio ispettore onorario ai monumenti di Modugno, segnalava al soprintendente Nello Tarchiani lo stato di precarietà del monumento: «La chiesa di S. Pietro in Balsignano, come già verbalmente feci cenno, necessita di restauri. La bella cupola, che internamente si conserva bene, è invece esternamente in tale stato da non poter evitare la infiltrazione delle acque di pioggia. Occorre visita dell’architetto per i lavori del caso». Il soprintendente rispondeva che, pur essendosi convinto dopo un sopralluogo della necessità di provvedere alla conservazione della cupola che si andava «lentamente disgregando», non disponeva al momento di fondi. D’altra parte, era sua opinione che l’intervento avrebbe anche dovuto prevedere una sistemazione dell’intorno, se non definitiva, per lo meno tale da garantire la conservazione del prezioso rudere. In particolare, riteneva che non fosse prudente lasciare sul luogo tutto lo scarico di pietrame allora esistente.
Qualche mese più tardi lo stesso soprintendente, avendo avuto notizia che dalla cinta muraria del casale di Balsignano erano stati asportati alcuni blocchi in pietra squadrata, invitava il proprietario Francesco Lattanzio a fare esercitare dal fittavolo una più attiva sorveglianza, per evitare il ripetersi del fatto e per impedire che venisse manomesso anche l’edificio monumentale della chiesa di S. Pietro, e contemporaneamente chiedeva al comandante del consorzio delle guardie campestri una vigilanza più attenta della contrada.
Nicola Capitaneo tornò nel 1940 a denunciare il compimento di atti vandalici a danno del casale al soprintendente Alfredo Barbacci.
Negli anni Cinquanta fu il soprintendente Franco Schettini ad interessarsi della chiesa di S. Pietro, che considerava «monumento di grande interesse architettonico e da annoverarsi tra i più tipici dell’arte pugliese nei secoli XII-XIII».
Egli nel dicembre del 1950 scrisse al Ministero una lettera in cui enunciava la necessità di intervenire prontamente per scongiurare la perdita irreparabile dell’edificio che, ricadendo in una proprietà privata, mancava di una qualunque manutenzione.
Pertanto proponeva l’esproprio della chiesa e di una piccola zona di rispetto. Inoltre chiedeva lo stanziamento di una somma di circa £ 4.000.000 per procedere con urgenza al consolidamento delle parti pericolanti del monumento. Allegate alla lettera erano 4 fotografie, ora conservate nell’Archivio fotografico della Soprintendenza di Bari. Esse mostrano il fianco nord-ovest del corpo rustico della chiesa sommerso all’esterno per metà dell’altezza da un vasto cumulo di detriti di pietra, senza dubbio risultato di crolli.
Il Ministero fece conoscere le proprie decisioni in merito alla necessità di consolidamento immediato solo nell’agosto del 1951, in seguito ad un sollecito, con la seguente nota: «A prescindere dal fatto che la chiesa in oggetto è di proprietà privata, il Ministero non ha alcuna possibilità di far stanziare, per il restauro del sacro edificio in questione, una somma così rilevante».
Il primo passo da compiersi era dunque l’esproprio e prontamente fu richiesta all’Ufficio Tecnico Erariale una relazione di stima del monumento. La perizia, datata marzo 1954, così recita: «Antica chiesetta di stile romanico in gran parte diroccata; in muratura di pietra. Si presenta ancora in condizioni di stabilità il prospetto principale con i caratteristici elementi architettonici dello stile romanico; relativamente stabili sono le murature e le cupole, in numero di tre, dell’abside e dello spazio per i fedeli; una quarta cupola ed una copertura a volta sono quasi totalmente diroccate; mancano pavimenti ed infissi. La superficie totale coperta dalla chiesetta è di circa metri quadrati cinquanta.
