Month: Ottobre 2002

Rivive Balsignano sulla scena

Anno XXIV N. 105 Ottobre 2002
Cristina Macina

Fortunatamente, la sera di venerdì 13 settembre il maltempo dell’ultimo scorcio della piovosa estate appena trascorsa ha concesso una tregua ed ha così reso possibile la rappresentazione de L’ultimo di Balsignano, presso il casale fortificato medievale sito alle porte di Modugno. L’azione drammatica è nata dalla collaborazione tra Nuovi Orientamenti e l’associazione La pecora nera-, l’unione tra storia e teatro ha dato vita ad un dramma storico che ha piacevolmente reso noti alcuni fra gli episodi più rilevanti della lunga vita di Balsignano. Infatti, attraverso la storia dei protagonisti, sei attori senza raffinata arte, né tantomeno parte, che si fingono di essere diretti alla regia corte napoletana, prende corpo dapprima sullo sfondo, poi in primo piano, il vero argomento dell’opera: l’antico casale, la distruzione, l’abbandono, il degrado.
Quando la compagnia di attori, guidata da un generoso quanto poco produttivo capocomico (interpretato da Franco Ferrante) giunge a Balsignano con l’idea di passare la notte in questo luogo sconosciuto e a prima vista abbandonato, si imbatte, appunto, nell’ultimo abitante di Balsignano, (sulla scena Antonio Pugliese). La sua presenza, annunciata da reticenti e a tratti ostili dialoghi con gli attori della compagnia, rivela un senso dell’ospitalità antico, fatto di una gentilezza timida e ritrosa. Si tratta di un anziano signore, cresciuto tra le mura di Balsignano quando esso era un ricco centro, che non ha avuto cuore di abbandonare la sua antica dimora, nemmeno dopo la sua distruzione. Innamorato devoto delia terra circostante, generosa ospite sempre pronta a fornire olio e frutta a chi si avvicinasse, l’ultimo di Balsignano ha atteso l’arrivo di qualcuno che ponesse fine alla pericolosa dimenticanza che ha avvolto il casale. Così, in cambio di vitto e alloggio, ottiene dalla compagnia una promessa: almeno per una sera nel casale sarebbe tornata la gente per assistere alla tragedia che avrebbe messo in scena la recente storia di Balsignano. Sfortunatamente, egli non vedrà realizzato il suo più grande desiderio, perché stroncato da una morte annunciata, ma lascia sereno la sua dimora: ha infatti trovato nei giovani attori chi possa vegliare fedele sul casale per la cui ricostruzione egli ha, peraltro, devoluto una cospicua somma di denaro accumulata durante la sua vita. Allegoria del lungo abbandono che ancora soffre Balsignano, dell’inerzia spesso dimostrata dagli enti pubblici, la delicata rappresentazione curata da Michele Bia ha restituito al casale l’antica vitalità, almeno per una sera, e, mescendo l’utile al dolce, ha contribuito a rendere noti alcuni momenti significativi della sua storia. Gli attori (sulla scena anche Annalisa Pellecchia, Nicola Giustino, Floriana Govovi, Mimma Martino, Giulio Bruno)) hanno interpretato con efficacia il loro processo di mutamento davanti alla saggezza dell’ultimo balsignanese, che spinge uno della compagnia a superare generosamente le proprie debolezze e a riportare a Balsignano l’eredità del vecchio da lui rubata. La dedizione dell’ultimo abitante di Balsignano ad una causa non individuale diventa monito ed insegnamento per i giovani nella storia, … speriamo che lo sia anche nella nostra realtà.

Una Madonna difficilmente recuperabile

Anno XXIV N. 105 Ottobre 2002
Rossella Romita
COLLOCAZIONE: Chiesa di S. Maria di Costantinopoli, navata settentrionale, parete sinistra.
OGGETTO: dipinto.
SOGGETTO: Madonna in trono con il Bambino.
CRONOLOGIA: XIV secolo.
AUTORE: anonimo frescante meridionale.
MATERIA E TECNICA: affresco
STATO DI CONSERVAZIONE: cattivo.
RESTAURI: A cura della Soprintendenza ai Beni AA.AA. AA. e SS. della Puglia,1999-2000. Intervento di consolidamento e fissaggio dell’intonaco dipinto al supporto murario.

