Month: Luglio 2004

Nuove fonti per la storia di Balsignano

Due documenti inediti sul passaggio di Balsignano da casale fortificato a fondo murato
Parte 1 di 2

Pubblichiamo questo primo intervento di due giovani studiose (Claudia De Liso, laureata in Conservazione dei Beni Culturali, e Maria Marchini, laureanda in Architettura), che da alcuni anni, anche per nostra sollecitazione, sono impegnate in una ricerca sistematica sulle fonti e sulla storia di Balsignano. Questo primo intervento ha un indubbio interesse scientifico per la segnalazione di due atti inediti del notaio Giacomo Filippuccio di Bari che sono importanti per capire l’evoluzione di Balsignano da casale fortificato a fondo murato. (R.M.)

L’esistenza del borgo di Balsignano era già nota agli studiosi dell’Ottocento. Il Garruba citò tra i documenti trascritti dal Muratori il diploma del 1092 con cui il duca Ruggiero donava Balsignano al monastero benedettino di S. Lorenzo di Aversa ed il successivo diploma di conferma del 11021; individuò tra le monete coniate a Brindisi da Carlo I d’Angiò, pubblicate nel catalogo di Forges-Davanzati, quella su cui poteva leggersi «Balesinianum Unc. I tar. XIII» ; infine riportò i nomi di alcuni feudatari desumendoli dagli studi del Paglia su Giovinazzo e dal dizionario del Giustiniani all’articolo “Acquaviva”2.
La storia di Balsignano tuttavia fu ricostruita in maniera sistematica dallo studioso Giuseppe Ceci,3 che condusse una approfondita indagine archivistica a Napoli tra le carte dei “Monasteri Soppressi”, tra i “Fascicoli Angioini” ed i “Registri Angioini”, ricavandone una discreta quantità di notizie riguardanti il periodo tra dalla fine del Duecento e la fine del Trecento, da quando cioè i Benedettini di Aversa non amministrarono più direttamente il loro possedimento e lo cedettero a censo; riportò i nomi dei feudatari ed alcune vicende del borgo; dall’importo pagato dalla comunità per la sovvenzione generale (colletta) dedusse il numero degli abitanti. Altre notizie, più frammentarie, si riferivano al Cinquecento ed attestavano il declino del centro abitato a quell’epoca, e la rovina delle sue strutture fisiche. Un importante documento scoperto dal Ceci a Napoli è un atto del maggio 1229 contenente i nomi e le precise ubicazioni delle due chiese di S. Maria di Costantonopoli e di S. Felice, identificate con le due chiese oggi super stiti di Balsignano. A Bari, tra le pergamene di S. Nicola, il Ceci individuò un istrumento del maggio 962 riferito a beni situati in loco Basiliniano: è la più antica fonte scritta riguardante la contrada.
Recentemente la cronologia relativa al casale è stata ampliata attraverso altre fonti: gli scavi archeologici, eseguiti finora solo su una minima parte del suolo dell’antico insediamento, hanno rivelato, in prossimità della chiesa di S. Felice, la presenza di un sepolcreto e di un edificio di culto databili ai secoli VIII-IX d.C., testimoniando una frequentazione del luogo in epoche precedenti4.
Il nostro contributo, frutto di una ricerca svolta presso l’Archivio di Stato di Bari, l’Archivio Notarile di Bari, l’Archivio Capitolare di Modugno e l’Archivio della Soprintendenza ai Beni Ambientali ed Architettonici della Puglia, mira a ricostruire quella parte di storia del sito che vede il suo antico ruolo di centro abitato difeso da mura trasfigurarsi in quello di fondo murato, cioè di proprietà privata di un individuo. In particolare, la maggior parte dei documenti che abbiamo raccolto fornisce il quadro completo dei passaggi di proprietà dal 1752, anno in cui venne redatto il Catasto Onciario di Modugno, al 2000, anno in cui il terreno contenente le vestigia del casale di Balsignano è stato acquisito al patrimonio della città di Modugno.
Altri documenti da noi trovati vanno ad aggiungere qualche tassello al mosaico della più antica storia del borgo. Di questi ci occupiamo nel presente articolo ripercorrendo, alla luce delle nostre indagini, quanto già riferito dal Ceci sulle vicende del casale di Balsignano nel Cinquecento5.