Si valuta nelle attuali condizioni, lire centomila; escluso ogni valutazione di pregio artistico.
Il fondo rustico circostante la antica chiesetta è seminativo con qualche ulivo; considerato che la chiesetta ha un lato lungo strada, la eventuale zona di rispetto della larghezza di metri dieci misurerebbe la estensione di circa metri quadrati cinquecento, che si valutano lire cinquantamila».
L’iniziativa di Schettini non ebbe seguito e nei documenti non si trova alcun cenno all’esproprio per i successivi trent’anni. Intanto proseguiva la spoliazione dei conci del muro di cinta medievale del casale, per ricavarne materiale calcareo, ed il soprintendente faceva nuovamente appello al comando dei vigili campestri perché intensificasse l’opera di vigilanza «su tutto il complesso della chiesa e del castelletto di Balsignano abbandonati purtroppo a delittuosa rovina ed incuria».
Nel 1959 parve delinearsi una nuova minaccia, rappresentata dall’ammodernamento della strada provinciale 92 Modugno-Bitritto. Bisogna premettere che la Modugno-Bitritto era stata già sistemata in base ad un disegno del 1877 dell’ingegnere Giuseppe Revest, che aveva previsto, tra l’altro, la costruzione di un ponte sulla lama di Balsignano27. I terreni adiacenti al vecchio percorso erano stati oggetto di esproprio, ed anche Giovanni Alfonsi, all’epoca proprietario del fondo comprendente il casale di Balsignano, compariva nell’elenco degli espropriandi. Infatti, il suo possedimento fu privato di una stretta fascia di terreno lungo il confine orientale28, pari circa ad un terzo della lunghezza di tale confine verso nord, come si evince dai grafici di progetto29.
Il progetto del 1959 redatto dalla Provincia andava nuovamente ad interessare la contrada di Balsignano con la previsione di una curva proprio a monte del casale, per estromettere dal nuovo asse a scorrimento veloce il bivio in cui andavano a confluire quattro strade, cioè i due rami della Modugno-Bitritto da rinnovare, una vecchia via per Modugno ed il tragitto che collegava Balsignano a Bitetto costeggiando a nord il casale.
Fu inoltre previsto l’allargamento e la regolarizzazione della sede stradale preesistente, ma con un tracciato che, come poteva rilevarsi dagli elaborati grafici, andava a sovrapporsi al lotto recintato del casale proprio in prossimità della chiesa di S. Pietro. Di conseguenza, l’attuazione del progetto secondo quello schema avrebbe comportato la demolizione delle antiche mura, già compromesse dagli interventi del 1877, fino all’angolo sud-est, cioè quello adiacente alla lama.
La Soprintendenza chiedeva alla Provincia notizie in merito auspicando una collaborazione «onde studiare la possibilità di non recare nessun danno ai ruderi monumentali e di cogliere, anzi, l’occasione per una loro migliore valorizzazione turistica ambientale». Si intervenne in tempo per scongiurare il peggio anche se il proprietario ebbe a lamentarsi con la Soprintendenza che nell’eseguire la strada era stato demolito una parte del muro a secco di recinzione del suolo e che dal varco continuavano ad entrare greggi e ragazzi. A partire dagli anni Settanta si svolsero delle ricerche, i cui risultati furono resi noti attraverso pubblicazioni e due importanti mostre, quella su “Puglia XI secolo” alla Pinacoteca di Bari nel 1975 e quella su “Insediamenti benedettini in Puglia” al Castello Svevo tra novembre 1980 e gennaio 198130. Il complesso di Balsignano fu oggetto dell’interesse degli studiosi, che contribuirono a meglio inquadrare dal punto di vista storico e critico le sue emergenze architettoniche. Gli scritti del Ceci furono rispolverati e divenne dato acquisito l’intitolazione della chiesa a cupola a S. Felice e non a S. Pietro.
