Anno XIII N. 99 Luglio 2001
Raffaele Macina

Continua inesorabilmente il degrado di Balsignano. Mentre in campagna elettorale c’era chi rivendicava i suoi meriti a pro di Balsignano (quanti politici dal 1980 hanno rivendicato i loro numerosi meriti su questo sfortunato casale medievale, o se si vuole sul suo degrado!), lì sul campo si registravano nuovi drammatici elementi di rovina.

In una nostra lettera al commissario prefettizio del 9 maggio chiedevamo un intervento urgente.

Vale, forse, la pena di riproporre il testo:

«Egr. Commissario, come lei saprà, il Comune di Modugno da poco meno di un anno ha acquisito il complesso di Balsignano limitatamente alla parte di terreno su cui insistono le ben note emergenze artistico-architettoniche. Purtroppo, il passaggio dal privato al Comune non ha in alcun modo arrestato il degrado del complesso medievale. La mancanza di qualsiasi vigilanza e la totale incuria degli ultimi mesi rischiano di produrre l’irreparabile.

Pertanto, ci permettiamo di segnalare tre problemi che richiedono un immediato intervento:

  1. sotto la porta esterna a ridosso dell’abside di S. Maria di Costantinopoli è stata prodotta una apertura dalla quale tutti possono entrare direttamente nella corte interna del castello;

  2. accanto a questa porta è franato un pezzo delle mura con grave danno della stabilità del resto della cinta muraria (peraltro, in questi giorni abbiamo sorpreso gente che si appropriava dei conci di pietra per portarseli via; qualche giorno fa sono state sorprese alcune persone che addirittura tentavano di asportate alcuni conci della facciata della chiesa di San Felice, come peraltro è già accaduto nel passato);
  3. il muro a secco che si sviluppa dai due lati del cancello di entrata, a ridosso della provinciale, è stato praticamente rovinato, per cui è agevole l’entrata anche a chi pensa di poter celebrare eventuali riti satanici in luoghi che hanno il fascino della storia e dell’arte;
  4. le erbacce hanno ormai raggiunto la loro massima altezza e se qualcuno dovesse gettare un mozzicone, allora ci troveremmo davanti all’irreparabile”.

Purtroppo, il peggioramento delle condizioni di Balsignano in presenza del solo acquisto da parte del Comune era largamente prevedibile. Bisognava e bisogna subito partire con un grande progetto che riguardi tutta l’area archeologica (il casale, il villaggio neolitico, i palmenti e le due lame, che hanno un grande interesse paesaggistico, botanico e faunistico). Ed invece, si è preferito impegnarsi con qualche talk show, in cui tanti hanno rivendicato il loro eterno amore e il loro grande impegno nel passato su Balsignano.

Penso proprio che ci debba essere una radicale inversione di tendenza: da subito bisogna partire su Balsignano mettendo insieme innanzitutto le due Soprintendenze, il Comune, la Provincia e la Regione, utilizzando tutte le energie e competenze non solo locali e cercando di utilizzare finanziamenti europei.  Balsignano, per la sua storia e rilevanza, non è cosa che possa essere affrontata solo dai modugnesi e solo coi fondi del Comune. C’è spazio anche per i privati, purché il loro intervento non alteri la natura e la vocazione dell’intera area.

Ebbene, su Balsignano ci sono due proposte: la prima è un vero e proprio progetto che, predisposto dal Comune, il 3 febbraio del 1996 fu approvato all’unanimità dal consiglio comunale in previsione di accedere ai finanziamenti europei; il secondo è uno studio di massima presentato nell’autunno scorso dall’avvocato Colavecchio che aspira ad un accordo di programma col Comune e agli stessi finanziamenti europei.

Il progetto del 1996, ahimè incomprensibilmente cestinato in tutti questi anni, e che in ogni caso va riaggiornato, prevede un parco archeologico-naturalistico che comprenda il casale, il villaggio neolitico, le lame e preveda un museo archeologico-naturalistico, un centro studi angioino-aragonese, il completamento degli studi del villaggio neolitico, la ricostruzione di una capanna neoliti ca, un programma di visite guidate che collochi tutta l’area in itinerari storico-turistici di natura almeno provinciale.