Tra i fascicoli del “Fondo d’Addosio” presso la Biblioteca Nazionale di Bari è conservata una nota di appunto dal titolo “Balsignano” che riporta in sintesi il contenuto di due atti, rogati dal notaio Francesco Giacomo Filippuccio di Bari, riguardanti il casale6. Tali atti sono conservati presso l’Archivio di Stato di Bari.
Il primo7, datato 19 febbraio 1529, è un atto di procura, con cui Bessarione di Biella, monaco del monastero dei SS. Severino e Sossio di Napoli, dell’ordine dei Benedettini della Congregazione Cassi- nese alias di S. Giustina di Padova, come legittimo procuratore di Marco di Pontramoli8, abate del suddetto monastero e del monastero di S. Lorenzo di Aversa, con ampia potestà di prendere possesso del castello di Balsignano e di esigerne redditi e proventi, nomina sostituti procuratori, con la stessa potestà, Giovanni de Erminzano («Hermizano»)9 ed un tale Angelillo10 di Modugno.
Venne così ripristinata una situazione di legalità, dopo che, con una sentenza del Sacro Regio Consiglio del 24 marzo 1528, sanzionata dal viceré del Regno di Napoli, ed eseguita il febbraio dell’anno seguente, la badia di S. Lorenzo aveva espulso i fratelli Eligio, Giovan Vincenzo, Raffaele e Alfonso della Marra, che avevano illecitamente occupato il territorio di Balsignano11.
Nel secondo atto del notaio Filippuccio12, datato 23 novembre 153113, il nobile Giovanni de Erminzano, sostituto procuratore del suddetto monaco Bessarione di Biella, loca e concede in enfiteusi per ventinove anni ad Angelo de Re Basilio, cittadino di Ce- glie ed abitante in Modugno, un aratro e mezzo di terra non coltivata e con macchia, con alberi di diverso genere, sito in territorio di Balsignano, confinante con la terra dei Montanari di Modugno, con la pescara di S. Leonardo e con altri confini, per l’annuo censo di due tari in carlini d’argento da pagare alla festa della Natività a partire dall’anno seguente.
Nel documento del 1528, secondo quanto riportò il Ceci, si parla del castello e del casale come già dirupati. Lo stato di abbandono e di rovina di quei luoghi spiega perché nel 1536 la badia avesse espresso il proposito, non seguito, di una vendita del territorio di Balsignano, che ormai rendeva soli 50 ducati all’anno14. Nel 1552 tuttavia il casale fu concesso in affitto a Camillo Dottula di Bari per 170 ducati15.
Nel 1561 fu compilato un inventario di tutte le terre e fabbriche rurali che componevano la tenuta di Balsignano con i confini, i nomi dei coloni, quasi tutti abitanti di Modugno, e le cifre dei censi annuali16. Tra le proprietà elencate compare un giardino con alcuni alberi, tra cui un noce, situato in località detta Balsignano, confinante con la pescara di S. Leonardo o di Galeazzo Plummarola, con il mandorleto di Bartolomeo Montanari di Modugno, con le mura del casale di Balsignano e con altri confini. Questo giardino è posseduto indebitamente da un tale Angelo, abitante di Ceglie e cittadino di Modugno, in quanto la sua pretesa di averlo avuto in concessione dal monastero di S. Lorenzo per l’annuo censo di tari quattro e grana otto risulta, per il procuratore del suddetto monastero, nulla e non rispondente a diritto.
Nel 1565 fu emesso un bando per una concessione perpetua dell’intero territorio mercè un canone annuo17. La vendita del casale di Balsignano avvenne però solo nel 1606, con atto recante la data del 22 ottobre rogato dal notaio Ottavio Petino di Aversa 18. Dalla lettura del documento si apprende che i monaci di Aversa possiedono il luogo edificato, 0 meglio diruto, con alcuni alberi da frutta, circondato da mura, un tempo volgarmente detto casale di Balsignano, confinante con i beni di Domenico Preschi, con i beni di Modugno, con la via pubblica per la quale si va da Modugno a Bitritto, con un’altra via antica per la quale si va a Bari e con altri confini. I monaci vendono tale proprietà al signor Giovanni de Surdo di Modugno per il prezzo convenuto di duecento ducati. Le condizioni elencate di seguito nell’at- to, non completamente leggibile, contengono il riferimento ad un censo annuo di dieci ducati affiancabile in qualsiasi momento dal compratore o dai suoi eredi o successori mediante versamento dell’intera cifra.
