Riproponiamo una riflessione sulla "Pietà popolare nella Settimana Santa" tratta dall'archivio storico della nostra rivista, pubblicata nel 2003 (Anno III, n. 2 - Maggio 1981) a firma del prof. Raffaele Macina. Buona lettura mp
Non c’è dubbio che la Settimana Santa sia il momento più ricco ed intenso non solo di riti liturgici canonici, ma soprattutto di pratiche e culti ideati o semplicemente conservati dal popolo che, a dispetto del tempo, riversa in essi tanta parte della sua mentalità di lunga durata. Ed in effetti, nonostante sia stata denominata diversamente a seconda della sensibilità del momento storico (“Settimana grande o maggiore”, “Settimana d’indulgenza”, “Settimana di fatiche e di stenti”, “Settimana ultima” ed infine “Settimana Santa”), sempre essa ha visto una straordinaria partecipazione di popolo.
Il venerdì di passione, che precede la Domenica delle Palme, preannunzia la tragedia di Cristo con la processione dell’Addolorata, che rinnova l’eterno peregrinare della madre alla ricerca del figlio perduto. Un triste presagio non manca neppure nella domenica del trionfo, quando Gesù, già acclamato dalla folla, piange su Gerusalemme.
Molte le usanze della Domenica delle Palme che ancora oggi si rinnovano: in alcuni centri agricoli non mancano contadini che, dopo il rito religioso, si recano nei campi e, come atto propiziatorio, piantano la palma appena benedetta; radicato è ancora il pregiudizio che chi distrugga una palma benedetta sarà colpito da sicura disgrazia.
A Taranto, proprio il giorno delle Palme, si svolgono due aste per l’aggiudicazione dei santi da portare in processione: nell’oratorio della chiesa di S. Domenico si celebra la gara per l’aggiudicazione della Madonna Addolorata; nel palazzo della Provincia vengono contese le statue della processione dei misteri. Si tratta di un appuntamento solenne, al quale possono partecipare solo i membri delle confraternite di San Domenico e del Carmine che ambiscono tutti a conquistare il mistero di Cristo morto o quello dell’Addolorata.
Assai richiesta è anche la troccola, il cui suono sostituisce dopo la morte di Cristo quello delle campane: grazie ad essa, il confratello che se l’aggiudica riveste un ruolo particolare durante la processione dei misteri.
I primi tre giorni della settimana santa sono dedicati alla pulizia della chiesa, alla predisposizione del sepolcro, agli ultimi lavori per l’allestimento delle statue. Una cura singolare viene rivolta alla sistemazione intorno al sepolcro di vasi ricolmi di esili germogli di semi di grano, piantati all’inizio della quaresima e tenuti al buio. Un particolare che esprime il tipo di devozione popolare è rappresentato dai lavori di pulizia del “corpo” e di vestizione della Madonna Addolorata, rigorosamente riservati a ragazze vergini e nubili.
Tutto deve essere pronto per il giovedì santo, quando ogni fedele è obbligato a visitare sette sepolcri, numero che per la tradizione orfìco-pitagorica simboleggia il matrimonio e l’unione perfetta fra uomo e donna. Nel Salento, e in particolare nell’area della Grecia, si va recuperando negli ultimi anni un’antica tradizione, quella di “Santu Lazzaru”, sino a qualche decennio fa assai diffusa e praticata dal lunedì al mercoledì santo: gruppi di persone, per lo più composti da due giovani ed un anziano, vanno in giro e dopo aver cantato davanti ad ogni casa le strofe di “Santu Lazzaru”, tutte ispirate alle sacre rappresentazioni medievali della passione di Cristo, chiedono la questua. Diversi sono i centri pugliesi che, sempre all’insegna delle sacre rappresentazioni medievali, animano particolari versioni della Via Crucis: suggestiva quella di Ruvo, in provincia di Bari, che, con i suoi numerosi figuranti scalzi e vestiti con abiti d’epoca, avanza fra il suono cupo e sordo delle troccole.
Ma il momento culminante dei riti della settimana santa è dato dalle tante processioni dei misteri che sembrano unire le genti di Puglia in una comune atmosfera spirituale. Al proposito, è possibile scoprire in ogni paese, anche piccolo, veri e propri capolavori di arte povera e tradizioni del tutto particolari: dai 5 misteri di Molfetta ai 33 di Ceglie del Campo, dalle cinque croci di Vico del Gargano al Legno Santo di Bitonto; in ogni centro la solenne processione del venerdì santo mescola al sacro qualche aspetto profano che rinvia a leggende o a precisi momenti della propria storia.