La rivista Nuovi Orientamenti di Modugno, insieme ad altre associazioni, contribuì con diverse iniziative a diffondere tra i cittadini e le amministrazioni locali la consapevolezza dell’importanza del monumento e della urgenza di sottrarlo all’abbandono e alla rovina31.
Negli anni Ottanta, con il soprintendente Riccardo Mola32, ripresero vigore le iniziative istituzionali. Con D.M. del 14 febbraio 1981 l’intero complesso murato venne dichiarato di interesse particolarmente importante ai sensi della legge n.1089 del 1° giugno 1939, in quanto «eccezionale esempio di complesso medievale» e sottoposto a tutte le disposizioni di tutela previste dalla legge. Nel 1982 fu elaborato dai Ministeri per i Beni Culturali e per gli Interventi Straordinari per il Mezzogiorno il progetto speciale denominato “Itinerari turistico-culturali”, che vedeva Balsignano inserito con altri centri dell’entroterra a sud di Bari (Valenzano, Sannicandro, Binetto, Binetto, Noicattaro, Conversano) nell’itinerario caratterizzato dalla “cultura araba, bizantina, normanna, sveva”. L’importo destinato a Balsignano era di £ 600.000.000, e parte dello stesso avrebbe potuto essere utilizzato per l’esproprio del bene.
Nello stesso anno, anche il Comune di Modugno esprimeva l’intenzione di voler acquisire l’immobile, iniziativa che incontrava i favori della Soprintendenza.
Il nodo della questione infatti continuava ad essere la proprietà privata del bene, principale ostacolo all’accesso a finanziamenti pubblici. In questi casi spettava al proprietario far eseguire le opere necessarie alla conservazione del complesso monumentale, ferma restando la possibilità per lo stesso di ottenere un contributo a lavori ultimati e collaudati. L’avvocato Lacalamita si era dichiarato indisponibile ad effettuare i restauri, ma disponibile a cedere il casale. La complessa vicenda burocratica conclusasi a quasi vent’anni di distanza, nel 2000, con l’acquisizione del casale da parte del Comune di Modugno, è stata puntualmente documentata sulle pagine di questa rivista.
Nel frattempo, per contrastare l’ulteriore deterioramento dell’immobile, oggetto fra l’altro di ripetuti furti nel 1988, furono eseguiti dalla Soprintendenza alcuni interventi più urgenti sotto la direzione dell’architetto Emilia Pellegrino.
Nel novembre del 1989 furono avviati i lavori nella chiesa di S. Felice: fu restaurata la cupola, il corpo rustico venne liberato dai detriti che l’ostruivano verso nord e le strutture murarie emerse vennero consolidate; si eseguirono scavi all’interno della chiesa a cura della Soprintendenza archeologica di Puglia35.
Nel 1991 venne effettuato il consolidamento delle coperture della chiesa di S. Maria ed il restauro del tratto della cinta muraria meridionale compresa tra l’abside di S. Maria e la strada provinciale Modugno-Bitritto. Si scavò nuovamente attorno alla chiesa di S. Felice ed all’intemo della chiesa di S. Maria36. Nel 1999 venne effettuato il consolidamento e fissaggio al supporto murario di alcuni degli affreschi in S. Maria. A partire dal 1998 sono state eseguiti il consolidamento delle murature e la ricostruzione della torre occidentale del castello, e, a partire dal 2006 e sino a maggio del 2007, ci sono stati lavori di restauro e musealizzazione della chiesa di S. Maria. Gli ultimi scavi eseguiti in prossimità di questi monumenti hanno prodotto risultati molto interessanti per la conoscenza del casale37.
Purtroppo, da 10 mesi non si registra più alcun intervento, per cui anche il recupero di Balsignano rischia di diventare una storia senza fine.