Tale peso non fu mai estinto. Infatti, nel Catasto onciario di Modugno del 1752 si rileva che il proprietario del fondo di Balsignano, Vito Nicola Faenza, sacerdote del Capitolo della chiesa madre di Modugno, pagava ai benedettini di Aversa una quota annuale di 33 once e 10 tari, che viene messa in relazione ad una somma di duecento ducati e ad un censo annuale di dieci ducati19.
Dalla consultazione del suddetto Catasto si desume inoltre che a quell’epoca l’abbazia di Aversa era ancora in possesso di terre, sia in località Balsignano che in altre contrade di Modugno. Più precisamente, essa risulta proprietaria di nove aratra di terra con alberi d’olivo siti nel luogo detto Balsignano, confinanti con i beni degli eredi di Saverio Vitucci e con i beni di Michele Pantaleo, per una rendita di trenta once, oltre che di sette aratra di terreno con alberi siti nel luogo detto macchia Simone, di sei aratra di terreno con alberi d’olivo situati nel luogo detto le Tacche, di due aratra di terreno con alberi d’olivo siti nel luogo detto Procito, per una rendita totale di 88 once e 20 tari20.
Nei Catastini di Modugno del periodo compreso tra il 1765 e il 1804 si ritrovano le stesse proprietà21.
I nove aratra di terreno appartenenti all’abbazia di Aversa siti in Balsignano, pervenuti al demanio dello Stato dall’asse ecclesiastico, furono venduti a privati nel 1867, come attestano due fascicoli relativi alla vendita all’asta rispettivamente di aratro uno e di aratra otto di terre in località Balsignano identificati, in base ai dati catastali ed ai confini, con i possedimenti dell’abbazia22.

Note

1 M. GARRUBA, Serie critica de’ Sacri Pastori baresi, Tipografia Fratelli Cannone, Bari 1844, p. 95.
2 M. GARRUBA, op. cit., p. 930.
3 G. CECI, Balsignano, in “Japigia”, III, 1932, pp. 47-66.
4 G. LAVERMICOCCA, Modugno (Bari), Balsignano, in “Taras. Rivista di archeologia”, Editrice Scorpione, Taranto, X, 2,1990, pp. 425-427, tav. CCXVI,i-2.
5 Ringraziamo vivamente la dott.ssa Beatrice Viganotti del- TArchivio di Stato di Bari per l’aiuto offerto nella lettura ed interpretazione dei manoscritti del Cinquecento e del Seicento, e per i consigli utili alla stesura del presente articolo.
6 Biblioteca Nazionale “Sagarriga Visconti Volpe” di Bari, Archivio d’Addosio, fase. 10/47.
7 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Bari, Not. Francesco Giacomo de Filippuccio, prot. aa. 1527-29, c. 66 r-v (antica numerazione).
8 II nome non è integralmente leggibile, perché il foglio del manoscritto presenta delle lacune, ma così viene riportato nella sintesi del d’Addosio.
9 Gli Erminzano giunsero a Bari da Milano negli anni della signoria di Isabella Sforza. Il Petroni (G. PETRONI, Della storia di Bari dagli antichi tempi sino all’anno 1856, ristampa anastatica dell’edizione di Napoli del 1857-58, Forni Editore, Bologna 1971, voi. I, p. 540) cita un Antonio Ermizano. Il Tateo (Storia di Bari nell’Antico Regime, a cura di F. Tateo, Editori Laterza, Roma-Bari 1991, voi. I, p. 182) scrive che alla metà del Cinquecento il “nobil messere” Giovanni riuscì ad evitare la scomparsa del proprio casato dando in sposa la figlia Giulia ad Annibaie Gallo, di origini napoletane, ed imponendo la fusione dei due cognomi nei discendenti, condizione che presupponeva la trasmissione a Giulia di una fetta cospicua dei beni paterni. Le vicende degli Erminzano sono documentate da un libro di famiglia depositato presso l’Archivio della basilica nicolaiana.
10 Anche qui il nome non è leggibile per intero; questo secondo procuratore non è stato citato dal d’Addosio.
11 G. CECI, Balsignano, inserto a “Nuovi Orientamenti”, anno X, n. 5-6, settembre-dicembre 1988, p. 8.
12 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Bari, Not. Francesco Giacomo de Filippuccio, prot. aa. 1530-32, c. 46 r-v (antica numerazione).