Non c’è pugliese che non sia sensibile al fascino della processione dei misteri. Si tratta di un appuntamento a cui non si può mancare: il suo richiamo, forte e ancestrale, sospinge tanti emigrati a presentarsi puntuali il venerdì santo nei loro paesi per assistere a sera inoltrata e in alcuni luoghi anche nel pieno della notte allo snodarsi per le strade di Madonne, santi e soprattutto dei momenti della passione di Gesù che rinviano all’eterna lotta fra tenebre e luce, morte e vita.
Quello della processione dei misteri è per i pugliesi un momento di vita corale che, annullando le personali posizioni di fronte alla religione, manifesta la presenza di una radice comune; una radice antica che, a dispetto dell’opera nullificante della globalizzazione, rinvia a pratiche misteriche dell’area mediterranea e, in particolare, di quella magno-greca.
Già Plutarco, quasi 2000 anni fa, così rappresentava l’atmosfera grave e solenne delle processioni dei misteri, di ispirazione non cristiana, ancora assai diffuse nel mondo greco-romano nel primo secolo dopo Cristo: “Dapprima erramenti e giri affannosi, e in mezzo all’oscurità un vagare tormentoso e senza speranza di salvezza; quindi ogni cosa apparisce piena di dolore, di ribrezzo, di terrore, di sudore e di sgomento”.
Con quegli “erramenti e giri affannosi” si intendeva raffigurare la sofferenza di Demetra, sorella di Zeus e madre divina della terra e dei suoi frutti, che per nove giorni cerca invano la figlia rapita e involata da Plutone nell’Ade, l’eterno regno delle tenebre.
Ma Plutarco non si limita alla rappresentazione dell’atmosfera del primo momento della processione dei misteri e assai incisiva è la descrizione della fase finale: “Poscia sottentra una luce meravigliosa, ovvero accolgono lo sviato luoghi e campagne amene, piene di dolci suoni, di danze, di canti e di apparizioni belle e sacre”. Viene simboleggiata così la gioia incontenibile di Demetra che il decimo giorno non solo ritrova finalmente la figlia Persefone, ma ottiene da Zeus che ella viva nel regno delle tenebre per quattro mesi dell’anno, a partire dall’autunno, e sulla terra per i restanti otto, a partire dalla primavera.
È evidente nei due momenti delle antiche pratiche misteriche la volontà di simboleggiare l’eterno ritorno della vita e della morte e il loro continuo avvicendarsi, che è l’essenza stessa non solo del ciclo della natura e del lavoro dei campi, ma anche del destino dell’uomo che acquista significato unicamente nella prospettiva dell’immortalità. Per questo, è fondamentale aprirsi all’orizzonte dell’eternità impegnandosi nel culto di Demetra, al quale è necessario farsi iniziare per mezzo di speciali riti segreti e perciò misteriosi; riti che hanno senso solo all’interno di un gruppo o di una comunità e che, trascendendo l’intelligenza e l’uso vigile dei sensi, impongono all’individuo di abbandonarsi a precise pratiche cultuali.
Non è diffìcile scorgere ancora oggi gli echi degli antichi misteri. Un canto popolare ancora diffuso in molte zone della Puglia recita: Mo’se ne véne scevedì sande,/Madre Mari se métte u mande/e non avève che ce sci/e sóla sóla se ne partì/ e chiangéve per 1 suoi dolori/ che avéva pèrse il suo figliòle (Ora arriva giovedì santo,/ Madre Maria indossa il mantello/ e non avendo con chi andare,/ se ne partì sola sola/ e piangeva per i suoi dolori/ che aveva perso suo figlio). Come non vedere in questa immagine della ‘Madonna Addolorata che è centrale nei riti della settimana santa e nella processione dei misteri del venerdì santo il rinvio a Demetra che disperata e sola va in giro per il mondo alla ricerca della figlia?
Sino a qualche tempo fa, in alcuni centri della Murgia la processione dei misteri si dirigeva m campagna, dove m un clima di vibrante pathos la Madonna ritrovava suo figlio; la scena registrava la presenza di numerosi bambini vestiti da angeli che impugnavano panieri ricolmi di grano e di altri frutti della madre terra. Prima che la processione riprendesse la via del ritorno in città, il sacerdote benediceva i campi e le messi appena spuntate.