Note
  1. 1. L’intera opera di Moscioni è stata pubblicata integralmente nel libro: C. GELAO, G. M. JACOBITTI (a cura di), Castelli e cattedrali di Puglia. A cent’anni dall’Esposizione Nazionale di Torino, catalogo della mostra (Bari, Castello Svevo, 13 luglio - 31 ottobre 1999), Adda, Bari 1999, pp. 117-355.

    2. Fu lo studioso Giuseppe Ceci a scoprire che la chiesa era intitolata a S. Felice e non a S. Pietro, come si era creduto fino ad allora confondendo questa con un’altra chiesa appartenuta all’ordine teutonico, che era situata nella campagna vicina. Si veda: G. CECI, Balsignano, inserto a “Nuovi Orientamenti”, X (1988), n. 5-6, p.11 ; lo scritto del Ceci fu pubblicato per la prima volta nel 1932 sulla rivista “Japigia”.

    3. C. GELAO, G. M. JACOBITTI (a cura di), op. cit., pp. 221-222.

    4. 4 Della lesena all’estremità orientale, verso l’abside, ricostruita nei restauri del 1929-30, esisteva solo l’attacco a terra.

    5. M. G. DI CAPUA, Note storiche sul servizio di tutela dei beili culturali in Puglia da Carlo III di Borbone ad oggi (1755-1997), in “BIAS”, 1997, n. 1, pp. 5-69.

    6. G. DE BELLIS, Modugno e ì suoi principali uomini illustri, Stab. Tip. Fili Pansini fu S., Bari 1892, p. 76, n. f.

    7. Archivio di Stato di Bari, Intendenza e Prefettura, Monumenti e scavi, busta 8, fasc. 200/1

    8. 8 Archivio per la soprintendenza per i beni architettonici e per il passaggio per le provincie di Bari e Foggia, Bari, Modugno-Balsignano, cart. 25.

    9. N. TRENTADUE JUNIOR, Cenno storico sul culto della Vergine Addolorata patrona della città di Modugno, Cannone, Bari 1876, nn. 8, 22.

    10. G. DE BELLIS, op. cit, pp. 77-78.

    11. M. GARRUBA, Serie critica de’ Sacri Pastori baresi. Cannone, Bari 1844, pp. 930-931.

    12. È. BERTAUX, L’art dans VItalie Méridionale, Paris, Fonte- moing, 1904, libro III, p. 381.

    13. A. VINACCIA, L’architettura pugliese nel Medioevo, in “Rassegna Tecnica Pugliese”, VII (1908), fase. VI, pp. 81-89, tavv. I-II; A. VINACCIA, I monumenti medievali di Terra di Bari, Bari 1915, ristampa Multigrafica, Roma 1981, voi. I, pp. 102-104, tavv. IV-V.

    14. G . CECI, Balsignano, in “Japigia”, III (1932), pp. 47-66.

    15. R. PULEJO, Il medioevo pugliese alle Esposizioni di Torino (1898) e Roma (1911), in C. GELAO, G. M. JACOBITTI (a cura di), op. cit., pp. 27-30.

    16. II padiglione pugliese nell’Esposizione Regionale in Roma. Guida, G.U. Nalato, Roma MCMXI, pp. 75-77, fig. 35.

    17. Quintino Quagliati (Rimini, 1869 - Taranto, 1932) era archeologo. Vice ispettore del Museo Nazionale di Taranto e Scavi di Antichità dal 1898, ne divenne ispettore nel 1907 e direttore nel 1909. Fu soprintendente unico della Puglia dal 1923 al 1932 e durante questi anni profuse un grosso impegno nell’effettuare scavi e restauri. Si ricordano i restauri della basilica di S. Nicola e della cattedrale di Bari, di Castel del Monte, di S. Maria del Casale a Brindisi, per citare i monumenti più famosi. Si veda: M. G. DI CAPUA, op. cit., p. 56, n. 50.