13 L’anno scritto sul documento è il 1532, ma poiché il notaio usava datare in base allo stile bizantino, abbiamo riportato la data al computo moderno.
14 G. CECI, op. cit., p. 10, n. 1.
15 Ibidem.
16 Ibidem. Questo documento presenta un grande interesse ai fini della ricostruzione dell’assetto del territorio e della toponomastica a quell’epoca.
17 Ibidem.
18 Archivio di Stato di Caserta, Atti notarili di Aversa, Not. Ottavio Petino, prot. aa. 1606-1608, cc. 48V -51V.
19 Archivio di Stato di Bari, Catasti onciari, Modugno, 1752, cc. 528V -529V.
20 Ivi, cc. 772V -773V.
22 Archivio di Stato di Bari, Catastini, Modugno, 1765-1784, 1795-1798,1799-1801,1802-1804.
23 Archivio di Stato di Bari, Asse Ecclesiastico, busta 100, fase. 7156; ivi, busta 101, fase. 7195.

Nuove fonti per la storia di Balsignano

Due documenti inediti sul passaggio di Balsignano da casale fortificato a fondo murato
Parte 2 di 2

Anno XXVI N.113 Luglio 2004 
Claudia De Liso e Maria Franchini

Come preannunciato nel precedente intervento1, dalla consultazione del Catasto Onciario di Modugno si rileva che proprietario del fondo di Balsignano nel 1752 era Vito Nicola Faenza, sacerdote del Capitolo della chiesa madre di detta città, di 60 anni2.
Egli era iscritto al catasto nella categoria degli ecclesiastici cittadini come proprietario, tra gli altri beni3, di 10 aratra di terreno con alberi d’olivo e da frutta nel luogo detto Macchia Finestra, o meglio di Balsignano, confinante con i beni del convento di S. Pietro Martire e di Nicola Domenico Tisci, e di «sei aratra di giardino murato con diversi frutti con torre e chiesa nel luogo detto Balsignano, giusta li beni del Reverendissimo Capitolo, e via publica circumcirca»4, quest’ultimo per una rendita stimata di 66 once e 20 tari. Tra i numerosi pesi a suo carico, due sono rilevanti per la presente indagine: il censo annuo di 10 ducati per il capitale di 200 ducati dovuto ai monaci di S. Lorenzo di Aversa su Balsignano, come stabilito nell’atto di vendita del 16065, e la somma annuale di 69 ducati per un capitale di 1250 ducati dovuto ad una certa Teresa Gaudiosi in Napoli, come stabilito in uno strumento del notaio Filippo Dominichiello di Modugno nel 1752.
Tra gli atti del notaio Sabino Romita di Modugno si ritrova l’apertura del testamento di Vito Nicola Faenza6. Dalla lettura dello stesso si evince che il giorno 29 del mese di giugno dell’anno 1760 il suddetto notaio si era recato a Balsignano su richiesta di Vito Nicola, che era giacente infermo in un letto «nel suo casino in una camera allo quarto di basso»7. Lì il sacerdote morente, ma in possesso delle proprie facoltà mentali e di parola, gli aveva consegnato il suo testamento.
Il 30 giugno Francesca Faenza, sorella del defunto, e le figlie Giovanna e Benedetta Petrobelli avevano richiesto l’apertura del testamento, che si era svolta nella loro casa presso la piazza di Modugno. Il testatore nominava le tre donne eredi di tutti i suoi beni mobili e stabili.
Egli tuttavia dichiarava di aver promesso ad un’altra nipote, Giovanna Faenza, figlia di Giacomo suo fratel lo, al tempo del suo matrimonio con Antonio Ruggì d’Aragona, la somma di 300 ducati, da ottenere sui suoi beni a condizione che lei ed i suoi figli «non molesta- ranno, né daranno fastidio»8 ai suoi eredi per il recupero del denaro. Lasciava inoltre alla suddetta Giovanna Faenza ed alla sorella Domenica un terreno di 9 aratra di estensione posto nel territorio di Modugno, nel luogo detto la Macchia di Balsignano, da vendere per estinguere il conto della dote della signora Teresa Gaudiosi, moglie di Giacomo Faenza loro padre; qualora il ricavato della vendita non fosse stato sufficiente ad estinguere tale conto, le due sorelle avrebbero dovuto sborsare del proprio in quanto eredi e figlie di Giacomo Faenza, secondo le disposizioni contenute in un atto di divisione stipulato dal notaio Filippo Dominichiello.
