Editoriale a firma del prof. Serafino Corriero:
Nella nuova sede del Sindaco (dott. Nicola Magrone) una scritta del ’500 ammonisce ad essere un governante giusto e benevolo.
Dall’ottobre 2016, a seguito dei lavori di ristrutturazione del Palazzo Santa Croce, sede storica del Comune di Modugno, il Sindaco in carica, Nicola Magrone, ha trasferito il suo ufficio, a tempo indeterminato, al 2° piano del rinnovato palazzo cinquecentesco di via Vito Carlo Perrone, già denominato “della ex-Direzione”, ma ora, per decisione degli attuali amministratori, detto “Palazzo La Corte”, e infine, sulla base di una accurata ricerca storica condotta dal prof. Raffaele Macina, e pubblicata su questo stesso numero, prossimo – si spera – ad essere definitivamente rinominato come “Palazzo del Regio Governatore”. Perché questo palazzo, il più antico fra i palazzi pubblici della città, tra il 1578 e il 1806 ospitò effettivamente il Governatore della città regia di Modugno, nominato direttamente dal governo centrale del Regno di Napoli, e proprio qui ha voluto insediarsi il sindaco Magrone, forse an- che suggestionato dalla sacralità storica del luogo. Sta di fatto che, al primo piano di questo palazzo, proprio sotto il suo ufficio, si trova quello che doveva essere il salone di rappresentanza del Governatore, dove, su una parete, in alto, campeggia un affresco molto bello raffigurante un’allegoria della Giustizia, rappresentata in figura di giovane donna coronata che, seduta tra due leoni, regge con la mano destra una lunga spada levata in alto e con la sinistra una bilancia a due coppe perfettamente equilibrata: immagine del tutto coerente con la personalità del sindaco Magrone, già pretore, procuratore e giudice presso varie sedi giudiziarie italiane. Ma sta di fatto anche che, in testa e ai piedi della leggiadra fanciulla, lo sconosciuto autore del dipinto, per chiara volontà del committente, ha pennellato anche due epigrafi in parte mutile (ma ricostruite e interpretate da chi scrive), il cui contenuto invece sembra che non si addica molto all’attuale rappresentante del potere politico e amministrativo locale, che può ben essere considerato una sorta di moderno “regio governatore”. La scritta in alto, per cominciare, che si estende per tutto il lato del riquadro, recita infatti così: “Libere sperate in me omnis congregatipopuli (Fiduciosamente sperate in me, voi tutti popoli comunque associati). Si tratta di una parafrasi e amplificazione del versetto 9 del Salmo 61, che, nelle parole attribuite al re Davide, si rivolge al popolo d’Israele, e che qui invece viene esteso ad ognuna delle “associazioni di popolo” che intendono affidarsi alla protezione divina (e, in subordine, nel nostro caso, a quella del Governatore). E tale benevola sollecitazione doveva essere molto diffusa nel Regno di Napoli almeno a partire dal ’500, se la si ritrova – o la si ritrovava – all’ingresso della cappella del beato Gaetano nella chiesa napoletana di S. Paolo Maggiore, così come indicato nel “Supplimento a ‘Napoli sacra’ di don Engenio Caracciolo”, di Carlo de Lellis, edita nel 1654. Ebbene, si può dire che la “congregati populi Me-dunensis possa fiduciosamente sperare nell’aiuto e nella protezione del sindaco Magrone? Non pare, visto che, dopo le politiche anche troppo concilianti delle passate amministrazioni (in particolare, quelle di Pino Rana), l’attuale governatore della città ha aperto nel corso dei suoi mandati, a torto o a ragione, una serie numerosa di contestazioni, contenziosi e conflitti con diversi settori della società modugnese, dalle associazioni che occupano locali di proprietà comunale ai commercianti del mercato settimanale; dai residenti di via Salvo d’Acquisto, inviperiti per il mancato spostamento del mercato, ai commercianti e residenti della nuova Piazza