    18. Gino Chierici (Pisa, 1877 - Milano, 1961) entrò nella Soprintendenza di Pisa come architetto nel 1910. Dal 1919 fu soprintendente a Siena, tra il 1924 ed il 1935 fu soprintendente dell’arte medievale e moderna della Campania, successivamente venne trasferito a Milano, dove si occupò del restauro di importanti monumenti, quali la basilica di S. Lorenzo e S. Maria delle Grazie. Dopo la guerra, in seguito a provvedimenti di epurazione politica, venne ufficialmente posto a riposo, ma spesso ebbe incarichi ispettivi. Continuò fino alla morte a lavorare al complesso paleocristiano di Cimitile, presso Nola, da cui era rimasto affascinato sin dal tempo della sua permanenza a Napoli. Si veda: L. GALLI, Il restauro nell’opera di Gino Chierici (1877-1961), Franco Angeli, Milano 1989.

    19. Archivio della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio per le province di Bari e Foggia, Bari, Modugno-Balsignano, cart. n. 25. Tutti i documenti citati di seguito provengono da questo archivio, tranne che non sia espressamente indicata in nota un’altra fonte.

    20. Luigi Concari fu architetto della Soprintendenza di Taranto, sezione Monumenti. Diresse tra l’altro i lavori di restauro alla Basilica di S. Nicola. Si veda: M. G. DI CAPUA, op. cit., p. 56, n. 52.

    21. Archivio fotografico della Soprintendenza per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico per le province di Bari e Foggia, Bari, Modugno-Balsignano, neg. n. 651 cat. B.

    22. L’architetto la designa come “S. Maria”: si tratta evidentemente di un lapsus;

    23. Nello Tarchiani, toscano, fu dal 1913 ispettore della Soprintendenza alle Gallerie, ai musei medievali e moderni e agli oggetti d’arte di Firenze. Fu soprintendente unico della Puglia per un breve periodo, dal 1937 al 1938, caratterizzato da frequenti assenze dovute al suo incarico dì direttore della Pinacoteca di Siena. Si veda: M. G. DI CAPUA, op. cit, p. 57, n. 64.

    24. Alfredo Barbacci, ingegnere ed architetto, nacque ad Ancona nel 1896. Fu soprintendente in diverse sedi dall’Abruzzo all’Emilia, ad Arezzo, Pistoia, Verona e Mantova, e soprintendente unico della Puglia dal 1939 al 1943. Fu docente di Restauro dei monumenti presso la facoltà di architettura di Firenze ed autore di importanti restauri nelle cattedrali di Pienza, Modena, Trani, e Molfetta. Si veda M.G. DI CAPUA, op.cit., p.57, n. 66.

    25. Francesco Schettini (Turi, 1914 - Roma, 1974), architetto, entrò nella Soprintendenza di Bari come capo dell’Ufficio Tecnico. Nel 1938 vinse il concorso da ispettore. Nel 1943 fu nominato reggente a Bari dove divenne soprintendente. Fu trasferito a Bologna nel 1965. Si veda: M. G. DI CAPUA, op. cit., p. 58, n. 83.

    26. Si sottolinea il riferimento ad una quarta cupola e ad una copertura a volta quasi totalmente diroccate, all’epoca ancora riconoscibili sotto il cumulo di pietra che circondava la chiesa sui lati nord- ovest e sud-ovest. 

    27. II ponte di Revest crollò durante l’alluvione del 1906. Si veda: Archivio di Stato di Bari, Comune di Modugno, Lettera del 22 Giugno 1906 di Domenico Sciannimanico al Sindaco di Modugno, cart, n. 403

    28. II lato orientale è quello corrispondente all’attuale ingresso al casale.

    29. Archivio di Stato di Bari, Comune di Modugno, Progetto di sistemazione della strada obbligatoria nel tratto compreso dall’abitato di Modugno verso Bitritto, Giuseppe Revest ingegnere, 1877, cart. n. 403.

    30. R BELLI D’ELIA (a cura di). Alle sorgenti del romanico. Puglia XI secolo, catalogo della mostra, Amministrazione Provinciale, Bari 1975; M. S. CALÒ MARIANI (a cura di). Insediamenti benedettini in Puglia. Per una storia dell’arte dall’XI al XVIII secolo, catalogo della mostra, 2 voli. Congedo, Galatina 1981.