Infine, il testatore esprimeva la volontà che le eredi impiegassero una rendita di 30 ducati annui nella celebrazione di messe per la sua anima «nelle domeniche di maggio di ciascuno anno nella chiesa della Gloriosissima Vergine detta di Balsignano»9. Qualora poi avessero voluto alienare «il corpo della torre e giardino di Balsignano»10, le donne avrebbero dovuto preferire come compratore il signor Francesco Fragassi, esecutore testamentario.
Nonostante l’invito del sacerdote a non “recare molestia”, tra le eredi Francesca Faenza, Giovanna e Benedetta Petrobelli da un lato e Giovanna Faenza dall’altro si era «armata una fiera lite, tanto di un gran dispendio, quanto di un grandissimo rancore, ed odio fra esse loro scambievolmente concepito», come riporta un atto rogato a distanza di pochi mesi, l’11 agosto 1760, dal notaio Pietro Massari di Modugno11. Lo strumento fa riferimento ad un precedente accordo scritto per mano del notaio Filippo Dominichiello il 4 giugno 1751, nel quale si disponeva che «il corpo consistente la chiesa, casino, giardeno, con altre sue adiacenze chiamato Balsignano come antica della casa Faenza»12 dovesse passare sempre «dalla casa Faenza discendente da essa Donna Giovanna, e sua sorella Donna Domenica»13 . Questo passaggio sarebbe dovuto avvenire secondo modalità descritte in dettaglio: alla morte di Vito Nicola, dal valore del complesso di Balsignano si sarebbero dovuti detrarre i 200 ducati dovuti all’abbazia di Aversa ed i 300 ducati promessi a Giovanna Faenza per la dote, cioè in totale 500 ducati, e la cifra restante avrebbe dovuto essere corrisposta da Giovanna agli eredi14 del sacerdote entro otto anni alla ragione del 4%. Nel caso in cui Giovanna non avesse versato questo capitale, al decadere degli otto anni avrebbe perso il diritto di possesso del bene a favore degli eredi di Vito Nicola, ma avrebbe dovuto ricevere da questi i 300 ducati della sua dote.
Proseguendo nella lettura dell’atto del notaio Massari si apprende che, ignorando le suddette disposizioni, Francesca Faenza, Giovanna e Benedetta Petrobelli, alla morte di Vito Nicola, avevano preteso il possesso di Balsignano, tanto che Giovanna Faenza aveva dovuto ricorrere alla Regia Udienza di Trani per vedere riconosciuti i suoi diritti su quella proprietà.
Dopo la sentenza del tribunale, erano state finalmente eseguite le prescrizioni contenute nell’accordo del Dominichiello. Erano stati nominati quattro periti, due per parte, per stimare il valore del bene. Per conto di Francesca Faenza e delle figlie Giovanna e Benedetta Petrobelli erano stati incaricati Sigismondo Paterno «mastro muratore di Bari» ed Andrea Longo «misuratore, ed esperto di campagna» della città di Modugno; per parte di Giovanna Faenza erano stati eletti Vito Antonio Buccomino o Bucconcino (la scrittura dà adito a diverse interpretazioni) «mastro muratore» e Paolo «messere publico apprezzato- re, ed esperto di campagna della città di Giovinazzo».
Si era proceduto «da detti mastri fabricatori, alla misura, ed apprezzo tanto della chiesa, sacrestia, torre, piscine d’acqua, ed altro, secondo la di loro perizia, e coscienza l’anno quello stimato, e valutato per ducati quattrocento cinquanta», quindi si era proceduto alla misura del giardino, che si era ritrovato essere di «aratra quattro ordini sederi, e viti trentasei» ed era stato valutato «docati trecento trentotto grana trederi, e cavalli quattro, a ragione di ducati settantadue e meza l’aratro», infine sei alberi d’olivo esistenti in una «cortaglia» esterna sulla strada Bari-Bitritto erano stati stimati 5 ducati, per un valore dell’intero bene di 793 ducati, 13 grana e 4 cavalli15.