DESCRIZIONE: La Vergine, seduta in trono, regge il Bambino che, in piedi sulle sue ginocchia, le cinge il collo con il braccio destro e accosta la guancia al viso della madre, che indica con la mano sinistra. Bimbo indossa una veste bianca, decorata da rosette quadripetali rosse stilizzate, e motivi astratti di colore blu. Ambedue hanno nimbi dorati pedinati. Del trono su cui siede la Vergine è visibile il bracciolo sinistro e il basamento, resi con un accenno alla profondità; un drappo bianco fa da schienale. La scena è inscritta in una triplice cornice nei colori rosso, bianco e blu; sul bordo superiore, la fascia centrale bianca è campita da un motivo a rombi concentrici nei colori rosso e blu, uguale a quella già vista nella chiesa-cripta del Santuario della Madonna della Grotta, presso Modugno.
NOTIZIE STORICO- CRITICHE:

L’affresco raffigura la Vergine secondo una variante della “Vierge de Tendesse”, che china teneramente il capo verso il Bambino, la cui mano è protesa a cingere il collo della madre. È questo un tipo iconografico piuttosto diffuso, che si rifà all’antico modello della “Glyko-philousa”. Il pessimo stato di conservazione non permette una più ampia lettura dei caratteri stilistici dell’affresco, che comunque, per gli elementi indicati (vedi l’accenno alla profondità, eco dell’esperienza post-giottesca) è ascrivibile al tardo XIV secolo. L’affresco è venuto alla luce durante i recenti restauri.

Per un progetto di riuso di Balsignano

Anno XXIV N. 105 Ottobre 2002
Michele Trentadue
Pubblichiamo volentieri questa ipotesi di riuso di Balsignano di Michele Trentadue, giovane studente universitario di Ingegneria, che ha il merito di guardate anche a fortunate esperienze europee. Invitiamo i nostri lettori ad intervenire sull’argomento, esprimendo le loro opinioni.