Umberto; da tutti gli amministratori succedutisi negli ultimi 12 anni (chissà perché non anche quelli di prima), ai 13 consiglieri comunali dimessisi il 22 agosto 2014, che, conia loro “oltraggiosa fuga”, determinarono lo scioglimento del Consiglio Comunale e la fine della prima giunta Magrone); dai gestori delle piscine comunali, chiuse ormai da più di un anno, alla Tersan Puglia, che lavora i rifiuti organici di mezza provincia, ma non quelli di Modugno; dai dipendenti comunali che osteggerebbero le sue iniziative, ai funzionari del Comune poco inclini alla pronta obbedienza, qualcuno dei quali, addirittura, pubblicamente accusato e denigrato sulla pagina facebook del Sindaco. E che dire del conflitto, anzi, della guerra, proclamata in nome della legalità contro tecnici e operatori delle costruzioni, indotti a cortei e manifestazioni pubbliche di protesta contro il blocco sostanziale dell’edilizia nella nostra città? “Libere sperate in me…”! L’altra epigrafe, poi, posta in un ovale ai piedi della Giustizia, contiene un testo più complesso, ed anche più ricco di contenuti educativi per un amministratore pubblico. Essa, infatti, recita così: “Iustitia, quae natura fuerant communia, distribuii unicuique suum principi, populo patribusque tri bums’ (La giustizia, i beni che per natura erano stati comuni, li distribuì, a ciascuno attribuendo il suo, al principe, al popolo e ai nobili). L’aforisma consta di due, o forse di tre parti. La prima riprende un concetto presente in Cicerone, il quale, nel suo De Officiis (I, 21), sostiene che non esistono beni privati “per natura”, ma che i beni privati discendono dalla passata distribuzione dei beni “che erano stati per natura comuni”, per cui “quella parte che a ciascuno toccò in sorte, ognuno se la tenga; e se qualcuno bramerà impadronirsi di qualunque bene (già assegnato), violerà il diritto dell’umana società”. Insomma, emerge in Cicerone (e nel diritto romano) una forte difesa della proprietà privata comunque costituita, “o per occupazione di luoghi disabitati, o per conquista”. La seconda parte della scritta stabilisce l’obbligo, che è proprio della Giustizia, di “assegnare a ciascuno il suo”. Anche questo ammonimento si trova in Cicerone (De natura deorum, III, 15); ma poi, ripreso dal grande giurista romano Eneo Domizio Ulpiano (II-III see. d. C.), è passato, attraverso le Insitutiones di Giustiniano, imperatore bizantino del VI secolo, nel corpo del diritto moderno, sia civile che ecclesiastico (“unicuique suum è anche il motto che campeggia sotto la testata de “L’Osservatore Romano”, il giornale del Vaticano). La terza parte, infine, amplifica e precisa chi sia questo “ciascuno”, individuandolo nelle tre componenti costitutive della società europea fino alla Rivoluzione Francese: il principe, il popolo, i nobili. Al fine, dunque, di garantire l’armonia sociale e la pratica del buon governo, a ciascuno di questi la Giustizia, ovvero chi la esercita sulla base di un mandato sovrano, deve assicurare ciò che gli spetta. E allora il sindaco Magrone, che oltretutto è un uomo di legge, rifletta ogni mattina, quando arriva nel suo ufficio, su queste parole, e si sforzi di “dare a ciascuno il suo”, di riconoscere a se stesso (il principe) l’autorità del governo cittadino, ai semplici Modugnesi (il popolo) una serena vivibilità quotidiana (gli uffici, il traffico, il mercato, la Fiera, la piscina, i locali per le Associazioni benemerite), ma anche ai “nobili” (i commercianti, gli artigiani, gli ingegneri, i costruttori) la possibilità di lavorare onestamente. E se questi ultimi chiedono insistentemente di essere ricevuti ed ascoltati per esporre le ragioni del loro disagio (e quelle di mezza città), faccia il principe giusto e benevolo, non il giustiziere, e li riceva, finalmente! “Unicuique suum… ”.