Tenuto conto di tutte queste premesse, nell’atto del Massari fu stabilito che Giovanna Faenza avrebbe dovuto corrispondere alle Petrobelli la cifra di 293 ducati, 13 grana e 4 cavalli allo scadere degli otto anni (cioè il valore stimato per il corpo di Balsignano meno i 500 ducati di cui sopra) e fino ad allora otto annualità ciascuna di 11 ducati, 72 grana e 4 cavalli (per la ragione del 4% di cui sopra). Restava inteso che «il suddetto corpo di giardeno con sua torre, chiesa corredi, che sono la suddetta campana, calice, camisa, messale, tovaglia apparata di rose con candelieri, ed altri simili addetti per servizio di detta chiesa, e non altro cortaglia di fuori, e detti alberi sei d’olive»16 era ceduto a beneficio di Giovanna Faenza, che si impegnava a versare i 10 ducati dovuti all’abbazia di Aversa ogni anno nel mese di dicembre.
Dal catasto onciario è possibile raccogliere qualche notizia in più su Giovanna Faenza. La donna, di 35 anni, appartenente ad una famiglia nobile modugnese, era sposata con Antonio Ruggi d’Aragona, di 44 anni, patrizio della città di Salerno e Trani17, iscritto al catasto nella categoria dei forestieri18. I coniugi abitavano in Modugno in una casa «palazzata» nella strada del Carmine ed avevano quattro figli: Nicola Saverio, Vito Michele, Vincenzo Emanuele, rispettivamente di 12,10 e 2 anni, e Adriana Teresa, di 9 anni, già nel monastero di S. Giorgio a Salerno. Una nota aggiunta qualche tempo dopo al margine della stessa partita catastale precisava che Antonio Ruggì era deceduto e che Nicola Saverio era divenuto capofamiglia19.
Il testamento di Antonio Ruggì era stato raccolto per mano del notaio Pietro Massari di Modugno l’8 giugno del 175320. Il testatore aveva nominato suo erede universale il figlio primogenito Nicola Saverio ed usufruttuaria la consorte Giovanna Faenza; aveva inoltre definito la linea di discendenza in caso di morte di Nicola Saverio senza figli legittimi e naturali.
Nel catastino del 1765 gli «aratra 6 di giardino murato con chiesa, e casino a Balsignano»21, fruttanti una rendita di 66 once e 20 tari, insieme ad un sottano e ad alcuni crediti, apparivano intestati ad Emanuele Ruggi d’Aragona, con la precisazione che nel catastino del 1761 erano in testa di Nicola Saverio ed in testa di un certo Nicola Lo Bianco . Purtroppo il catastino del 1761 è andato perduto e, allo stato attuale delle ricerche, non sono state ritrovate fonti notarili utili a chiarire quali eventi avessero condotto Emanuele a divenire erede della porzione del patrimonio familiare comprendente il fondo di Balsignano.
Dallo stesso catastino del 1765 e da quelli del 1781 e 178423 si rileva che l’abbazia di S. Lorenzo di Aversa riceveva il censo di 10 ducati dagli eredi di Vito Faenza. Il catastino del 1795-96 riporta che i possessori degli «aratra sei di giardeno con chiesa, e casino a Balsignano»24 erano i fratelli Emanuele e Vito de Ruggi d’Aragona, che ne ricavavano una rendita stimata di 66 once, per metà circa (33 once e 10 tari) ceduta all’abbazia di Aversa, come si evidenzia nel computo dei pesi dei due fratelli e come viene confermato nell’elenco delle esigenze della suddetta abbazia25. Nei catastini degli anni successivi la situazione patrimoniale dei due fratelli de Ruggi si presenta la stessa26.
Nelle prime operazioni fondiarie del 1809, propedeutiche alla formazione del cosiddetto catasto provvisorio, Emanuele Ruggi d’Aragona27, «gentiluomo» di Modugno, risulta unico proprietario di una «cocevola», dell’estensione di 4 aratra, di una casa d’abitazione e di una chiesa, con una rendita imponibile di once 66 12 2/3 [28].
Il 6 febbraio dell’anno 1813 Emanuele Ruggi d’Aragona dettava al notaio Vito Carlo Romita il suo testamento29, in cui istituiva come eredi la sua consorte Cristina Cesena nell’usufrutto, e suo fratello Benedetto Ruggi d’Aragona, ex benedettino, e le sue sorelle Maria Luigi Ruggi e Maria Michele Ruggi, religiose coriste nel monastero di Santa Croce, in proprietà di tutti i suoi beni mobili e stabili, crediti, esigenze, con i pesi annessi, ed ancora dei mobili e di tutto ciò che si trovava nella sua casa di abitazione e nel suo «casino, e giardeno murato di diversi frutti con chiesa, in queste pertinenze loco detto Balsignano»30.