Sebbene ogni possibile ipotesi per il riuso del complesso medievale di Balsignano debba anzitutto attendere la conclusione delle operazioni di restauro, credo sia giusto pensare alla maniera più razionale con cui sfruttare l’antico casale sottraendolo all’attuale condizione di isolamento. Balsignano infatti non solo risulta isolato tra gli ulivi delle campagne che separano Modugno da Bitritto, ma è anche innegabilmente decontestualizzato rispetto ad una situazione di squilibrati e non troppo corretti rapporti tra centri urbani e area rurale. Insomma, a mio modesto parere, nell’attuale situazione, Balsignano “galleggia” in una dimensione atemporale, oserei dire quasi in un contesto astratto. Tuttavia tale struttura continua ad esercitare un certo fascino, che può esser compreso solo da chi si reca in loco.
Balsignano, seppur in modo discontinuo, ha già ripreso ad esser utilizzato come luogo adibito a concerti, rappresentazioni teatrali, ed altre simili attività culturali e di svago. Comunque sia, limitare l’uso di Balsignano a semplice palcoscenico mi pare troppo restrittivo: sarebbe come, seppure ad un livello notevolmente inferiore, utilizzare i rinvenimenti di Pompei solo per le riprese di qualche film sui Romani. Inoltre Balsignano non può esser soltanto un teatro anche perché storicamente non è mai stato questo il suo segno distintivo. A questo punto si fa strada in maniera sempre più forte l’idea di un “progetto di valorizzazione che ne prevede una sorta di musealizzazione all’aperto, considerato lo stato del luogo, ben integrato nell’ambiente naturale della lama, non lontano dalla città e facilmente raggiungibile di qui forse anche con una passeggiata a piedi o in bicicletta”.
Un museo all’aperto, senza dubbio, rivaluta la cultura contadina nel suo paesaggio. Nel Trentino sono stati effettuati interventi di restauro, coordinati dal professor Ferrari, dell’Università degli Studi di Trento, per valorizzare edifici storici con il riuscito scopo di realizzare percorsi rurali di interesse turistico, ricreativo e sportivo nella parte alta del Sentiero Etnografico Rio Caino nella Valle delle Chiese nei pressi di Cimego (Trentino occidentale).
Balsignano deve tornare a vivere non in maniera isolata ma all’interno di un itinerario artistico-culturale che non si limiti al semplice museo open-air; ma possa anche, come nell’esempio del Trentino, attrarre i più profani configurandosi come luogo ricreativo, offrendo la possibilità di differenti attività di svago, prima su tutte la semplice “passeggiata della domenica mattina all’aria aperta”.
Ho parlato di itinerario proprio perché il complesso medievale di Balsignano non è l’unico segno storico nell’ambiente bucolico del territorio modugnese: infatti nei pressi del casale è presente anche il parco archeologico di età neolitica. Dunque, si può pensare ad una sistemazione territoriale la cui idea fondamentale sia quella di creare un parco contadino che mostri la spontaneità della coltivazione di questi terreni ricchi di ulivi, di reperti archeologici, di antiche costruzioni contadine e anche, dulcis in fundo, di affascinantissime architetture medievali.
Nel 1969 in Baviera fu fondato il museo open-air di Massing che dapprima avrebbe dovuto solamente racchiudere i resti più interessanti della valle del Rott, e cioè le sue case di legno, gli armadi dipinti e le cassapanche, le ceramiche del Kroning, ricami e lavori al tornio. Adesso però è la realtà della vita quotidiana in campagna a impregnare il museo, che si è ampliato di casale in casale: in una fattoria rivive il mondo dei piccoli contadini, in un’altra esplode il fascino della tecnica: vi si trovano pozzi a carrucola, trattori, stalle con coperture a volta, vasi smaltati, scodelle e secchi, frutteti, linee di confine, siepi e viali. Tutto appare così com’era una volta e come, in quel luogo, continua ad essere.
Nel museo open-air di Massing gli artigiani presentano le loro opere. Mercati e feste portano musica e gente allegra. Giardini, campi e prati risvegliano ricordi dell’infanzia ormai smarriti, mostre speciali intrattengono ed arricchiscono. Gli eventi più importanti dell’anno per il museo sono il mercato di primavera (Lenzmarkt), il solstizio d’estate (Sonnwend) e la sagra della raccolta del grano (Arntbierfesf).
Sempre in Baviera, a mille metri sul livello del mare, nascosto dietro i boschi e le montagne del parco nazionale, vicinissimo alla frontiera boema, il passato non è passato: il museo open-air di Finsterau raggruppa case coloniche, intere fattorie, una fucina, una locanda. Sotto il cielo, all’aria aperta, non si offre allo spettatore nessuno spettacolo paradisiaco, nessuno spettacolo idilliaco ma solo (scusate se è poco) la realtà vera della vita quotidiana dei contadini e degli operai della foresta bavarese. Quella vera realtà che oggi probabilmente non esiste più. Quelle persone guardavano un bastone di rose fiorito, un fazzoletto colorato tessuto a mano con uno sguardo diverso da quello che potrebbe essere il nostro. Perché si possa tornare a vedere con i loro occhi, ogni cosa nel museo Finsterau è stata posta nell’’ambiente originale: il piccolo e il grande, il nuovo e il rappezzato, il grossolano e il bello. E tutto ha conservato il suo vero volto, onde si possono notare le tracce del tempo: le maniglie levigate, le soglie consumate, il rattoppo sulla giacca del taglialegna. Dalla locanda “Ehrn” giunge il profumo dei Krapfen e del caffè, di semplici e sostanziose ricette di campagna.