    31. Si segnala in particolare: A. PEPE, La chiesa di S. Felice (S. Pietro) in Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, II (1980), n. 4, pp. 27-30; R. LICINIO, Balsignano può tornare a vivere, in “Nuovi Orientamenti”, Il (1980), n. 5-6, pp. 25-27; A. PEPE, Balsignano nell’attualità di un itinerario, in “Nuovi Orientamenti”, IV (1982), n. 4-5, pp. 25-27; R. MACINA (a cura di). Atti del Convegno “Balsignano: quale futuro? (7 gennaio 1983)”, in “Nuovi Orientamenti”, V (1983), n. 1-2, fascicolo allegato; N. LAVERMICOCCA, Per un “parco archeologico” a Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, X (1988), n. 5-6, pp. 9-10.

    32. Riccardo Mola (Napoli, 1935 - Bari, 1991), architetto, entrò nell’amministrazione dei beni culturali nel 1966. Fu soprintendente ai monumenti del Friuli Venezia Giulia e Trieste prima di essere trasferito a Bari, dove restò in servizio fino al 1991. Si veda: M. G. DI CAPUA, op. cit, p. 58, n. 88.

    33. Si segnalano in particolare i seguenti contributi: R. MACINA, Balsignano: prima posizione chiara e coraggiosa dell’amministrazione comunale, in “Nuovi Orientamenti”, V (1983), n. 4, pp. 12-13; R. MACINA, Un primo passo per il recupero di Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, V (1983), n. 6, p. 19; N. MAGRONE, Balsignano, emblema della penalizzazione di un bene culturale del sud, in “Nuovi Orientamenti”, XVI (1994), n. 72, pp. 14-17; R. MACINA, Il Comune potrebbe avere in convenzione Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, XVII (1995), n.76, pp. 8-9; R. GRECO, Notizie, in “Nuovi Orientamenti”, XXII (2000), n. 96, p. 4.

    34. Si veda: R. MACINA, Nuovo tentativo di furto a Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, X (1988), n. 4, pp. 14-15; S. CORRIERO, Ancora un furto a Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, XI (1989), n. 3, pp. 9-10.

    35. L. NUZZI, Lavori a Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, XI (1989), n. 6, p. 11.

    36. L. NUZZI, Stanziati 540 milioni per Balsignano e Si delinea una Modugno archeologica, in “Nuovi Orientamenti”, XIII (1991), n. 1-2, pp. 16-18; R. MACINA, Si profila un futuro per Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, XIII (1991), n. 4, pp. 2-3.

    37. M. FRANCHINI, Prevista per il prossimo anno l’agibilità del castello di Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, XXVIII (2006), n. 124, pp. 27-30.

Balsignano entusiasma “gli orfani di Basaglia”

Il Casale di Balsignano è stato oggetto di un interessante progetto rivolto
a chi soffre di problemi psichici