Il progetto di massima di Colavecchio parla di alcune di queste finalità, ma finisce col- l’attribuire un ruolo importante alla realizzazione di strutture che non hanno un interesse archeologico o storico-culturale. Fra i punti della relazione di accompagnamento si legge:

“In sintesi, l’idea guida del progetto consiste … in un cosiddetto ‘Parco a tema’, e cioè:

  • realizzare il progetto di un centro di svago e intrattenimento principalmente sulle aree di proprietà privata del cosiddetto “Boschetto”, … alle quali dare il necessario supporto ricettivo e di ristorazione, riqualificando allo scopo alcuni degli edifici esistenti anche tramite la realizzazione di pertinenze a carattere precario;

  • realizzare nello stesso ambito un progetto di struttura socio-sanitaria per la riabilitazione e la cura incentrata sulle tecniche di ippoterapia, pranoterapia, medicina alternativa, pratiche ginniche all’aria aperta;
  • realizzare le indispensabili opere di recupero, restauro e riqualificazione edilizia delle emergenze storico-architettoniche del Casale, collocandovi le funzioni direttive del sistema e alcuni servizi speciali (sala proiezioni, sala convegni, uffici di reception, centro guide);
  • costruire sull’area archeologica un’area museale dotata di servizi accessori, aule per la didattica e per la formazione, magazzini specializzati, laboratori”.

Alcuni di questi punti sono difficilmente condivisibili sulla base della filosofia del recupero e del riuso di un bene culturale.

Nino Lavermicocca, già direttore archeologo per il settore medievale della Soprintendenza Archeologica per la Puglia, esclude in modo categorico che un museo possa essere costruito su una zona archeologica, che “è già essa di per se stessa un museo e che non ha bisogno dunque di un museo artificiale. La nuova letteratura archeologica in Italia ed in Europa impone chiaramente che un museo sia costruito nella città e che ci sia poi un mezzo di trasporto dal la zona archeologica in città. A Mottola, ad esempio, c’è un pullmino di 10 posti che porta dal centro cittadino i visitatori alle chiese rupestri; anche il comune di Bisceglie dispone di un gippone per visite ai dolmen e alle grotte preistoriche. D’altra parte, i musei di Egna- zia e di Canne, che sono al di fuori delle città, sono fallimentari.

All’interno del castello, poi, non si possono mettere tanti uffici e men che mai gli uffici di reception dell’intero sistema, ma solo un punto di distribuzione della depliantistica e di presenza di guide”. Si tratta di rilievi di buon senso che impongono una analisi e una discussione scientifica pubblica sull’intera problematica di Balsignano.

Un grave errore è stato quello di non avviare già da qualche anno un lavoro di progettazione e di studio, ma di essersi limitati solo alle questioni economiche e burocratiche dell’acquisto dell’area su cui insistono le emergenze architettoniche. Non era difficile prevedere, come ahimè abbiamo più volte scritto, che il solo passaggio al Comune avrebbe paradossalmente aumentato il degrado, al quale il privato poneva un certo argine non fosse altro per le arature periodiche, la vigilanza e la presenza che assicurava.

Un invito, quindi, a tutti (al Comune innanzitutto, ma anche a tutte le realtà interessate che hanno veramente qualcosa da dire e da offrire, agli stessi privati, il cui ruolo deve essere sollecitato ma solo nell’ottica di un piano che salvaguardi la vocazione e la fisionomia del bene culturale) a programmare da subito un lavoro serio e produttivo: per definire l’iter di un progetto e dei relativi finanziamenti anche a livello europeo ci vogliono tre anni. Guai se, ancora una volta, su Balsignano si dovesse perdere tempo: c’è bisogno di un clima Ubero, scevro da pregiudizi, in cui gli interessi pubblici, che non escludono quelli privati, ispirino la filosofia di ogni intervento.  

Con questo spirito noi di Nuovi Orientamenti abbiamo costituito un gruppo di studio e di intervento su Balsignano che si riunisce ogni mercoledì alle ore 19,30; un gruppo aperto al contributo di quanti eventualmente volessero partecipare.