Sinceramente credo che questi due esempi possano essere assolutamente considerati come modelli a cui guardare per trarre ispirazione, dal momento che noi potremmo non solo creare un parco contadino, che emuli in Terra di Bari l’organizzazione degli esempi tedeschi, ma potremmo anche realizzare qualcosa che a livello culturale possegga un respiro molto più forte. Ed allora, forse, è opportuno che io proponga qualcosa di più specifico per la realizzazione di questo parco contadino.
Anzitutto l’estensione: esso deve iniziare dove finisce il tappeto urbano di Modugno e cioè nella periferia residenziale di via Bitritto e deve concludersi (per il momento) in loco Basiliniano.
L’antico casale con la bella chiesa di San Felice, diventerebbe il capolinea di ogni tipo di percorso possibile da effettuarsi all’interno del parco: 1) passeggiata disinteressata (intesa come semplice svago), da soli o in compagnia, allo scopo di trascorrere qualche momento lontani dal cemento e dallo smog; 2) itinerario artistico e storico che mostri i rinvenimenti archeologici del neolitico nonché il famoso insediamento medievale; 3) percorso socio-culturale verso le origini della vita contadina e attraverso gli alberi d’ulivo per ritrovare intatto uno stile di vita che “forse” non esiste più; 4) camminata a sfondo economico-commerciale durante la quale il visitatore possa acquistare, e dunque assaggiare, tutto il meglio dei prodotti tipici che i contadini della nostra terra potranno esporre e vendere tutto l’anno (in tale maniera si potrà rendere ancora più tenace questo viaggio a ritroso nel tempo abbinando gli antichi sapori e gli antichi odori della Terra di Bari all’esperienza della natura, alla riscoperta di antichi reperti o di antiche architetture, alla vista di case contadine tradizionali e a tutte le altre cose che questo parco contadino offrirebbe).
Tale parco contadino deve svilupparsi seguendo il tracciato della lama, conferendo così alla propria forma anche un valore semantico perché la lama “Lamasinata” allinea su di sé diversi segni dall’alto valore storico, artistico e culturale.
Dopo aver chiarito l’estensione, passo alla descrizione dell’organizzazione del parco. Anzitutto esso deve munirsi di due ingressi: uno al suo inizio (in terra modugnese, nella zona residenziale di via Bitritto), l’altro alla sua conclusione e cioè dove attualmente si trova l’ingresso del complesso di Balsignano, sulla strada provinciale Modugno-Bitritto.
In prossimità di ciascun ingresso devono esser realizzati dei parcheggi perché non sarà possibile accedere all’interno del parco con auto o motorini, ma solamente a piedi o in bici.
È fondamentale la realizzazione dei due ingressi per un paio di validi motivi. Per prima cosa, l’ingresso in via Bitritto dev’essere realizzato perché gli abitanti di Modugno non debbano percorrere troppa strada in auto per raggiungere l’altro accesso al parco, situato a 3 km di distanza; in questo modo, sembrerà loro di possedere un vero parco contadino proprio all’interno dello stesso tracciato urbano. In seconda istanza è necessario anche l’ingresso posto sulla strada provinciale per due ragioni: 1) avvicinare un ingresso del parco al limitrofo centro urbano di Bitritto sarebbe un’operazione che funzionerebbe come stimolante invito anche per gli abitanti di un altro comune (perché si possano superare le ignoranti fierezze e rivendicazioni campanilistiche); 2) ho precedentemente attribuito al complesso di Balsignano la funzione di “capolinea di ogni tipo di percorso possibile all’interno del parco”, ma è necessario anche un ingresso nei pressi dello stesso casale poiché, non essendo possibile la visita con alcun mezzo motorizzato, bisogna agevolare e preservare gli interessi di coloro i quali siano interessati all’esplorazione del solo insediamento medievale, e non dell’intero parco.
Il parco al suo interno deve essere dotato di più tracciati, più percorsi. Questo tipo di sistemazione interna non solo avrebbe la funzione di agevolare il traffico di visitatori, ma potrebbe anche avere lo scopo di differenziare in maniera fisica i diversi percorsi tematici. Per prima cosa dovrà esser realizzata una pista ciclabile, facendo in modo che questa sorta di museo all’aperto possa attrarre anche gli appassionati di ciclismo, dal momento che la conformazione morfologica del terreno, non sempre pianeggiante, offre le possibilità di divertirsi sulle due ruote. Naturalmente non sarà vietato circolare sugli altri tracciati in bici.
Un altro percorso, quello a sfondo prettamente storico-culturale, dovrà allineare sul suo tragitto tutti i vari elementi che siano in grado di destare interesse; sarebbe d’uopo l’impiego di guide turistiche che sappiano illustrare e spiegare ai visitatori quanto c’è di più interessante. Penso che sarebbe giusto munire il parco di un servizio di bus-navetta (per i più anziani), magari con a bordo una guida che segua il gruppo nella visita.