Alla morte di Emanuele, che avvenne il 13 marzo 1813, era sorta una lite tra Cristina Cesena, Benedetto Ruggi d’Aragona, Maria Michele Ruggi e Maria Luigi Ruggi, per cui si era fatto ricorso al tribunale di prima istanza e quindi al tribunale civile di Trani, come riferisce l’atto di concordia rogato dal notaio Ludovico Longo di Modugno in data 6 dicembre 182531. Oggetto della contesa era la ripartizione dei beni lasciati in eredità, costituiti da «un predio rustico messo in queste pertinenze, nel luogo detto Balsignano, della estensione di aratri quattro circa, murato, di natura giardino, con diversi frutti, con casino di più camere soprane, sottani, chiesa, sacrestia, e largo avanti il casino, pozzi d’acqua, ed altri membri a detto comprensorio di fabbriche annessi, confinante alla strada che da Modugno mena a Bitritto, al fondo rustico di questo Reverendissimo Capitolo, e al pubblico cammino che conduce a Bitetto»32 e da una serie di cospicui capitali.
Con lo strumento di concordia del Longo fu stabilito che l’intero usufrutto e l’intera proprietà del predio a Balsignano, con tutte le dipendenze ed adiacenze, doveva restare ad esclusivo beneficio di Benedetto Ruggi, che era tenuto ad adempiere ai pesi su di esso gravanti. Entro lo stesso anno 1825 il sacerdote avrebbe venduto il fondo di Balsignano.
Si concludeva così il periodo durante il quale Balsignano era appartenuto alla illustre famiglia modugnese dei Faenza ed alla famiglia di antica nobiltà dei Ruggi d’Aragona, con cui i Faenza si erano imparentati grazie ad una unione matrimoniale.

Note
1 C. DE LISO, M. FRANCHINI, Nuove fonti per la storia di Balsignano, in “Nuovi Orientamenti”, n. Ili, dicembre 2003, pp. 20-
nella categoria degli ecclesiastici cittadini Vito Nicola Faenza compare nel catasto onciario nell’elenco dei beneficiati (cc. 747y-748v), sia per il titolo di S. Maria della Croce, cappella extramoenia tra le pertinenze di Modugno, Bari e Bitonto, che per un altro titolo non meglio precisato, ricavandone una rendita di 80 once.
4 Ivi, c. 529r.
5 Archivio di Stato di Caserta, Atti notarili di Aversa, Not. Ottavio Petino, prot. aa. 1606-1608, cc. 48v -51v.
6 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not. Sabino Romita, prot. a. 1760, cc. 49r-54r.
7 Ivi, c. 50r.
8 Ivi, c. 5 lv.
9 Ivi, c. 52v.
10 Ibidem.
11 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not. Pietro Massari, prot. a. 1760, cc. 441r-448v. La citazione è contenuta nella carta 443v.
12 Ivi, c. 442r.
13 Ivi, c. 442v.
14 Le eredi designate da Vito Nicola furono la sorella Francesca Faenza e le figlie di questa, Giovanna e Benedetta Petrobelli.
15 Ivi, c. 444y. I sei alberi di olivo erano situati in uno slargo esterno alle mura, dirimpetto al giardino di proprietà del notaio Dominichiello.
16 Ivi, c. 445r-v.
171 Faenza erano entrati a far parte della nobiltà modugnese già nel 1569 ed erano una delle famiglie più in vista della città. La famiglia Ruggi d’Aragona proveniva da Salerno ed era ritenuta d’origine normanna.
18 Si erano sposati probabilmente nel 1740, come si deduce da alcuni atti del notaio Pietro Massari di quell’anno riguardanti i due coniugi, in cui si parla del matrimonio come avvenuto da poco tempo. Pare che lo stesso notaio avesse redatto i capitoli matrimoniali dei due promessi sposi.
19 Archivio di Stato di Bari, Catasti onciari, Modugno, 1752, c. 464r-v.
20 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not. Pietro Massari, prot. a. 1753, cc. 133r-138r.