Ecco, l’essere membro di una comunità di iniziati ai riti misterici significava, e forse significa ancora oggi, non solo introiettare immagini che hanno un grande potere simbolico, ma essere convinti di meritare un lieto avvenire dopo la morte. Di riflesso, per i non iniziati si apre invece un destino di dannazione ad una pena eterna.
E forse ancora oggi, a proposito del radicamento delle processioni del venerdì santo, così capillarmente diffuse nei centri pugliesi, si potrebbe ripetere quanto afferma Sofocle: “Tre volte felici quei mortali, i quali hanno contemplato questi sacri riti, allorché tocca loro di scendere nell’Ade; per essi soltanto esiste nel mondo di là una vita, per gli altri non v’hanno che affanni e pene”.Non è diffìcile, dunque, riconoscere nello snodarsi lento e solenne delle processioni del venerdì santo le influenze delle pratiche misteriche assai diffuse nell’area magno-greca: siamo di fronte ancora oggi a riti serali e/o notturni che si svolgono fra il chiarore delle fiaccole e gli esaltamenti prodotti dalla musica; e, d’altra parte, i contenuti riguardano ancora la storia e la vita della divinità celebrata, in particolare le sue sofferenze, la sua morte e il suo eterno ritorno.
Ma, forse, il dato che conferisce alle nostre processioni dei misteri quel fascino che sempre si rinnova è legato al paradosso di un Dio che accetta di svuotarsi: Cristo, “l’unto del Signore”, si è spogliato della sua divinità e si è rivestito della natura umana, condividendone le gioie, le pene e persino la morte. Amare un “Dio impotente”, condividerne la parabola umana, riconoscere il dolore e le sofferenze come segni di identificazione della sua e, ancor più, della nostra vita sembrano essere i tratti caratterizzanti del venerdì santo.
Ed ecco, allora, quel pathos vibrante che accomuna le due ali di popolo mentre la processione, avanzando, rievoca e rinnova l’eterna passione del Dio impotente, dalla quale ogni uomo attinge nuova linfa per affrontare la sua quotidiana passione.
In effetti, in tutte le processioni del venerdì santo, che ancora oggi si svolgono nei numerosi centri della Puglia, sono immancabili quelle statue che ripropongono i momenti più salienti della divina tragedia: Cristo nell’orto del Getsemani che sperimenta la solitudine e l’abbandono persino del “padre suo”; San Pietro, ora assai contrito per aver rinnegato tre volte il maestro; Cristo flagellato alla colonna; la Maddalena e la Veronica, capaci di un gesto di solidarietà; la “nache” (culla), tutta infiorata, di Gesù morto e, infine, la Madonna Addolorata che in diversi centri chiude il corteo.
Presente è ancora la Croce con i simboli della passione: il gallo di Pietro, la lancia che trafisse il costato, l’asta con la spugna imbevuta d’aceto, la mano dello schiaffo, la scala e, infine, i più temibili strumenti di tortura: i tre chiodi, il martello e la tenaglia.
Non manca talvolta qualche bambino vestito da centurione per evocare l’età in cui fu compiuto il deicidio; un’età alla quale rinviano anche altri elementi che hanno finito coll’assumere un semplice valore simbolico. E’ il caso della bassa banda (flauto, piatti, tamburo e grancassa) con la quale si apre dappertutto la processione dei misteri: si intende così richiamare la pratica di Roma imperiale di far precedere sempre un corpo militare da tamburi e trombe. E, appunto, fu proprio una coorte romana, guidata da Giuda, a catturare Gesù nel Getzemani.
Ma, al di là della rievocazione, lo snodarsi della processione dei misteri offre oggi una occasione salutare e irripetibile nell’anno: in queste nostre città in cui il traffico finalmente tace del tutto e la stessa illuminazione pubblica è inibita per qualche ora, è possibile rivivere la dimensione del silenzio, da sempre propedeutica alla riscoperta della propria interiorità.
E, dopo i misteri, ecco prepotente il trionfo della vita, ecco il recupero, sempre più forte negli ultimi anni, de la scarcédde, questa specie di ciambella antica, adornata di un numero dispari di uova, che la ragazza nubile confezionava con le proprie mani e regalava con intento benaugurale al suo promesso sposo il dì di Pasqua.
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