Per l’esposizione dei reperti archeologici del neolitico, il parco si deve dotare di adeguate strutture, luoghi coperti e convenientemente attrezzati. Vorrei soffermarmi sulla natura delle strutture che ospiteranno tali esposizioni. Esse non devono assolutamente assomigliare agli stand fieristici o a quelle strutture solitamente montate per ospitare mostre di vario genere: divisori leggeri realizzati avvitando delle lastre di cartongesso sui lati di un telaio montato in opera in profilati leggeri di acciaio. L’idea di una struttura che richiami l’allestimento provvisorio, il “monto oggi, smonto domani” è sbagliata perché il parco contadino deve cristallizzare dentro sé la natura della campagna pugliese, la naturale vita contadina, nonché la sua architettura naturalistica. L’architettura delle campagne pugliesi è sempre stata intesa come segno, come profonda e permanente testimonianza della presenza umana nelle campagne. L’architettura delle campagne pugliesi (dal trullo alla casa del colono modugnese) non ha mai avuto un carattere effimero, ma ne ha sempre avuto uno perenne. Questa architettura non è mai stata realizzata con prodotti prefabbricati dell’industria, ma ha sempre conosciuto nella sua tecnica, rudimentale e raffinata allo stesso tempo, l’utilizzo di soli materiali della natura del luogo (quasi esclusivamente pietre calcaree).
Introdurre presenze architettoniche che suggeriscano l’idea della temporalità, di un allestimento momentaneo, è sbagliato perché questo non solo tradirebbe l’idea fondante del parco contadino (e cioè del luogo dove tutto è rimasto come era una volta) ma per giunta stonerebbe con violento stridore al cospetto dello stesso complesso di Balsignano, il quale, scusate se è poco, si mantiene in piedi da più di mille anni.
E allora, come realizzare queste strutture? Mi sembra ovvio che qualsiasi tipo di struttura architettonica sarà realizzata nel parco debba per forza rispettare la tecnica tradizionale del contesto territoriale in cui sorge. Ritengo poi che il parco debba munirsi di altre strutture architettoniche, oltre alla sala per esposizione. Le varie, tipologie di locali a cui mi sto riferendo sono le seguenti: 1) locali per mostrare i tradizionali attrezzi da lavoro dei contadini; 2) locali ad uso deposito, a disposizione dei contadini che vorranno esporre i loro prodotti per la vendita e per far assaggiare i prodotti naturai e genuini della nostra terra; 3) locali più ampi anche dotati di cucine per poter allestire periodicamente sagre o più semplicemente per esporre piatti e ricette tradizionali che vivono nei segreti culinari di anziane massaie, uniche persone in grado di far rivivere il tempo che è stato attraverso odore e sapori.
Tutte queste architetture potranno essere realizzate a partire da restauri effettuabili su alcuni ruderi di antiche case contadine presenti sulla strada vecchia che da Modugno conduce a Balsignano. Tale strada vecchia può esser presa in considerazione come percorso possibile all’interno del parco. Probabilmente quelle strutture in conci di pietra fatiscenti che ho visto dislocate sulla strada vecchia potrebbero non bastare per le diverse necessità che sopra ho descritto. Allora si tratterebbe di costruire ex novo alcuni edifici.
Gli edifici costruiti con le tecniche tradizionali, oltre a rappresentare un momento della tradizione, possono essere il veicolo per conservare metodi e tecniche costruttive in via di estinzione che in queste occasioni possono essere insegnate alle giovani maestranze e divenire prassi negli interventi di recupero edilizio sul patrimonio diffuso.
Il museo open-air.; fatto anche di repliche, si configura quindi come via sostenibile per scongiurare quegli interventi invasivi che sempre più spesso modificano in maniera radicale gli edifici della tradizione facendo perdere anche ai luoghi la loro connotazione. Questo modo di operare oggi è molto sentito in Europa e la tendenza alla ricostruzione e all’addestramento dei giovani carpentieri è molto forte, tanto che la Comunità Europea ha finanziato, nell’ambito del programma Cultura, il progetto dal titolo «Wooden handwork/ Wooden carpentry: European restoration sites».
Tutto questo perché, come è giusto interessarsi affinché non scompaia un insediamento architettonico medievale, è parimenti giusto impegnarsi affinché non scompaia una tecnica di costruzione architettonica che ormai è da considerarsi storica.
Tornando alla descrizione del museo open-air.; vorrei aggiungere una breve considerazione. Mi scuso perché forse questa considerazione non è perfettamente pertinente, ma desidero farla lo stesso. Più che di una considerazione, si tratta di un encomio, di un tributo di lode nei confronti di ciò che da sempre io considero come una vera e propria opera d’arte; un’opera d’arte in cui all’essere umano spetta poco merito poiché il merito è tutto della natura: sto parlando degli alberi d’ulivo.