21 Archivio di Stato di Bari, Catastini, Modugno, 1765-1784; a. 1765, c. 23r-v.
22 II signor Nicola Nando Lo Bianco compare tra i presenti come marito di Giovanna Faenza nel sopraccitato atto del notaio Pietro Massari, prot. a. 1753, c. 441v.
23 Archivio di Stato di Bari, Catastini, Modugno, 1765-1784; a. 1765, c. 189r; a. 1781, c. 149v; a. 1784, c. 150v.
24 Archivio di Stato di Bari, Catastini, Modugno, 1795-1798; a. 1795-96, c. 19r.
25 Ivi\ a. 1795-96, c. 139r.
26 Archivio di Stato di Bari, Catastini, Modugno, 1799-1801,1802- 1804; a. 1799, c. 17r; a. 1800, c. 15v; a. 1801, c. 17v; a. 1802, c. 16r; a. 1803, c. 12r; a. 1804, c. 13r.
27 Emanuele Ruggi d’Aragona fu sindaco di Modugno dall’aprile 1794 al 31 agosto 1798, come è riportato nella serie cronologica dei sindaci di Modugno in N. MILANO, Modugno. Memorie storiche, Arti Grafiche Ragusa, Bari 1970, p. 591».
28 Archivio di Stato di Bari, Direzione delle contribuzioni dirette. Prime operazioni fondiarie, I parte, a. 1809, Modugno, busta 28, fase. 354, n. d’ordine 786.
29 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not, Vito Carlo Romita, prot. a. 1813, cc. 4r-8v.
30 Ivi, c. 5v.
31 Archivio di Stato di Bari, Atti notarili di Modugno, Not. Ludovico Longo, prot. a. 1825, cc. 669r-678v.
32 Ivi, cc. 670v-671r.

LE FAMIGLIE NOBILI DI MODUGNO AGGREGATE AL SEDILE
I Faenza erano entrati a far parte della nobiltà modugnese nel 1569. La loro arma era bandata d’argento e di rosso. Si riportano le seguenti notizie da B. C. GONZAGA, Memorie delle famiglie nobili delle Province Meridionali d’Italia, Forni Editore, Bologna 1965 (ristampa anastatica della edizione di Napoli del 1875), voi. IV, pp. 41- 43: «Nel 1569 il Sedile dei nobili di Modugno era composto delle famiglie Belprato, de Bisanziis, Capitaneo, Capitelli, Cornale, Stella, e Ventura, le quali con conclusione del 15 di agosto di quell’anno vi aggregarono le famiglie Bizzoco, Calò, Cella, Ciolamare, Faenza, Gonnella, de Laurentiis, Maffei, Monacelli, Nipote, Pascale, de Rossi, Scarli, Taglione, e Vergine. Nel 1646 vi aggregarono la Cazzani, e più tardi la Fortunati e la Pepe; ma nel 1745 di tutte queste famiglie non rimanevano che unicamente quelle di Capitaneo, Faenza, Fortunati, Maffei, Pepe, de Rossi, Scarli e Stella, e poiché il loro numero era troppo ristretto, la Real Camera di Santa Chiara, dopo una lunga ed aspra lite, con decreto del 30 di agosto 1760 aggregò al Sedile dei nobili per ciò che riguardava il solo governo della città le famiglie Bianco, Caccabo, Grande, Pieschi, Pinto, Ruccia, Santoro, Scura, Valerio e Violillo».

Si riportano le seguenti notizie da V. SPRETI, Enciclopedia Storico – Nobiliare Italiana, 6 voli., Milano 1932, voi. V, pp. 871-872: «RUGGÌ D’ARAGONA. ARMA: Di rosso alla banda d’argento caricata di un gatto di nero passante. Alias: Di rosso alla banda d’argento caricata da un leone al naturale ed accompagnata da due rose d’oro. Famiglia antica della nobiltà di Salerno, ritenuta d’origine normanna e reputata, da alcuni autori, del sangue dei Guiscardi, come riporta il Candida. Un ramo dei Ruggio si stabilì in Francia, e si disse Rouge». Una diramazione della famiglia si era trasferita a Trani ed era stata aggregata al patriziato di questa città il 10 luglio 1747. «Ascritta, alla abolizione dei Sedili, al Registro delle Piazze Chiuse. La famiglia è iscritta nell’Elenco Ufficiale Italiano del 1922 col titolo di patrizio di Trani (m.), per i discendenti da Emanuele, ascritto al Registro delle Piazze Chiuse».

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