Anno XXIX N.128,129 Agosto 2007
Ivana Pirrone

«Date il cinque per mille alla nostra associazione Onlus» è il ritornello che ci perseguita in questi giorni nei quali si prepara la dichiarazione dei redditi. Richiesta sacrosanta, intendiamoci, che permette a tanti volontari di operare e di incidere, per quanto è possibile, sul fronte immenso dei bisogni umani. Tutti prioritari, tutti da perseguire, combattendo il male sotto ogni sua manifestazione, sia che tocchi la fisicità, sia che travolga la psiche dell’uomo. Tanti rispondono a questi appelli, in una Italia fondamentalmente generosa, anche se un po’ distratta, per cui in tanti leggono, recepiscono il messaggio, si impietosiscono, assegnano il benedetto cinque per mille a chi sembra loro più meritevole d’aiuto e … subito dopo rimuovono il problema. Sembra quasi che l’aver devoluto la somma ad una qualche associazione ci esenti da ogni forma ulteriore di partecipazione alle problematiche che affliggono l’umanità e di solidarietà per chi di quelle problematiche è vittima. Si può fare diversamente, però, ed alcuni redattori di Nuovi Orientamenti l’hanno fatto. Ecco la storia.
L’associazione “Aurora”, fondata dai familiari dei malati psichici per assisterli nei loro rapporti con le istituzioni e la cosiddetta società civile, per sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica ai problemi con cui gli «orfani di Basaglia» si scontrano, per promuovere la creazione sul territorio di quelle strutture che l’applicazione della legge Basaglia prevedeva alla chiusura dei manicomi, ha promosso degli incontri con gli assistili del C.S.M. (Centro di Salute Mentale) di via Pasubio a Bari durante i quali, attraverso colloqui, brevi conferenze, visione di foto o di video, questo particolare tipo di pazienti è stato motivato ad occuparsi di alcune testimonianze di Terra di Bari risalenti al Medioevo. Chi legge potrebbe chiedersi il perché di questa scelta. Ebbene, in realtà si è semplicemente pensato di condividere con queste persone l’esperienza di una visita in luoghi particolarmente significativi del nostro territorio per ricostruire momenti di un passato che condividiamo. per riconoscere la nostra appartenenza ad una radice comune, rievocando eventi remoti della storia che in parte spiegano la realtà del presente. Dunque, un momento di arricchimento culturale, realizzato sotto forma di dialogo in un clima di amichevole condivisione.
Durante gli incontri i redattori di Nuovi Orientamenti hanno messo a disposizione le loro professionalità e competenze, per cui Franco Gnan e Mimmo Tedesco, geologi, hanno illustrato la natura del territorio e messo in evidenza le caratteristiche tipiche delle nostre lame; Maria Franchini, architetto, si è occupata dell’analisi stilistica dei monumenti; Renato Greco, poeta, ha ricostruito le vicende di cui è stato teatro il castello di Sannicandro nel corso dei secoli; e chi scrive, autrice del progetto, faceva da collegamento fra tutti.
Gli incontri sono stati seguiti con una partecipazione che si deve stimare soddisfacente se si considera che le persone coinvolte abitualmente appaiono chiuse totalmente in se stesse e del tutto disinteressate a ciò che le circonda. C’è stata anche qualche domanda, volta più a rassicurarsi sul fatto che presto ci sarebbe stata una visita insieme ai luoghi illustrati che a chiarire qualche punto delle trattazioni. Più intensa, comunque, è stata la partecipazione alle ricognizioni sul campo che sono seguite agli incontri teorici, durante le quali si è potuto “toccare con mano” quanto era stato precedentemente presentato.
Balsignano prima, immersa nel verde della sua Lamasinata, fitto della splendida fioritura di questa tarda primavera, il castello di Sannicandro poi, con una rappresentazione in costume evocatrice dei momenti e dei personaggi salienti di cui è stato teatro, hanno accolto i due gruppi di questi particolari turisti che apparivano molto partecipi, interessati, distesi e pronti a recepire la nuova esperienza.
Il pranzo, accompagnato da musica dal vivo e, per chi se l’è sentita, dalle danze, ha rappresentato un ulteriore momento di socializzazione in un’atmosfera giocosa, cui tutti hanno aderito con entusiasmo. Tanti si sono esibiti ballando, altri battevano il tempo guardando la pista, c’era chi osava battute di spirito e confidenze con il vicino.
Un successo? Non so. Piuttosto una goccia nel mare dei bisogni, del tempo dedicato a chi, accanto a noi, affronta quotidianamente problemi che per pura fortuna noi non viviamo sulla nostra pelle. Probabilmente questa esperienza avrebbe un senso (e solo i terapeuti che guidano il C.S.M. possono valutarne gli effetti) se fosse ripetuta con sistematica continuità per un significativo lasso di tempo.
Certo, noi abbiamo arricchito la nostra sensibilità e da oggi in poi non potremo liquidare solo con una elargizione in denaro il problema della solitudine e dell’indifferenza di cui sono vittime tanti nostri simili.

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