Ogni museo-giardino contiene tradizionalmente delle sculture, dai Giardini di Boboli ai più moderni parchi texani in cui si esibiscono straordinarie opere scultoree. Il museo open-air, da me definito come parco contadino, avrà anch’esso le sue sculture: esse saranno proprio gli alberi d’ulivo. Si dovrà dar valore, importanza monumentale, ai tronchi dalle forme espressionistiche, alle chiome pittoresche e astratte, alla metamorfica natura di questi “personaggi drammatici”.
La cultura dell’astrazione, che ha rivoluzionato la storia dell’arte e dell’estetica, ha insegnato ad apprezzare le forme artistiche dell’Informale. La metamorfosi espressionista degli oggetti e dei soggetti, da Kokoschka a Bacon, ha insegnato al nostro intelletto ad apprezzare la drammaticità esistenzialista delle deformazioni. La violenza e la memoria inferte alla materia come “messa in forma”, da Dubuffet a Burri, hanno insegnato ai nostri cinque sensi ad apprezzare la fenomenologia del Caos. Sulla base di queste esperienze (intimo patrimonio culturale di chi ama l’arte) non si può negare l’immagine spettacolare dell’arte profonda, splendida e segreta di un albero di ulivo.
Poi, in fin dei conti, il parco contadino è espressione della natura, della natura mediterranea, e come suggerisce lo storico Fernand Braudel: “Il Mediterraneo finisce là dove finisce l’ulivo”.
Insomma, terminata questa forse non inutile digressione sull’arte delle sculture naturali che popoleranno il parco, torno al nostro amato complesso medievale di Balsignano.
Sembra ormai chiaro che in questo parco contadino, in questo museo contadino, in questo museo open-air.; Balsignano trova un logico reinserimento in un itinerario politematico che è in grado di valorizzare anche il suo antico significato. Per prima cosa, inserendolo in un museo che tratta come tema fondamentale la produzione agricola modugnese, si restituisce a Balsignano il suo segno storico, che è quello di luogo di produzione rurale collettiva in cui si sono incrociate e fuse sul piano della vita quotidiana le esperienze di migliaia di uomini
In secondo luogo, rendendo Balsignano il capolinea o, se gradite, il crocevia principale di tutti i possibili percorsi del parco, si fa rivivere il significato che esso aveva nel medioevo all’interno della maglia viaria, quando era posto in posizione dominante e in un’area dotata di una diramata viabilità locale, nonché di una arteria stradale a dimensione territoriale, la “mulattiera”, che dai tempi antichi collegava Butuntum a Caelia passando per Modugno, con un percorso interno alternativo al tracciato principale della via Traiana.
Ho così terminato la mia ipotesi e non mi rimane altro da fare che effettuare le ultime osservazioni. Il parco contadino, in qualità di museo open-air, offrirà le seguenti possibilità: 1) osservare la natura della compagna modugnese (soprattutto la spettacolare natura degli alberi d’ulivo); 2) osservare l’organizzazione del lavoro in campagna (gli strumenti, i protagonisti, i raccolti, le piccole come le grandi cose); 3) gustare gli antichi sapori, fondere i profumi della campagna ai profumi di locali pietanze; 4) passeggiare a piedi o in bici, con amici, con il proprio partner, con la famiglia, da soli o con un cane, lontani dal caos e dallo squallore del centro urbano; 5) osservare i rinvenimenti archeologici del neolitico; 6) visitare l’insediamento medievale di Balsignano.
Inoltre nel museo, dove la vita contadina è la protagonista, dove il passato non passa mai, verranno periodicamente organizzate feste, sagre, concerti, rappresentazioni teatrali e tutto ciò che rappresenti il folklore e la tradizione di questa terra. Solo una cosa ho volutamente tralasciato: il discorso economico. Dovrà essere gratuito o a pagamento l’ingresso all ‘open-air museo? E se sarà a pagamento, quale dovrà essere il costo del ticket? Questo non posso essere io a stabilirlo. Per ciò che concerne il nome da dare a tale intervento penso che il mio personale «Parco contadino Balsignano» suoni piuttosto bene.
In conclusione, al di là dell’intervento, che mira e reinserire Balsignano all’interno di un itinerario politematico che ne determini un utile riuso e finalmente lo consegni ad una dimensione più consona al suo antico significato che non l’attuale condizione di astrazione quasi completa, spero abbia valore in questa ipotesi da me avanzata l’importanza che deve assumere nella società contemporanea e del futuro il progetto di sistemazione viaria e di valorizzazione territoriale in ambito rurale e non solo urbano. È importanza riuscire a valorizzare non solamente le aree interessate dal reticolato urbano, ma anche quelle aree che, con una densità di popolazione notevolmente inferiore, sono dimenticate e destinate alla sola attività agricola e tante volte sono bellissime e meritano pertanto di essere rivalutate.
Forse questa mia idea, che rivendica l’importanza di zone non edificate e non edificabili (ma destinate ai soli contadini) attraverso sistemazioni territoriali sul modello del parco contadino, potrebbe sembrare un’utopia. Sembrerebbe un’utopia soprattutto nel sud d’Italia. Ma, come scrisse Lewis Mumford in The Story of Utopias, “una carta del mondo in cui non figura l’utopia non merita neppure un’occhiata”.

Omaggio a Balsignano (e a Bruscella) su una rivista francesce

Anno XXIV N. 105 Ottobre 2002
Serafino Corriero
La rivista francese GEO dedica un servizio speciale ai “tesori abbandonati” del Sud d’Italia, fra i quali, in territorio di Modugno, la chiesa di S. Felice in Balsignano e la masseria Cafarelli.

Sul numero 268 di giugno 2001 la rivista mensile GEO, edita a Parigi e a noi segnalata dal nostro collaboratore francese Michel Bon, presenta ai suoi lettori una severa inchiesta sul ricco patrimonio artistico dell’Italia meridionale, in gran parte abbandonato all’incuria e al degrado.
Attraverso una lunga e accurata indagine, l’inviata Eva Sivadjian ed il fotografo Derek Hudson documentano l’infelice destino di ville, chiese e sculture che nel Sud d’Italia, privo di mezzi, cadono nell’abbandono. La copertina di queste pagine è dedicata al “villaggio-fantasma” di Craco, in provincia di Matera, completamente abbandonato dai suoi abitanti dal 1970, quando la collina sulla quale sorge franò trascinando nella rovina i suoi tesori di storia e di arte. Sulle cause di questo abbandono, la giornalista interroga quindi Attilio Caruso, responsabile regionale lucano della FAI, la Fondazione italiana per la preservatone del patrimonio architettonico nazionale, il quale, dopo aver indicato le diverse cause di questo stato di cose, alcune storiche (smottamenti, terremoti, carestie, guerre dinastiche, invasioni), altre recenti (disoccupatone ed emigratone), lamenta la mancanza di risorse adeguate per la tutela e il recupero dei tanti (troppi) siti di particolare valore storico, ambientale o artistico. E, analogamente, anche le varie Soprintendenze istituite per la tutela di questo vastissimo patrimonio ammettono di non essere in grado di condurre campagne sistematiche di valorizzazione di questi siti, essendo appena in grado di affrontare solo le situazioni più gravi ed urgenti. E qui, l’inviata di GEO introduce i suoi riferimenti al territorio di Modugno. Ne riportiamo sotto il testo in francese e la traduzione italiana. Alle citazioni modugnesi (sulla figura di Cafariello, vedi Nuovi Orientamenti, n. 86/1988, pp. 18-21) seguono poi altre segnalazioni da Basilicata, Calabria e Campania: “dappertutto, lo stesso odore di muffa fuoriesce dalle belle ville padronali con i balconi arrugginiti e le porte bloccate dalla terra e dalle piante selvatiche”. Soltanto Matera si è salvata da questo disastro, grazie alla tutela dell’Unesco; altrove, “vestigia di un valore inestimabile sono minacciate di rovina”, e non solo per colpa di cause naturali o di errati interventi sul territorio, ma anche perché «a differenza dei nostri nonni e dei nostri genitori, noi non siamo stati capaci di trasmettere ai nostri figli una cosa essenziale: l’amore e il rispetto dell’inestimabile bene comune che stiamo distruggendo».

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